Potrebbe risultare faticoso, ma tutti gli sforzi vengono presto ripagati da panorami mozzafiato e accoglienti almhütten (rifugi alpini) finemente intagliati. Luoghi perfetti dove fare una sosta e rifocillarsi con strabordanti piatti a base di maiale e canederli, da abbinare rigorosamente a boccali di birra, per poi affrontare al meglio la discesa. Da espatriata di origine bavarese-australiana, queste baite vecchio stampo rappresentano per me il punto di riferimento di quella tradizione e cultura montanara di cui sento profondamente la mancanza. Chiamatela pure nostalgia, fatta di pranzi conviviali su panche rustiche in stile birreria, tovaglie a quadretti, birra di frumento alla spina e corroboranti piatti di schnitzels (cotolette alla viennese). È così che le ho sempre ricordate, quantomeno fino al mio ultimo viaggio nel 2019, quando mi sono imbattuta in una baita che si discostava sorprendentemente dalla tradizione.
La Tannenhütte si affaccia sulla mia città natale, Garmisch-Partenkirchen, una località sciistica famosa per aver ospitato le Olimpiadi invernali del 1936 come anche il recente vertice del G7 del 2015, dove l’allora presidente Barack Obama ha suscitato scalpore bevendo birra a inizio giornata. (Clamore immotivato, per i bavaresi; bere birra in tarda mattinata è tanto normale che abbiamo addirittura una parola apposta: frühschoppen). Le linee eleganti e pulite della Tannenhütte rifiutano volutamente quello che l’architetto Thomas Feigl definisce lo “yodeling style” dell’architettura di un tempo. Il suo intento è stato quello di coniugare la cultura delle baite a uno stile moderno e sostenibile. Una visione, questa, che ha trovato l’appoggio della Bavarian State Forest Enterprise, che detiene il sito. In un freddo pomeriggio di dicembre, ricordo che rimasi piacevolmente colpita dall’enorme finestra panoramica del rifugio, un cambio di rotta rispetto alle piccole finestre con imposte in perfetto stile almhütte. Da qui si può ammirare una splendida vista sui monti del Wetterstein e la vetta più alta della Germania, il massiccio dello Zugspitze. Fui ugualmente colpita dalla dedizione dei proprietari Anna e Andreas Hertle e di tutto il loro staff, così come dai piatti tipici. Tra questi, la schnitzel con insalata di patate e il gulasch con spaetzle (gnocchetti), più leggeri e di più immediata esecuzione rispetto alle pietanze tradizionali da rifugio, serviti in meravigliosi stoviglie di terracotta realizzate da un ceramista locale. Nello specifico, abbiamo gustato una tenerissima schnitzel di vitello, leggermente panata e fritta in burro chiarificato, un kaspressknödel (canederlo al formaggio) dalla consistenza soffice, servito con brodo di verdure e manzo e, per concludere, un ottimo tagliere di salumi e formaggi di produttori locali.
Gustare i piatti proposti dagli Hertles non è solo un’occasione per fare il pieno di energia; ciò che fa realmente la differenza è la collaborazione con agricoltori e artigiani locali per offrire ingredienti freschi e biologici. Questa nuova tendenza si sta diffondendo in tutta la Baviera. Anche se il mio stato d’origine — il luogo in cui ho trascorso i primi quattro anni della mia vita, abitando sopra la panetteria di mia zia ai piedi delle Alpi — è ricco di tradizioni e sicuramente poco incline al cambiamento. Si tratta di una delle regioni più religiose e conservatrici della Germania. Specifiche tradizioni, in riferimento al cibo (come i pretzel), alla musica (oompah, la tipica musica bavarese), e agli abiti locali (lederhosen, tradizionali pantaloni corti di cuoio con bretelle) sono molto radicate e tendono a dominare la cultura popolare, con non poco risentimento da parte dei tedeschi, dato che quella bavarese è solo il 16% della popolazione nazionale. Con i miei genitori siamo emigrati in Australia quando ero ancora una bambina. Da quel momento fare visita alla mia famiglia è stato un lusso molto raro, ma da quando, sette anni fa, mi sono trasferita con mio marito di origini australiane negli Stati Uniti, cerchiamo di tornare ogni anno. Il mese di dicembre è senza dubbio un periodo particolarmente affascinante per visitare la Baviera, per via dei romantici mercatini di Natale, del cibo squisito e delle bevande, come i lebkuchen (biscotti di pan di zenzero), l’oca arrosto e il glühwein (il vin brulé tedesco).
