Probabilmente già conoscete il Wagyu, la pregiata carne di manzo giapponese caratterizzata dall’intensa marezzatura – la distribuzione del grasso intramuscolare – che ne determina la consistenza burrosa e scioglievole e il sapore ad alto tasso di umami. Ma sapete anche, ad esempio, a cosa si riferisce il nome? Non a una specifica regione del Paese orientale – la razza Wagyu viene allevata in diverse località giapponesi, quelle di Kobe e della zona montana di Hida sono considerate tra le più prelibate ed entrambe hanno origine certificata – e nemmeno esattamente a una singola razza univoca. Il temine – unione dei due ideogrammi per “Wa”, Giappone, e “gyu”, mucca o bestiame – significa letteralmente, “manzo giapponese” ma sono quattro le specie le cui carni possono essere considerate Wagyu secondo i dettami nipponici: Japanese Black (il manzo di qualità superiore, che ne rappresenta il 97%, a sua volta suddiviso in diverse linee genetiche tra cui Tajima, Shimane e Kedaka), Japanese Brown, Japanese Shorthorn e Japanese Polled.
Il grasso caratteristico, che rende le carni pienamente marmorizzate ed è frutto di un allevamento selettivo e dell’impiego di metodi tradizionali – tra cui l’alimentazione a base di mangime, erba da pascolo e fieno di riso, che contribuisce anche al caratteristico colore bianco – si chiama Sashi: ricco di acido oleico, ha proprietà salutari e un punto di fusione molto basso, da cui la sensazione che la carne si sciolga letteralmente in bocca mangiandola e l’aroma inconfondibile che si sprigiona particolarmente alla temperatura di 80°C.
Queste e altre curiosità legate alla deliziosa carne nipponica sono al centro della campagna europea “Wagyu Tasting Session” lanciata per il mese di febbraio da J-LEC, l’associazione per la promozione dell’esportazione di prodotti animali giapponesi. Al centro, oltre al gusto, anche la provenienza e la sicurezza della carne made in Japan (oggi ci sono allevamenti di Wagyu anche in Italia, con ottimi risultati), garantite dal marchio Japan Beef e da un sistema di tracciabilità tramite QR code che fornisce informazioni in 15 lingue fornite dall’ente di certificazione, inclusi il livello di qualità della carne (classificata in ordine crescente da 1 a 5, e da A a C circa la resa della carne), il pedigree del singolo capo, il luogo di allevamento, il nome della specie e la data di lavorazione.
La campagna ha lo scopo di far conoscere più approfonditamente la carne di manzo giapponese Wagyu in alcuni paesi europei nel tra cui l’Italia, coinvolgendo anche chef e ristoratori per esaltarne al meglio le caratteristiche. Tra questi Yoji Tokuyoshi, patron della fortunata Bentoteca Milano, che propone tra gli altri piatti il delizioso “mini Wagyu don”: una ciotola con del riso sormontata da sottili fette di Wagyu cotto nel Green Egg – giusto il necessario per farlo arrivare a temperatura di fusione del grasso, lasciandone l’interno ben rosato – e affettato con un taglio simile a quello sashimi, accompagnato da tuorlo d’uovo marinato nella salsa tzuke (a base di salsa di soia, mirin e sake), polpa di riccio di mare, erba cipollina e salsa yakiniku preparata dallo chef aggiungendo all’insieme di salsa di soia, sake, olio di sesamo, zenzero e aglio grattugiati qualche cucchiaio di sardella, la speziata e piccante salsa calabrese a base di peperoncino e pesce fermentato, in una seducente fusione tra Mediterraneo e Sol Levante.