Le verdure nel salato, la frutta nel dolce. Tra gli stereotipi gastronomici – soprattutto italiani, a dire il vero – questo è uno dei più duri a morire, in particolare per quel che riguarda i dessert.
Non mancano naturalmente le eccezioni, a cominciare da Corrado Assenza che ormai da anni oltrepassa con nonchalance i confini tra sapido e zuccherino e per i suoi dessert attinge spesso anche all’orto, esaltando le dolcezze naturali di radici e ortaggi: dalla deliziosa granita di fragola e pomodoro ai frollini curry e mandorla fino al dessert “È dolce di natura” – presentato qualche anno fa a Identità Golose – a base di couscous alla mandorla Romana, crema al fior di latte di carota novella di Ispica e arancia, bergamotto candito, gelato di finocchietto selvatico e peperoncino.
Molto interessante anche il lavoro portato avanti da Luca Lacalamita da LuLa-Pane e Dessert a Trani: se infatti per la sua focaccia pugliese il pasticcere passato dall’alta ristorazione al binomio laboratorio&bottega ha messo su una coltivazione ad hoc di più varietà di pomodori in collaborazione con un’azienda agricola locale, dai campi arrivano spesso anche gli ingredienti per i suoi dessert. Dalla tartelletta primaverile con frolla e cremoso alla mandorla, gelatina di ananas e una composizione di frutta e verdura (piselli, fave, sedano, finocchietto, carote di Polignano, e poi fragoline, fragole della Basilicata e agrumi tarantini, nella foto), già diventata un must per le clientela più affezionata, al “cubo” di babà colorato da una bagna di ciliegie, lampone e limoncello e guarnito con diverse varietà di pesche, pomodori datterini gialli e un “tocco” di cetriolo barattiere (che qui prende il nome di “scopatizzo”). «All’inizio in molti sono diffidenti ma poi assaggiano e apprezzano: anche perché, a ben vedere, pomodori e cetrioli appartengono botanicamente al mondo della frutta più che della verdura. E ormai qui da noi si aspettano qualcosa di particolare, anche se a mio parere sono finiti i tempi delle sperimentazioni e provocazioni a tutti i costi» racconta Lacalamita, che nella sua ricerca è guidato prima di tutto dal gusto e dallo studio tecnico su ingredienti e consistenze più che dalla necessità di proporre una pasticceria “senza”.
Così ad esempio in gran parte dei suoi impasti – dalla frolla della tartelletta alla pasta bignè dello choux cioccolato e nocciola – utilizza un “burro” vegetale fatto da sé con olio di cocco, burro di cacao, olio extravergine, acqua e l’1% di lecitina di soia: «In questo modo otteniamo una frolla più friabile e più “stabile”, come pure una pasta più sottile e ariosa per gli choux. Per idratare gli impasti adopero l’acqua o una piccola quantità in più di olio extravergine al posto di uova e latte. Per me l’uso di ingredienti vegetali è una scelta tecnica ma che mi permette anche di evidenziare le nuance di sapore di alcune materie prime pregiate».
Il suo modello principale è l’americano Will Goldfarb – entrambi sono passati dalle cucine di elBulli – che dal 2014 applica un approccio trasversale alla pasticceria scardinando ogni categoria del dolce (e della ristorazione) al suo Room4Dessert a Ubud, Bali (e in precedenza a New York). In particolare quest’anno l’intero menu – che comprende solo preparazioni “dolci”, abbinate a infusioni e drink in sintonia – si basa su ciò che cresce nel giardino botanico del ristorante, definito da Goldfarb una Garden Apothecary (farmacia “verde”): aneto, alang alang, lemongrass, fiori di champak e frangipane e altre piante medicinali, parte della tradizione balinese catalogata dalla scrittrice e ostetrica Ibu Robin Lim, si affiancano a frutta e tuberi locali come lontar e taro per dar vita a piatti raffinati che esplorano a fondo le potenzialità gustative e curative del regno vegetale.