Dalle colline della Sabina a quelle affacciate sul Golfo di Gaeta, dai ripidi oliveti terrazzati tenuti da muretti a secco della Ciociaria ai dolci rilievi della Maremma Laziale, il Lazio vanta un ricco patrimonio olivicolo dalle origini antichissime. Lo raccontano gli olivi millenari del Reatino e i dipinti rinvenuti nelle tombe etrusche della Tuscia, le citazioni che rimandano all’Antica Roma – come quella di Marco Terenzio Varrone che, nel “De re rustica”, dava consigli sulla coltivazione dell’olivo e la lavorazione dei suoi frutti basandosi sull’esempio sabino, per ottenere il pregiato “oleum ex albis ulivis” – e altri documenti più recenti come l’editto settecentesco, conservato nell’archivio storico di Latina, con cui lo Stato Pontificio concedeva in premio 10 scudi ogni 100 piante di olivi messe a dimora, per favorire la diffusione dell’olivicoltura nel territorio pontino.
Oggi la produzione olearia regionale – il cui livello di eccellenza è riconosciuto da guide e competizioni internazionali, anno dopo anno – annovera quattro Denominazioni che abbracciano tutte e cinque le province. Tra le prime Dop riconosciute in Italia – nel 1996 – quella della Sabina comprende 30 Comuni in provincia di Rieti e 15 in provincia di Roma, tra cui la stessa capitale. Nell’area reatina di Fara in Sabina si trova anche l’Abbazia benedettina di Santa Maria di Farfa, fondata nel VI secolo d.C., che ebbe un ruolo cruciale nel preservare (e poi diffondere) l’olivicoltura negli anni bui del Medioevo. Le varietà autoctone più comuni e previste dal disciplinare sono la Carboncella, la Raja, la Rosciola e la Salviana: decisa la prima, particolarmente delicata la seconda e molto equilibrate le altre due, unite in blend danno oli bilanciati e versatili dalle note di carciofo e mandorla. Nel Viterbese prevale la Caninese, varietà prevista come principale tanto dal disciplinare di produzione della Dop Tuscia (istituita nel 2005) che da quello della Dop Canino (attiva dal 1998), che coinvolgono rispettivamente 52 e 8 comuni della provincia di Viterbo. Mentre gli oli della seconda denominazione sono contraddistinti da un fruttato intenso e da un carattere deciso, con note di erbe aromatiche e una presenza marcata ma gradevole di amaro e piccante, quelli della Tuscia hanno solitamente un profilo più amabile e versatile, prestandosi a un uso ampio in cucina che può andare dalle bruschette alle zuppe di legumi, dal pesce di lago alle carni bianche.
In provincia di Latina, e in particolare sulle colline di Itri ma ormai diffusa anche altrove, troviamo la varietà Itrana da cui si estraggono oli eccellenti, molti dei quali dal 2010 sono certificati dalla Dop Colline Pontine. Anche se il disciplinare prevede la partecipazione di altre varietà, come Leccino e Frantoio, si tratta quasi sempre di monovarietali che mettono in evidenza il profilo aromatico dell’Itrana, caratterizzato dalle tipiche note aromatiche di pomodoro verde o foglia di pomodoro accompagnate da gradevoli sfumature erbacee e talvolta balsamiche o mandorlate. Equilibrati e mediamente fruttati, sono ideali per condire la tipica panzanella ma anche piatti a base di pesce.
L’oliva di gaeta doppia bontà:
Varietà dalla duplice attitudine – dunque adatta sia per farne olio sia come oliva da tavola – l’Itrana ha una polpa soda e saporita che, lavorata con la tradizionale salamoia, dà luogo alla pregiata e saporita Oliva di Gaeta Dop, ingrediente imprescindibile di tante ricette laziali e della tradizione campana. Si tratta di un’oliva nera, o meglio dal caratteristico colore violaceo; ma, grazie al processo di maturazione particolarmente lento, l’Itrana è ottima anche come oliva verde, raccolta e lavorata prima che inizi il processo di invaiatura del frutto.