Testo estratto dal numero speciale Italianissimo
Se c’è una dote che non ha fatto difetto ai grandi imperatori romani è stata la capacità di saper apprezzare la bellezza e riempirsene gli occhi, in una esistenza costellata di dimore opulente, bagni termali, rifugi privilegiati che rendevano giustizia alla natura sublimandola con l’arte. Sul promontorio di Ponza, Ottaviano Augusto aveva scelto di far costruire una sontuosa villa imperiale, di cui oggi poco resta, se non le ingegnose grotte di Ponzio Pilato.
Non insenature naturali – di cui pure sono ricchi i 41 chilometri di costa isolana, nota per il perimetro frastagliato che si rivela circumnavigandola – ma cunicoli ipogei scavati nella roccia per l’allevamento dei pesci. Murene (propiziatorie), per essere precisi. A Ventotene, invece, Augusto volle ricavare una dimora dorata per le sue donne, esiliate nella villa detta di Giulia, che per un secolo vide avvicendarsi una nobile stirpe al femminile e oggi la- scia traccia della sua ricchezza nella mappa di cortili, cisterne, “vasche da bagno” con vista sul tramonto.
Il passato classico dell’Arcipelago Pontino – sei isole al largo della costa laziale, con traghetti in partenza dal porto di Formia – ha lasciato un’impronta importante a Ponza, che oggi vive anche di turismo culturale in affiancamento alla vivacità dell’offerta balneare, forte di spiagge incantevoli e rinomate a livello internazionale. Un nome su tutti evoca lo scenario lunare più fotografato dell’isola: l’anfiteatro naturale di Chiaia di Luna, protetto dalle scogliere in tufo bianco che si gettano nel mare in picchiata verticale, in passato si raggiungeva solo attraverso il tunnel di età augustea che collegava la spiaggia al porto. Oggi l’accesso è interdetto, e la spiaggia di sabbia bianchissima si può ammirare solo da lontano.
Ma è il contatto con la natura – pur nella realtà turistica di una località votata alla mondanità – a regalare gli scorci più suggestivi, rivelando spiagge altrettanto meritevoli, come Cala Feola, con le sue piscine naturali di origine vulcanica, insenatura sabbiosa e sempre molto affollata; una sorte condivisa dalla spiaggia del Frontone, che invece ancora risparmia il fascino della spiaggia del Core (affiorante dalla roccia vulcanica, raggiungibile solo via mare) e le vie acciottolate del piccolo borgo settecentesco che sovrasta Cala Inferno. A queste si aggiungono i numerosi siti di immersione che attraggono appassionati delle profondità marine da tutto il mondo. Si deve al periodo borbonico – quando i coloni ischitani raggiunsero l’isola dopo un lungo periodo di declino – l’aspetto urbanistico che ancora oggi caratterizza l’insediamento di Ponza raccolto intorno al porto di Carlo III.
Di fondazione borbonica, sull’isoletta disabitata di Santo Stefano, è anche l’ex carcere che entro il 2025 il Mibact ha intenzione di riconvertire in spazio espositivo per celebrare la cultura del Mediterraneo, a poco più di due chilometri di navigazione da Ventotene, che intanto ha conquistato un posto tra le isole più virtuose d’Italia e d’Europa, puntando sulle energie rinnovabili. Le due spiagge dell’isola – Cala Rossano e Cala Nave – si raggiungono comodamente in ebike e monopattini elettrici, anche se scegliere di incamminarsi a piedi, tra ginestre e profumi della macchia mediterranea, resta sempre un’ottima opzione, viste le dimensioni contenute di Ventotene, il cui unico centro abitato si sviluppa intorno al porto scavato nel tufo.
Nell’arcipelago, la tavola è chiaramente votata alla cucina mediterranea, però con un piglio deciso che indugia sulla pienezza di gusto. Così il paniere ittico è ricco di specie insolite preparate nel rispetto di ricette antiche, dalla murena alla coccia del fellone, com’è chiamato il granchio di cui abbondano le acque pontine. E poi ostriche, cernie, aragoste e alici ammullucate, spigole, polpi e gamberi che arricchiscono tielle e zuppe di pesce di chiara ispirazione campana. Anche i piatti di terra dichiarano un legame privilegiato con la Campania che racconta di coniglio alla ponzese (in umido con pomodoro, cipolla, aglio, alloro e vino bianco, piatto simbolo della festa patronale di San Silverio, il 20 giugno), susamielle, zuppa di cicerchie e fave al pomodoro servite nei tipici tegami di terracotta, cianfotta con patate, melanzane, peperoni e zucchine.
Alla tradizione casearia che eccelle nella regione del Basso Lazio appartengono invece le sostanziose merende a base di pane casareccio e ricotta o i trionfi di pecorini, caciotte e mozzarelle di bufala. L’indirizzo di riferimento, a Ponza, è Acqua Pazza. All’ingresso quasi nascosto che dà accesso alle terrazze del ristorante (nella nuova sede inaugurata nel 2020, dove trova spazio anche il cocktail bar), segue la sorpresa di ritrovarsi al cospetto di un panorama che abbraccia tutta la baia. Cerimoniere di lunga esperienza è Gino Pesce, che con sua moglie Patrizia Ronca ha avviato il progetto nel 1989 e dal 2006 vanta una stella Michelin. Opulenta è la selezione di crudi di pesce, cui seguono grandi classici come la zuppa di granchio con pesce e crostacei, gli spaghetti ai ricci di mare, la ricciola scottata con zucchine alla scapece. In piazza Carlo Pisacane, affacciata sul porto, sta un’altra storica insegna ponzese, l’Oresteria di Oreste Romagnolo; mentre è la spiaggia di Santa Maria lo scenario suggestivo della Locanda dell’Isola, albergo con ristorante pieds dans l’eau, aperto solo a cena (a pranzo con piatti da asporto).
A Ventotene, il ristorante Il Giardino prende le mosse dalla pensione che ancora dà ospitalità sull’isola. La tavola è semplice, ma può contare sulla grande materia prima fornita dalla cooperativa di pescatori del posto. Tra alici marinate, paccheri di Gragnano con pesce da zuppa e aragoste locali. Di nuovo a Ponza, in cerca di una viticoltura estrema, spingetevi fino a Punta Fieno, per ammirarne i vigneti scavati nel tufo e poi apprezzare un buon calice di Biancolella o Malvasia Puntinata (che si trasforma nello spumante secco che caratterizza gli aperitivi sull’isola).