Cuochi, pasticceri, giovani studenti delle scuole di gastronomia della Turchia, influencer e giornalisti locali e in arrivo – letteralmente – da tutto il mondo: circa diecimila persone hanno affollato l’ampia sala auditorium del centro congressi Haliç e i numerosi stand che esponevano prodotti esotici (grande spazio a ingredienti orientali) e mise en place, piatti e stoviglie tradizionali o contemporanei, per la sesta edizione di Gastromasa.
Il congresso turco di gastronomia ideato e curato da Gökmen Sözen – giornalista, editore e organizzatore di eventi culinari con il suo Sözen Group – si è confermato un riferimento internazionale portando a Istanbul, oltre al parterre di cui sopra, una selezione di nomi di spicco della scena gastronomica mondiale che, prima e dopo dell’avvicendarsi sul palco, hanno avuto anche l’occasione di visitare Istanbul scoprendone aspetti e sapori tradizionali e non solo: dal dietro le quinte della lavorazione artigianale dei baklava di Karaköy Güllüoğlu al caffè specialty della società al femminile Kimma (“sorelle”, in finlandese), dalle cucine regionali delle cinque città turche parte dell’UNESCO Creative Cities Network ai raffinati piatti di chef come Fatih Tutak all’imperdibile Turk o Matsuk Askar, da sette anni alla guida del Neolokal.
La giornata dell’International Gastromasa Gastronomy Conference ha avuto un programma particolarmente intenso e serrato, con sedici chef (tutti uomini, unica donna a salire sul palco è stata Hélène Petrini de La Liste che, prima di parlare di guide e classifiche, ha reso omaggio a cuoche e chef di tutto il mondo a sottolineare una mancanza non del tutto imputabile all’organizzazione, visto il periodo particolarmente impegnativo che ha trattenuto alcune delle professioniste invitate) in arrivo dalla Spagna al Cile, dall’Italia a all’Olanda.
Design, creatività e pensiero laterale
Il tema – all’apparenza poco originale – era quello del Design, che ha però fatto da spunto ad alcune riflessioni molto interessanti e ad approcci completamente differenti alla questione, dimostrando come la creatività e il “pensiero laterale” (e multidisciplinare) possano rivelarsi preziosi per la cucina contemporanea anche andando oltre le presentazioni ad effetto o le mise en place avanguardiste.
Così ad esempio Vladimir Mukhin del White Rabbit racconta gli otto criteri guida dei menu del suo chef’s table in cui indaga i diversi aspetti, sensoriali e psicologici, del cibo: dalla Joy without guilt (Coco lardo 2.0, il pane con il lardo che accompagna tradizionalmente la vodka rivisto in ottica salutista, vegetariana e sostenibile utilizzando lardo di cocco e vodka senz’alcool autoprodotta) del menu Black Swan, ispirato all’omonimo libro dedicato all’”altamente improbabile”, fino al Food as a medicine (per cui ripropongono ai cliente un dessert ispirato ai suoi ricordi d’infanzia) del menu The Metamorphoses. E agli esperimenti sinestesici sull’influenza di sensi come l’udito o il tatto sulla percezione dei sapori: dalla mela che diventa più dolce o più aspra a seconda che si ascolti musica classica o elettronica, fino alla possibilità di ricreare la “sensazione” della maionese (di cui i russi vanno matti, a quanto pare) con una forchetta in silicone, e al “ritmo” di frutta e ortaggi del progetto musicale Playtronic.
Oriol Castro, alla guida del Disfrutar insieme a Eduard Xatruch e Mateu Casañas, racconta come il design sia un concetto ampio che ognuno può interpretare a suo modo, ma che per il ristorante di Barcellona è piuttosto pervasivo. Tanto che da due anni c’è una giovane designer/cuoca nel team che aiuta a pensare piatti ed esperienze, mentre molte delle idee del ristorante si rinnovano o perfezionano anche grazie al confronto con gli studenti dello IED o dalla collaborazione con architetti e designer. Nasce così, ad esempio, il nuovo “tavolo da dessert” Table M#01, in una sala dedicata a quattro commensali, ideato e progettato dalla designer di interni Merche Alcalá dopo aver mangiato al ristorante: al momento del dolce, sbarazzato da tovaglia e mise en place, rivela uno scacchiere di contenitori aperti davanti agli ospiti che custodiscono assaggi dolci invitando all’interazione e a una riflessione sull’esperienza gastronomica.
Il contesto e le parole
Il contesto – un complesso insieme di architettura, scenografia, musica, maiali volanti, farfalle e piatti provocatori che definisce l’esperienza multisensoriale e ultracoinvolgente, efficacemente raccontata da uno dei suoi ormai noti video – è fondamentale anche da Diverxo. Eppure David Muñoz, tra i nomi più attesi della giornata e protagonista di un’intervista-salotto anziché della classica dimostrazione, ci tiene a sottolineare l’importanza primaria del cibo e dell’ospitalità. E anticipa la prossima sede del ristorante (la quarta, in arrivo nel 2023) che sarà ancora più unica, totalmente nuova e diversa dalle precedenti come anche lui è ora diverso dal ventisettenne che aprì il primo locale, 14 anni fa.
