Wine tasting sofisticati, etichette fricchettone e dirompenti, giovani enologi à la page. Nel Paese con il più alto consumo al mondo di birra pro capite, il vino sta vivendo una nuova giovinezza. Se infatti per decenni l’esperienza enoica ha rappresentato una nicchia, anche per la qualità non eccelsa del prodotto nei calici dell’allora Cecoslovacchia, dopo la caduta del comunismo e sull’onda della nuova generazione di vignaioli “autentici” la moda del vino ha ormai conquistato fasce di pubblico sempre più ampie nel centro Europa. Oggi Repubblica Ceca e Slovacchia sono infatti un laboratorio di grande interesse sul piano della viticoltura e della produzione di vino. E se fino a quindici anni fa il consumo era principalmente legato al mercato interno – peraltro con una forte componente di sfuso – oggi numerose cantine esportano e anche in Italia o in Francia, a New York o al Noma di Copenaghen le carte dei vini si arricchiscono di nomi con accenti complessi da pronunciare. Il Vinařský fond (che riunisce i produttori) spinge sul marketing, gli esuberanti vignaioli conquistano terreno. E la scena enogastronomica si evolve prima di tutto in casa, a Praga come a Bratislava, Brno e Košice.
Sono le vinoteche a indicare la strada al rinascimento eno-friendly. «Le nuove generazioni di produttori stanno cercando un approccio più sostenibile e lavorano sulla qualità – osserva Klára Kollárová di Vinograf, la sommelier ceca più autorevole –. I più tradizionalisti spingono comunque sull’esperienza di degustazione e gli innovatori sono bravi a fare squadra, con un marketing che buca qui e all’estero. Il pubblico, grazie anche all’enoturismo, sta affinando il gusto e questo permetterà di alzare il livello soprattutto dei vini base». Soprattutto nel mondo “naturale” stanno crescendo qualità e apertura al mondo: «Grazie alla creazione di una community – rimarca Kristýna Moravcová del wine bar Veltlin a Praga – ci sono produttori che esportano quasi tutto, ma alcuni sono così piccoli che si deve venire in Repubblica Ceca per assaggiare qualcosa. E anche tra i “convenzionali” si stanno sviluppando nuove idee».
Praga e Velké Bílovice, capitali del vino
La vite era coltivata a Praga dal XIII secolo, sulle rive meridionali degli odierni quartieri di Vinohrady, Vršovice e Nusle. Fu però durante il regno dell’imperatore Carlo IV che i tralci si espansero e le tracce di quella tradizione arrivano ad oggi, con la presenza di vigne urbane nel cuore della Boemia. Sulla collina di Troja, tra il giardino botanico e lo zoo di Praga, il vigneto di Salabka è una terrazza sulla città, con vista sulla Vltava e sul castello, ed è il più grande nella Capitale. Il nome risale al XVIII secolo, ma data 1955 l’impianto di nuovi vigneti, preservando però alcuni vecchi cloni di Riesling che producono ancora un vino unico. Dopo l’abbandono dell’era comunista, la tenuta fu recuperata 15 anni fa importando dalla Francia 10mila piante di vite, esattamente come durante il regno di Carlo IV. Dopo la ristrutturazione, nel 2013, la nuova cantina vive in simbiosi con il ristorante gourmet guidato dallo chef Petr Kunc. Nei 4,5 ettari vitati di Salabka si coltivano 15 diversi vitigni. Il giovane enologo Tomáš Osička si occupa della lavorazione e negli ultimi anni ha ottenuto riconoscimenti non solo in patria, ma anche in Austria e a Parigi.
