Formaticum

Formaggi rari, tesori italiani

La terza edizione di Formaticum, il primo salone dedicato al formaggio e alle rarità casearie italiane organizzato a Roma, è stata l’occasione per scoprire e riscoprire alcune gemme derivate dal latte e le loro storie.

Tra i tanti tesori gastronomici del nostro Paese, i formaggi – e tutte le forme e le sfumature della lavorazione del latte, in generale – sono forse tra i gioielli più preziosi. Non solo per la loro bontà (siamo di parte, lo ammettiamo, in quanto cheeselovers senza ritegno) ma anche per la capacità di raccontare storie intimamente legate ai luoghi e alla natura, eppure dove l’intervento umano – produttivo, ma anche di intento – gioca un ruolo chiave, capace farsi elemento fondamentale di salvaguardia umana e ambientale, attraverso un lavoro duro come pochi e raramente sotto i riflettori.

Questo, almeno, accade nel caso di quelle produzioni “resistenti”, autentiche, che sanno prendere dal passato pur stando nel presente. Non è un caso, infatti, che tanti volti e mani tra quelli presenti alla terza edizione di Formaticum – evento romano dedicato alle rarità casearie ideato e organizzato da La Pecora Nera Editore e Vincenzo Mancino, artefice di DOL-Di Origine Laziale ed esperto conoscitore della produzione e lavorazione dei latticini – fossero giovani: che portino avanti tradizioni familiari antiche o abbiano deciso di intraprendere con passione un percorso nuovo e complesso, che spesso parte dalla pastorizia vera e dura, i casari sono spesso under quaranta, per lo meno, e donne. Il che non vuol certo dire che i più maturi ed esperti non abbiano nulla da dire, anzi.

«Formaticum vuole essere la voce dei piccoli, di coloro che spesso devono urlare per farsi ascoltare. Tra questi produttori – ha spiegato Mancino ricordando anche la pastora etiope uccisa in Trentino nel 2020 – ci sono molte donne che in un contesto prettamente maschile non solo devono urlare ma spesso devono morire per farsi rispettare come imprenditrici! Agitu è stata la martire e non vogliamo più sentire queste notizie tragiche. Formaticum continuerà ad essere non solo il primo contenitore di vere eccellenze italiane a Roma ma anche di storie reali di resistenza casearia».

Passeggiando tra i banchi del Wegil è stato un piacere ritrovare facce e sapori noti, veri e propri abbracci in forma di latte e fermenti: dalle splendide mozzarelle (e ricotte) di bufala di Mimmo La Vecchia de Il Casolare alle tome piemontesi della famiglia Giovale, che produce, stagiona e affina formaggi da latte crudo di capra, mucca e pecora. La parte più interessante della manifestazione resta però quella della scoperta, indubbiamente. Così, tra le novità di quest’anno, abbiamo assaggiato i formaggi a latte crudo (e la splendita crème fraîche) della Fattoria Ma’Falda, fattoria biologica con agriturismo ecosostenibile che in Umbria, tra Todi e Orvieto, alleva capre di razza Camosciata delle Alpi , e il cacioricotta cilentano in diverse stagionature (da quelle più fresche o semistagionate, accompagnate perfettamente dai profumi dei fiori eduli freschi, all’intenso formaggio che matura un anno fino ad acquistare colore ambrato, consistenza scagliosa e aromi nocciolati e caramellati che lo rendono perfetto come chiusura di pasto accanto a un distillato) della Tenuta Principe Mazzacane, dove Annacarla Tredici e Andrea Giuliano hanno recuperato le terre appartenute a Giulio Cesare Mazzacane e l’antica tradizione locale dell’allevamento caprino nei profumati pascoli locali.

La selezione di Formaticum aiuta infatti anche a disegnare una mappa d’Italia fatta di latte, fieno ed erbe: dagli alpeggi lombardi nascono tanto lo Storico Ribelle – uno dei formaggi simbolo della Valle del Bitto, nella provincia di Sondrio, che dalla “battaglia” con la Dop ha perso la denominazione originaria ma ha guadagnato una riconoscibilità legata pure al lavoro sui singoli alpeggi/cru con tutte le loro sfumature – quanto lo strepitoso Strachitunt della Latteria di Branzi 1953, stracchinato erborinato considerato il progenitore del Gorgonzola, realizzato con il latte di settanta piccole aziende di montagna.

