Elisabetta Pandolfini Toscana

La Toscana di Elisabetta Pandolfini

Prato, la Bozza e le merende segrete

Testo estratto dal numero speciale Italianissimo: 20 (+1) racconti d’autore per 20 regioni

 

L’imperfezione affascina. Così la Bozza. La realizzazione di bontà vince sull’idea di perfezione e forma. Di questi tempi è bene ricordare che la diversità e l’intuito sono doti che valorizzano il fare e caratterizzano il dono dell’eredità che porta con sé l’emozione del ricordo.

Il profumo del pane e il rumore dell’acqua del fiume Bisenzio sono state da sempre in sottofondo nelle vite di tutti i pratesi, e anche della mia. Mamma Maria Laura è stata un esempio di “consapevole adozione di sapore”. 

Si innamorò fin da subito dei tipici gusti toscani senza mai abbandonare le sue origini napoletane. Da sempre è riuscita a esaltare i procedimenti di numerose ricette avvicinandosi alla contaminazione degli ingredienti. Nella sua amata cucina non mancavano mai prodotti genuini, sani. Ricordo come sapientemente sperimentava, come una regista tra i suoi promettenti attori. Li lasciava accomodare in scena in punta dei piedi e poi cedeva loro il trono regale: i suoi abbondanti pranzi e i suoi banchetti erano il vero spettacolo! 

Questa facoltà materna è arte dell’improvvisazione, affinità col popolo napoletano che ho amato immediatamente. Mia madre mi diceva sempre che l’abitudine del palato a un impasto salato, tipico dei forni a sud di Roma, lasciò ben presto il passo alla semplicità intensa della tipica Bozza pratese. Non ne fece più a meno. Era l’espressione di una gioia primordiale che si collegava al gusto proprio della farina. 

C’è un evento che riempie le immagini del mio cassetto dei ricordi, di quando ero bambina: era l’arrivo del vespino del panettiere. Abitando in campagna spesso la mamma si lasciava consegnare a casa i piccoli ordini fatti nelle varie botteghe di Prato. Arrivava il garzone con un cesto ricoperto di pezze di lino e come in un cofanetto di gemme preziose lentamente, sotto il nostro sguardo curioso, scopriva il “bottino dorato”. Oltre alle Bozze da chilo c’era sempre una leccornia in più. Qualche golosità per noi piccini di famiglia. Non appena lo scambio tra gli adulti era stato formalizzato, il sorriso dell’uomo dal bianco grembiule si posava su di noi, quattro piccole pesti. Così io e i miei fratelli scalpitavamo orgogliosi. Nascondendoci inizialmente dietro le gambe o il grembiule della mamma riuscivamo a prendere coraggio e a sfidare il fattorino profumato. Una caramella al miele, un biscotto alle mandorle, un brutto buono o uno zuccherino. La sorpresa, quella semplice. 

Crescendo, il babbo mi disse da dove era saltato fuori quel nome strambo: bozza. Lo faceva quando succedeva di pronunciare un “Abbozzala!”. Mi raccontava di un fornaio di paese che avendo terminato il pane in bottega tagliò pezzi di un impasto che era ancora in fase di lievitazione. 

A quel punto infornandoli velocemente aveva ottenuto una forma irregolare che non si addiceva a un pane. Era abbozzato. Involontariamente nacque il pane abbozzato. Ed era proprio in quelle fette dalla crosta ruvida che si racchiudeva la magia della mia merenda segreta: pane, vino e zucchero da Vasco e dalla Piera, i contadini che si occupavano dell’orto e abitavano accanto a noi, la nostra seconda famiglia e il rifugio quando litigavamo tra noi. Che meraviglia il sapore di quelle merende! Scoprii in seguito, crescendo, che il taglio sull’impasto interrompe la lievitazione, in fase di cottura poi la pasta del pane si deforma. Segue vie traverse. Ma cos’è la forma? Una parentesi. Il gusto è nel contenuto e il pane toscano bianco, alveolato e croccante, si differenzia per carattere: farina di grano tenero, lievito naturale, acqua e niente sale! Quel “baco” lasciato riposare diventa farfalla. 

Non è un caso che, nel laboratorio di biscotti di famiglia, fondato da Antonio Mattei nella seconda metà dell’Ottocento, si facesse in origine proprio il pane. La Bozza di pane pratese è conosciuta fin dal medioevo anche fuori le mura della città toscana. Nell’Ottocento lo stesso Antonio Mattei faceva arrivare a Firenze il pane prodotto nel suo forno, un dato che Nonno Ernesto riporta nei suoi archivi. Ancora negli anni Venti e Trenta del Novecento fa riferimento alla fornitura del pane alle botteghe di tutta la città di Firenze. Lo sapevano i nostri avi e lo tramandavano di ricettario in ricettario: il pane di Prato è cosa ben diversa da quello di Firenze o di qualsiasi altra città o paese della Toscana. Pane sciocco sì, ma particolarmente saporito. La Bozza pratese è un pane tipico della tradizione contadina, è un elemento di identità culinaria del territorio, è un pane leggermente acido e si presta ad accompagnare qualunque tipo di pietanza, salumi e formaggi. Accompagna i pasti e le stagioni. 

La Bozza diventa anche pan dolce con l’aggiunta d’uva durante le vendemmie, arricchito con le noci della valle del Bisenzio e con i fichi di Carmignano diventa un pasto completo o merenda già dal Quattrocento. 

Nella tradizione contadina toscana il pane “vecchio” veniva sapientemente unito alla cotica di maiale e alle verdure per diventare ribollita o d’estate unito al pomodoro e al basilico nella pappa al pomodoro; il Pan di ramerino, con uvetta e rosmarino, è il tocco ideale da abbinare alla mortadella di Prato. Una delizia del palato. 

Alla tradizione del pane associo quella del “Cantuccio” di Prato, non potrebbe essere altrimenti, è nel Dna. Soprattutto quello aromatizzato all’anice. Infatti la pasta di pane (farina, acqua, lievito, sale) si arricchisce di zucchero e semi di anice e una volta reso filone si trasforma in grosse e spesse fette tostate. Così nasce uno dei prodotti più storici del nostro Biscottificio che produciamo ancora oggi. Non smetterò mai di vivere tra le meraviglie “della e dalla tradizione”. 

 

Cresciuta col profumo dei biscotti di Prato, Elisabetta Pandolfini, con i suoi fratelli, rappresenta la quinta generazione della famiglia che dal 1904 gestisce lo storico Forno di Antonio Mattei. In azienda si occupa della comunicazione, del marketing e del settore commerciale.

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Leggi anche: Mangiare tra le vigne: Rinascimento gastronomico

Foto di Alessandro Moggi

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