È invece considerato un maestro del vino in Moravia, culla del vino ceco, Jaroslav Osička. Ha davvero insegnato enologia (a lungo) in un istituto a Valtice, ma fa vino dai tempi del comunismo, quando gli amici gli affidavano il loro raccolto. Negli anni Novanta ha preso in mano i vigneti restituiti alla famiglia a Velké Bílovice, prima conferendo le uve e poi facendo vino per la cantina Dobrá Vinice. «Dopo anni di collaborazione con una realtà convenzionale, nel 2006 ha deciso di iniziare un percorso autonomo», racconta il figlio Luboš, che oggi lo affianca. Da allora Osička cura i vigneti senza chimica, erbicidi e pesticidi. Ma soprattutto non vuole “produrre” vino, piuttosto lo accompagna nella sua creazione, con lieviti autoctoni che non cancellino le peculiarità di annata e terreni. I vini fermentano spontaneamente senza controllo della temperatura e maturano in botti di legno sulle fecce (da 5 a 24 mesi). Non vengono chiarificati né filtrati prima dell’imbottigliamento.
Biodinamici sul 49° parallelo
Situata sul 49° parallelo (come l’Alsazia e la Borgogna), la cantina Krásná hora ha 8,5 ettari di vigneti nel territorio di Starý Poddvorov. L’area è vocata per tradizione (la coltivavano i monaci cistercensi nel XIII secolo) e la piccola garage winery coltiva in biodinamico principalmente varietà francesi, ma anche qualche autoctona. «Le radici della nostra piccola azienda familiare – racconta Marek Vybíral – risalgono ai primi anni Sessanta. Sotto il comunismo mio nonno impiantò i primi vigneti e da quel momento abbiamo fatto molta strada». L’intera famiglia è coinvolta nell’attività vitivinicola e la filosofia aziendale è basata su una relazione amorevole con le vigne, curate manualmente senza chimica e puntando sulla biodiversità. In cantina si riducono gli interventi al minimo attraverso un approccio artigianale. Tutti i vini sono fermentati con lieviti indigeni e alcuni invecchiano in botti grandi di rovere, per poi andare in bottiglia senza filtrazione. Espressione della dedizione verso «la creazione di una bellezza moderna», i cru biodinamici di Krásná hora sono secchi, strutturati ed eleganti. Centrato sul biologico fin da subito, dal 2017 ha virato sul biodinamico anche il progetto Zlatý Roh nel Devín, hinterland di Bratislava. «Nel 2014 abbiamo iniziato con il recupero di 3 ettari di vecchi vigneti abbandonati – racconta Filip Nagy – reimpiantando Gruner Veltliner, Riesling, Pinot Nero, Merlot e Cabernet Sauvignon. Oggi lavoriamo su circa 12 ettari tra vigneto, azienda agricola, orti, pascoli, bosco». A Devín lavorano in vigna con i cavalli e fanno tutto a mano. In cantina niente lieviti selezionati, niente chimica oltre alla solforosa minima, nessun filtro. «Crediamo fortemente nel nostro terroir e nella sua espressione», conclude Filip.
Il karma della felicità e della verità nel vino
«La mia filosofia è essere felici. Voglio dare alle persone un vino che sia normale per me e la mia famiglia». Con queste premesse l’approccio enologico di Milan Nestarec potrebbe calibrarsi tra la provocazione e la naïveté, ma in realtà dietro al vignaiolo ceco forse più conosciuto sulla scena enoica indie europea c’è una solida consapevolezza, tecnica e commerciale. «Milan Nestarec non è una cantina – dichiara – ma è un’idea che per caso viene rappresentata attraverso il vino. Non vendo vino. Sto servendo una visione del mondo». Dunque non contano il vitigno o una regione famosa, ma il nome sulla bottiglia. E accosta il suo a etichette multicolore, fumettate, strampalate con nomi come Toujours-vivant o It’s not that red, un istantaneo Wow o l’irridente I love the smell of napalm in the morning. Nestarec è uno dei produttori cechi più conosciuti all’estero. «Perché ho una certa audacia – ammette -. Il mio paese ha molto da offrire. Penso che il nostro successo si basi sul mostrare le cose come sono. Non abbelliamo nulla e non copiamo altre regioni vinicole. E produciamo vini che hanno una buona energia. Ci sono molti giovani in cantina che non sono stati appesantiti dall’era comunista e hanno viaggiato per il mondo. Hanno una mente aperta». Questa è «autocoscienza», chiosa il vignaiolo, anche se respinge le etichette. «Di recente il termine “vino naturale” mi ha infastidito. Faccio vino normale e voglio darlo alle persone».