Garmisch-Partenkirchen sembra uscita direttamente da una fiaba, in particolar modo nel periodo natalizio. Il mercatino di Natale si tiene ogni anno da fine novembre sino a fine dicembre nella piazza principale, ed è proprio qui che di solito faccio scorpacciata di caldarroste, schupfnudeln (simili agli gnocchi, ma dalla forma allungata), bratwurst e baguette ricoperte di formaggio fuso e speck affumicato, il tutto accompagnato da glühwein caldo e speziato. Durante l’ultimo viaggio, una volta lasciato il mercatino ho deciso di fare tappa in una delle più antiche pasticcerie della Baviera, la Konditorei Krönner. Fondata nel 1759, la sua eccentrica sala da pranzo non sfigurerebbe in un film di Wes Anderson. Franz Krönner, proprietario nonché capo pasticcere, ha la coda di cavallo, uno spiccato senso dell’umorismo e un debole per le camicie fantasia. La sua specialità è la baumkuchen — letteralmente “torta ad albero” — il cui processo di preparazione è piuttosto lungo e laborioso. Si tratta di una torta a strati costituita da anelli, proprio come quelli di un albero, e cotta su uno spiedo. Le creazioni di Krönner si basano su antiche ricette di famiglia, ritoccate solo nel contenuto di zucchero nel dopoguerra. Vengono ancora realizzate da zero: «Niente roba in polvere o congelata, escamotage o imbrogli». Persino le miscele di spezie utilizzate per i famosi biscotti di Natale, di cui Krönner prepara decine di migliaia di pezzi l’anno, sono segrete. Ogni volta che deve fare un’infornata scrive la ricetta su un foglio di carta, prepara il composto, e poi lo strappa. «Nemmeno i miei figli conoscono la ricetta», dice scherzando, visto che anche il figlio lavora in cucina. Ma questo impegno per preservare la tradizione non è del solo Krönner. Una passeggiata di 20 minuti mi ha portato alla Ludwigstrasse, una stradina di ciottoli ricca di architetture storiche, murales e antiche locande addobbate con scintillanti luci di Natale. Il brioso Gasthof Fraundorfer, in affari da ben 91 anni e gestito soltanto da donne, è senza dubbio il mio posto preferito su questa via. Ne è responsabile, da più di 50 anni, Barbara Fraundorfer senior, che gestisce il locale con le sue due figlie. Qui è possibile gustare uno dei più caratteristici piatti della Baviera: oca o anatra arrosto accompagnata da cavolo rosso stufato e canederli con salsa gravy. Per me, Krönner e Fraundorfer incarnano perfettamente la vecchia Baviera.
Una perfetta manifestazione della cosiddetta “nuova Baviera”, invece, è quella che ho potuto riscontrare nel boutique hotel Werdenfelserei, aperto nel 2018. Questa struttura di 51 camere è l’idea ambiziosa e assolutamente sorprendente della famiglia locale Erhardt. Si tratta, per l’appunto, di un colosso di cemento e legno modellato sulle linee di un fienile tradizionale. Il design evoca uno stile Alpine-chic casual ma lussuoso, che ho apprezzato molto dall’elegantissima terrazza panoramica con piscina, mentre sorseggiavo un Aperol spritz e godevo della vista delle montagne Alpspitze e Zugspitze. Wurzelmerk, il ristorante dell’hotel, punta su ingredienti locali e vini tedeschi. Johannes Wäger, che a soli 25 anni ha contribuito a lanciare il progetto (dalla mia visita ha fatto passi in avanti), racconta come lo stile dell’hotel e il cibo proposto avessero inizialmente attirato alcune critiche. «C’era un diffuso scetticismo da parte dei bavaresi quando abbiamo aperto. Non potevamo di certo subito sconvolgerli con ingredienti conosciuti usati in modo poco familiare», afferma. Ma Wäger e il suo staff sono riusciti a conquistarli poco per volta con piatti come il borscht (zuppa di barbabietole) con storione marinato e caviale, il petto d’anatra cotto sottovuoto con kimchi di cavolo rosso, castagne e kumquat e il gelato alla birra scura con mele cotogne cotte. Un altro innovatore che è riuscito ad affascinare la gente del posto è Leonhard “Hardi” Wild, un ex campione di hockey su ghiaccio divenuto torrefattore, parte della cosiddetta “Third Wave” del caffè. Prima di lanciare l’attività con sua moglie Steffi mi disse: «Il caffè a Garmisch-Partenkirchen è sempre stato di pessima qualità o servito con un sacco di panna montata sopra». Ma ora non più. Nel suo bar, Wildkaffee, si trova di tutto, dal caffè filtro da chicchi monorigine del Ruanda a un dolce Prana Chai prodotto a Melbourne con foglie di tè nero, spezie e miele. Nel mio caso, un flat white fatto a regola d’arte ha svoltato la giornata. E non mentirò: da australiana-bavarese, non avrei pensato di trovare un flat white nella mia piccola città natale tedesca neanche fra un milione di anni. Sono convita che il percorso di Wild nell’ambito del caffè fosse già tracciato. Quando il suo bisnonno Leonhard Panholzer aprì il suo negozio in città nel 1892 vendeva caffè tostato proveniente da piccoli fornitori. Oggi, sulla parete della nuova torrefazione che Wild ha aperto nel 2018, c’è un murale che ritrae proprio Panholzer. «Non ho mai messo in dubbio che la città avrebbe accolto questo tipo di cultura del caffè – mi ha detto, aggiungendo – il fallimento non era contemplato, sono troppo entusiasta del mio prodotto!». Durante la mia ultima notte, a Monaco di Baviera, mi sono ritrovata al ristorante dal nome sfacciatamente ironico del mio hotel, The Lonely Broccoli, a osservare i cuochi nella loro cucina a vista. Ho mangiato agnello locale cotto sottovuoto e affumicato sul fieno, una tartare di manzo condita con una crema di funghi porcini del posto e cosparsa di Belper Knolle (un formaggio vaccino stagionato condito con aglio e pepe). Ho bevuto un bicchiere di Riesling Sekt della Mosella e un Pinot Gris dei miei amici di Ocean Eight in Australia. Se 10 anni fa mi avessero detto che avrei mangiato cibo elegante, all’avanguardia ma al tempo stesso squisito (bevendo vino eccellente e non birra) nel mio stato natale, mi sarei sicuramente fatta una grassa risata. Ma ora non più. Benvenuti nella nuova Baviera, che personalmente amo tanto quanto quella vecchia.