Dalle Alpi agli Appennini: dai pascoli montani d’Abruzzo arrivano i pecorini de La Mascionara (che a Campotosto, nel Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga ma poco distante dal confine laziale, realizza anche l’ottimo pecorino Amatriciano ideale per il piatto romano, e non solo) e gli spendidi formaggi – per non parlare delle ricottine affumicate e aromatizzate – della Cooperativa Asca di Anversa degli Abruzzi, dove Nunzio Marcelli e il suo team portano avanti un bellisismo progetto basato sul recupero di razze rustiche locali e allevamento tradizionale. Un posto di riguardo tra i banchi – e nei cuori di tutti coloro che lo avevano conosciuto di persona, oltre che attraverso i suoi caci: dall’affascinante Gregoriano a pasta molle al monumentale Trittico da tre latti – spetta al Bio Agriturismo Valle Scannese di Gregorio Rotolo, allevatore/pastore/casaro ma soprattutto narratore dei pascoli e del territorio abruzzese, scomparso qualche mese fa: e se il suo lavoro viene portato avanti con passione dalle nuove generazioni, non poteva mancare un ricordo speciale a lui dedicato in occasione della manifestazione (e il premio “Giovani Pastori Roberto Molinari”).

Nascono invece in Toscana i formaggi vaccini da latte biologico, freschi e stagionati, del’Azienda Agricola Rustici, e a Parma il Parmigiano Reggiano Dop di Giansanti Di Muzio, azienda a ciclo chiuso per la produzione artigianale del re dei formaggi italiani che ha anche tenute nei dintorni di Roma con un progetto di ampio respiro che mette insieme agricoltura, architettura rurale, lavoro “sano” e perfino un campo da golf.

Diversificato e interessante il panorama laziale, che nella provincia di Viterbo spazia dagli splendidi formaggi da latte locale (come lo Stracchinato dei Papi e la toma di pecora viterbese con fiori di finocchieto) realizzati da Marco Borgognoni alla Piccola Formaggeria Artigiana nel cuore del capoluogo di provincia ai caprini da latte di razza Saanen delll’Azienda Agricola Monte Jugo (che a pochi chilometri dalla città è anche agriturismo: andate in loco ad assaggiare Caprino Nobile e molto altro) passando per la “giovane” Agricola Sensi che nella Tuscia produce soprattutto formaggi a pasta molle dal latte di capre allevate allo strato brado, arricchiti da erbe e aromi. Mentre si trova in provincia di Frosinone, nella valle di Comino tra Picinisco e Settefrati, l’Agricola San Maurizio, azienda a conduzione famigliare e (prevalentemente) femminile che alleva pecore di razza Sopravissana da cui nascono splendidi pecorini, come quello affinato con i fiori di pascolo di fine febbraio messo a punto con la collaborazione del “caciaro” Antonello Egizi.

Il racconto prosegie tra Puglia (con i prodotti a latte crudo e pastorizzato di Stella di Manduria), Basilicata (con il formaggio stagionato in grotte naturali dell’Azienda Zootecnica Casearia di Maria Stellato e quelli dell’Azienda Zootecnica Tosa), con il pecorino siciliano del Caseificio Genna, artefice del marchio Pecora d’Oro (anche qui, con una determinante presenza femminile), e con l’intensità seducente dei pecorini sardi dell’azienda Erkiles che nel Nuorese alleva pecore selezionate di razza sarda dal cui latte nascono sapori unici.

Impossibile, in un giorno, assaggiare e parlare con tutti (appunto per il prossimo anno: mettere in calendario visite in entrambe le giornate della manifestazione). Resta però lo spunto per fissare qualche tappa tra caseifici e aziende e andare a vedere di persona dove nascono questi fantastici formaggi.

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