Anche per Dominika Černohorská, winemaker della cantina Plenér, la passione porta a non guardare i paradigmi. «La vinificazione non è solo un lavoro per me – dice – ma è il mio modo di vivere, la mia missione. Non desidero né essere ortodossa né estrema nel mio approccio alla viticoltura e alla vinificazione. Sto cercando di fare il vino con sensibilità e umiltà. Non voglio interferire con i processi enologici della natura. Quando penso al vino, posso vederne la complessità. Il più grande obiettivo enologico per me è esprimere la verità». La storia di Plenér inizia con l’annata 2016 e Dominika condivide il sogno con l’amico ortodontista Ivo Marek. I loro vigneti si stendono sull’altopiano di Pálava: «Ogni anno i vigneti si avvicinano di più al nostro modo di pensare – evidenzia Dominika – e col tempo riusciamo ad armonizzare la nostra mappa mentale del paesaggio con la realtà della natura e con i cicli che la sostengono. Coltivare è solo l’inizio del viaggio che porta alla creazione di vini fedeli a noi e alla terra che li ha prodotti». Nel vino Dominika cerca «chiarezza». Lavorando tra acciaio e rovere, con un lungo affinamento sulle fecce ma praticando una filtrazione, pur minima, l’enologa vuole che i vini «mostrino la loro bellezza senza perdere la loro anima» e precisa di lavorare le uve «in modo da ottenere il miglior risultato possibile con il minimo intervento». Anche per questo viene considerata una produttrice in bilico tra “naturali” e “convenzionali”, apprezzata da chi beve senza barriere e pregiudizi.
Sogni e imperfezioni sotto il vulcano
La cantina marvla TINDO nasce dai sogni e dallo slancio romantico di Vlado Kuny e Martin Danielič, due amici che con coraggio costruiscono ex novo una cantina (disegnata da Vladimír stesso) tra i vigneti di Levice, cittadina slovacca sul confine settentrionale del bacino pannonico. L’obiettivo è esplorare il potenziale dei vigneti che affondano le radici nell’area vulcanica del monte Sitno, costituita da tufo e andesite. Il loro approccio è “naturale” e le 8/10mila bottiglie prodotte ogni anno hanno il sapore dell’utopia. «È essenziale lasciare che la natura e il tempo parlino – dicono i due giovani vignaioli slovacchi – perché crediamo che valga molto più essere testimoni di un processo che pretendere di dirigerlo. In fondo il vino non è il bersaglio, ma un “mezzo” per comprendere il mondo circostante». E così la sfida si spinge oltre, confrontandosi con vitigni autoctoni tradizionali e vigne vecchie, attenzione all’origine e uso limitato dei legni di rovere. I vini sono intriganti, complessi, non facili, ma equilibrati.
Anche Víno Vdovjak lavora a ridosso dell’area vulcanica. Sopra il villaggio di Veľká Tŕňa, si concentra sulle varietà Furmint, Lipovina a Muškát žltý, ma a Čierna hora ci sono anche filari di Rizling vlašský. Il lavoro in vigna rimane in famiglia. Oggi la cantina produce tutti vini artigianali, non filtrati e non chiarificati, utilizzando acciaio, qvevri di argilla e botti di rovere ungherese, «ma la strada per arrivarci non è stata facile, visto che ci troviamo in una regione vinicola tradizionale come il Tokaj», rileva Matúš Vdovjak. Eppure l’entusiasmo sostiene l’intero progetto. «Sono una persona molto ottimista, ecco perché faccio molti errori – scherza – e man mano che invecchio cerco di trasformare l’imperfetto in qualcosa di bello». Nasce da queste premesse la passione che Matúš mette nei suoi vini, che vibrano di una intensità semplice eppure profonda: «Credo che il vino rispecchi la personalità, l’anima, il modo di vivere di chi lo produce. E io voglio fare un vino che rispetti la natura e la storia del luogo a cui appartiene, ma anche il mio modo di vivere».