In molti altri mettono in evidenza l’importanza del contesto – sia esso musica, ambiente, atmosfera, cultura – nel modo di percepire sapori e sensazioni. Andoni Luis Aduriz si concentra in particolare sulle parole oltre che sulle immagini, prendendo spunto dal celebre “Ceci n’est pas une pipe” magrittiano: «Se esiste un sesto gusto è quello delle storie», dice. «La cucina non si spiega da sola, ha bisogno di un contesto». Così lo chef basco racconta l’evoluzione grafica e concettuale del menu del Mugaritz e un vero e proprio esperimento condotto nel 2016, in cui a due gruppi di ospiti venivano proposti piatti uguali con nomi completamente differenti – vedi “Meringa selvaggia d’autunno” o “Struttura secca di sangue con fegato atrofizzato” per un macaron con sangue di maiale al foie – scaturendone sensazioni diverse. E se l’emergenza Covid e le nuove abitudini pandemiche lo hanno spinto a ridisegnare ancora una volta il menu – in cui delle targhette illustrate supportano lo staff di sala, la cui interazione è limitata dalle mascherine e dal distanziamento – a proposito di “designing the future”, per i vent’anni del ristorante di Errenteria presenta le campane di vetro in cui sarà servito il dessert, interconnesse tra i vari tavoli e con un meccanismo che, quando si preleva il dolce, fa partire una musica da videogiochi appositamente composta.
L’Italia al congresso: Tokuyoshi e Fiorani
Ma il design – o meglio, in questo caso il “redesign” dell’intero progetto – può anche portare a reinventare un locale, trovare soluzioni alle crisi (come appunto quella creata dalla pandemia) e salvare posti di lavoro ed energie professionali e personali. È il caso di Yoji Tokuyoshi che ha raccontato, anche attraverso un video, la “trasformazione” del suo ristorante stellato milanese nella acclamatissima Bentoteca, in cui è tornato a concentrarsi su una cucina giapponese – questa volta da izakaya, immediata e goduriosa – a base di ingredienti italiani conquistando i milanesi e non solo, con il progetto Bento Tour: un successo meritato che lo ha convinto a rendere stabile quello che era nato come una soluzione temporanea, anche se già medita il ritorno (anche) alla cucina stellata.
È una creatività ragionata – e attentissima ai prodotti e ai loro sapori più puri, nonché al rispetto della stagionalità e della tradizione quando la si voglia prendere come spunto, come nel caso del tiramisù che può cambiare forma e presentazione ma non può prescindere dal binomio “caffè e mascarpone” – quella che ispira e guida il lavoro di Fabrizio Fiorani, romanissimo Best Pastry Chef per la classifica Asia’s 50 Best Restaurants 2019 (quando lavorava con Luca Fantin da Il Ristorante del Bulgari Hotel di Tokyo) ora al fianco di Ciccio Sultano e in procinto di aprire la sua pasticceria Zucchero all’interno del W Rome. Così Fiorani incanta il pubblico con le immagini dei suoi dessert tanto belli quanto deliziosi – inclusa la “variazione” di carote, miele di Ape nera sicula e gelato al caramello e vaniglia che prepara dal vivo servendola in un cilindro da bianconiglio con tanto di orecchie, realizzato da una ditta di ceramiche italiana appositamente per lui – e con la sua verve tipicamente italiana, strappando l’applauso più caloroso della giornata.
Sostenibilità e biodiversità
Altro tema ricorrente – e non poi così slegato da quello del design e del contesto, appunto, se si amplia la visuale – è quello ormai imprescindibile della sostenibilità e dell’attenzione all’ambiente, e alla sua biodiversità. Da Ricard Camarena che, nel ristorante a 2 stelle (e 1 green) di Valencia, lavora per estrarre ogni stilla di sapore – sotto forma di succhi, acque e fondi – da tutto quello che cresce nell’orto, giocando poi con le stratificazioni e amplificazioni di sapori e la conservazione dei prodotti, a Syrco Bakker, talentuoso chef olandese che nel suo bellissimo PureC – affacciato sulla costa della poco nota regione di Cadzand – utilizza tutto ciò che arriva dal mare nordico, privilegiando specie marine poco note a quelle più sfruttate, così come alghe ed erbe.
Ma a conquistare l’attenzione – e a far venire voglia di prenotare quanto prima un biglietto per Santiago del Cile, avendone la possibilità – è Rodolfo Guzman, cuoco-forager-antropologo e narratore di una terra ricchissima di biodiversità dietro all’apparenza aspra e selvaggia di alcuni luoghi. Lo chef patron del Boragò racconta il grande lavoro di ricerca svolto a partire dal 2006, quando ha deciso di abbandonare il comfort di una cucina gourmet di stampo internazionale e coloniale per dedicarsi a mettere nei piatti esclusivamente ciò che cresce in territorio cileno, esplorando nuove frontiere di ciò che può essere ritenuto commestibile, e delizioso – dalle tantissime varietà di funghi e alghe ai frutti più insoliti, come la chirmoia che fa stagionare come un formaggio – e coinvolgendo in questo processo le comunità raccoglitrici dei diversi habitat locali, riscrivendo così la storia gastronomica del Paese.