Amarone Valpolicella

Amarone, meno meditazione più contemporaneità

Il confronto con l’Anteprima dell’annata 2017 mostra in filigrana una evoluzione verso uno stile più contemporaneo: meno potenza e più finezza, minore residuo zuccherino, meno concentrazione e più verticalità.

«Una realtà non ci fu data e non c’è, ma dobbiamo farcela noi, se vogliamo essere: e non sarà mai una per tutti, una per sempre, ma di continuo e infinitamente mutabile». Viene immediato un riferimento alle parole di Luigi Pirandello nell’osservare le evoluzioni di una denominazione importante del vino made in Italy qual è la Valpolicella. In particolare, il confronto con l’annata 2017 di Amarone – di cui si è celebrata l’anteprima a Verona – pone alcune questioni. E per fortuna.
Tra gli assaggi di questa annata difficile, perché calda e complessivamente non equilibrata, si può infatti leggere in filigrana una evoluzione che sembra orientare i produttori di uno dei grandi vini d’esportazione verso uno stile più contemporaneo: meno potenza e più finezza, minore residuo zuccherino, meno concentrazione e più verticalità. Per quanto sia azzardato parlare di pronta beva in un vino che rimane pur sempre frutto di appassimento e che talvolta si irrobustisce con l’affinamento, è interessante notare una virata verso una più comoda scorrevolezza. E per chi abbia avuto l’opportunità di assaggiare qualche etichetta in più rispetto alle 40 partecipanti ad Amarone Opera Prima, sembra chiara una tendenza verso espressioni più flessuose e immediatamente più versatili.

Amarone sugli scudi, il Ripasso “brucia” il Valpolicella

Questa evoluzione del primo vino della denominazione – decisamente apprezzabile – non sembra dettata da cali di tensione sul mercato perché, anzi, i dati presentati dal Consorzio vini della Valpolicella mostrano performance in crescita per l’Amarone, che nel 2021 ha sfiorato quota 19 milioni di bottiglie, con un +24% vendite spinte dall’export (+16%) e soprattutto dal +39% a valore sul mercato interno. Se il vino di punta traina il +16% in valore della denominazione, i numeri mostrano una parallela impennata del Ripasso che, grazie al traino delle esportazioni e a un prezzo decisamente competitivo (si parla di meno di 5 euro al litro per lo sfuso), vive una crescita costante da 15 anni, arrivando nel 2021 a triplicare i volumi rispetto al 2008. Un processo che però finisce per cannibalizzare gli spazi del Valpolicella “base”, che pure (quando ben fatto) potrebbe essere il vino d’ingresso per un pubblico giovane orientato verso la bassa gradazione e una certa facilità di beva, ma soprattutto del Valpolicella Superiore. Quest’ultimo avrebbe tutte le potenzialità per essere un grande vino identitario per la denominazione, ma in questo momento è nettamente sottovalutato.

Amarone in alleggerimento

Se è vero che una rondine non fa primavera, è pur sempre auspicabile che l’accresciuta consapevolezza in vigna e in cantina emersa dai primi assaggi dell’Amarone 2017 si possa consolidare nel tempo. Anche perché non sono solo i “soliti noti” ad aver dato buona prova con le proprie etichette, ma spunti interessanti (almeno nelle referenze di punta) sembrano venire anche da cantine più orientate ai numeri. Tra i calici che hanno lasciato il segno in anteprima ci sono dunque i campioni da botte di Secondo Marco, che sotto la spinta alcolica rivela un frutto terso e complesso, e quelli di Sartori che accompagna l’inevitabile contrattura dei tannini con una sobrietà vellutata. Tra gli Amarone già in bottiglia alcune sono conferme – dall’austerità di Bertani al sorso “classico” e polposo di Santa Sofia, fino al tannino rustico giocato con la frutta sotto spirito di Terre di Leone – e poi spiccano la sobrietà di Santi, il frutto e la sapidità di Ilatium Morini e il sorso carnoso eppure secco di Vigneti di Ettore. Dai vigneti “in quota” deriva il profilo balsamico e netto nei vini di Santa Maria Valverde e del Punta 470 di Ca’ Rugate, che si mette in evidenza per eleganza e nitidezza del sorso. Tra le realtà dai numeri più consistenti, il Torre del Falasco di Cantine di Verona sembra cogliere il trend verso una minore concentrazione (anche se non si può dire austero) mentre il Famiglia Pasqua gioca di speziature dolci, senza prendersi troppo sul serio.

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