Sono storie di grappoli e slanci appassionati, tra vigne urbane, vulcani e wine bar, che arrivano in Italia attraverso distributori specializzati o canali diretti. Alcune etichette si possono anche acquistare online, ma il suggerimento spassionato è di viaggiare tra villaggi e cantine in Moravia o nel nord della Boemia, tra Brno e l’area vulcanica della Slovacchia verso l’Ungheria. Si possono scoprire vini e luoghi che regalano emozioni.
SOTTO IL VULCANO
Tra i vini più interessanti sulla scena slovacca spiccano quelli che nascono nell’area del vulcano Štiavnické vrchy, che 15 milionidi anni fa era il più grande del continente europeo. Oggi è una montagna massiccia e tentacolare, la cui vetta più alta (appena sopra i mille metri) è chiamata Sitno. Sulle pendici meridionali il suolo è ricco di minerali e le condizioni climatiche hanno favorito una tradizione vitivinicola millenaria. I vini di questa zona sono fruttati e ricchi di acidità, senza perdere freschezza nel tempo. Prevalgono le varietà bianche: Riesling italiano e renano, Veltlín, Tramín, Rulander, Pinot bianco, Sauvignon, Chardonnay, Moscato. Tra i vitigni rossi ci sono Frankovka modrá, Svätovavrincké, Pinot nero, ma anche gli incroci Danube e Alibernet. Al centro del vulcano si trova la città di Banská Štiavnica, famosa fino a inizio Novecento per le miniere di oro e argento, dove un gruppo di appassionati raccolto intorno a Vinocentrum (vinocentrum.sk) organizzava fino a prima del Covid il festival Vulkán, che portava dentro le miniere chiuse vignaioli vulcanici cechi, slovacchi, ungheresi e austriaci.
DOVE BERE
Non è sempre facile trovare etichette ceche o slovacche in enoteca o nei wine bar italiani, anche se sulla scena dei vini naturali si stanno muovendo molto bene. Krásná hora è distribuita da Elemento Indigeno. Nestarec è forse tra i più diffusi nei locali con focus sugli “autentici”: dall’Enoteca Naturale di Milano a Solovino a Roma, dal Bistrò del Borgo a San Giorgio di Valpolicella (Vr) a Into The Wine di Pinerolo (To). Se le referenze accessibili in Italia non bastassero, in Cechia la scelta si amplia: dal wine bar Thir a Brno (www.thir.cz) all’Hokus Pocus di Ostrava (www.hokuspokus.cz), le etichette di Nestarec fanno tendenza. A Praga si possono scoprire referenze di tutte le cantine citate in queste pagine nelle due enoteche Vinograf (vinograf.cz), dove il personale (preparatissimo) è in grado di accompagnare in degustazione clienti più o meno competenti. Al wine bar Veltlin, nel quartiere Karlín, si gioca con le etichette naturali dei territori che furono dell’impero austro-ungarico (www.veltlin.cz) e si possono incrociare Nestarec, marvla Tindo, Jaroslav Osička. Vdovjak si scopre al POP di Bratislava, al Kubboselect di Kosice e da Vino Dei Vini a Nitra. Al Vinocentrum di Banská Štiavnica hanno in carta marvla Tindo, mentre a Svätý Jur hanno più etichette slovacche (www.vinocentrum.sk). Nella capitale slovacca sono da visitare i wine bar DveDeci e Pri Modrom Kostolíku (vinotekamodrykostolik.sk).Last but not least, Richard Stávek – uno dei nomi “naturali” in Moravia – oltre che al Noma di Copenaghen è anche in molti locali italiani (da Vinoir e Contraste a Milano, da Naturavino e Porthos a Roma, alla Rimessa Barrio di San Benedetto del Tronto, da Zeno a Bra).
LE CANTINE
Salabka salabka.cz
Vinařství Jaroslav Osička jaroslavosicka.cz
Krásná hora krasnahora.com
Milan Nestarec nestarec.cz
Plenér vinarstviplener.cz
marvla TINDO marvlatindo.sk
Víno Vdovjak vinovdovjak.sk
Vinárstvo Zlatý Roh @vinarstvo_zlatyro