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Arriva Chef’s Table: Pizza, Bonci e Pepe tra i protagonisti

Su Netflix la settima stagione della serie culinaria si concentra sul “disco” più amato al mondo. Ne abbiamo parlato con il regista Brian McGinn e i due maestri pizzaioli italiani.

Finalmente ci siamo: da domani, chi ha un abbonamento a Netflix potrà guardare le sei puntate della nuova stagione di Chef’s Table – la popolare serie culinaria ideata da David Gelb e prodotta da Supper Club, la società da lui fondata con Brian McGinn e Jason Sterman che, oltre ai sei “volumi” principali conta anche quelli su Francia e barbecue – dedicata a un tema molto caro a noi italiani: la pizza. Attesissima, la stagione numero sette era in ballo già dal 2020 ma la pandemia ne ha naturalmente rimandato la lavorazione all’estate 2021 e chi è stato coinvolto – dai diretti protagonisti a tutti coloro che sono parte del racconto a più voci di ciascuna puntata – ha dovuto mantenere il segreto. Fino a poche settimane fa, quando sono stati resi noti l’argomento e i sei pizzaioli prescelti per raccontare le diverse sfaccettature di quella che è ormai la nuova “star” della gastronomia mondiale, dagli Stati Uniti al Giappone passando naturalmente per l’Italia.

Si tratta di Chris Bianco (patron della Pizzeria Bianco di Phoenix, Arizona), Gabriele Bonci (creatore di Pizzarium e del panificio che porta il suo nome a Roma), Ann Kim (coreana oggi alla guida della Pizzeria Lola a Minneapolis, Minnesota, e di altri tre locali nello stato al nord degli Usa), Franco Pepe, che ha reso il piccolo borgo campano di Caiazzo una destinazione gastronomica con il suo Pepe in Grani, Yoshihiro Imai che al Monk di Kyoto, Giappone, inserisce la pizza nel suo menu omakase, e Sarah Minnick, pizzaiola e gelatiera a Portland, Oregon, dove ha aperto il suo Lovely’s Fifty Fifty.

 

La “rivoluzione della pizza”, secondo Brian McGinn

Perché proprio la pizza? Ce lo racconta Brian McGinn, che è anche regista di alcuni episodi e ha coordinato le riprese in Italia: «Risposta breve: adoro la pizza! È puro piacere e conforto. E, allo stesso tempo, il mondo della pizza è pieno di persone interessanti e appassionate, con idee molto precise su quello che fanno, il che vuol dire che c’è molto da esplorare. Ho avuto la fortuna di conoscere molti pizzaioli durante gli anni che sentivo sarebbero stati perfetti per dei bellissimi episodi di Chef’s Table, e fortunatamente Netflix ha accettato!». Tra tanti protagonisti possibili, non deve essere stato facile ridurre la rosa a solo sei in tutto il mondo. «Non c’è bisogno di dire che potremmo fare almeno cento puntate di una serie su pizzaioli fantastici, e limitarci a sei per la prima stagione è stato molto difficile. Direi che il filo conduttore è il fatto che per i nostri protagonisti la pizza è molto più che semplicemente “cibo”. È il tramite di una vera rivoluzione agricola, un modo per mostrare rispetto, per condividere tradizioni culturali e sentirsi compresi. La pizza, come racconta Nancy Silverston nel nostro trailer, è “molto di più che salsa di pomodoro e formaggio fuso”».

Di certo tutto questo è vero per i due protagonisti italiani, entrambi portatori di un’idea rivoluzionaria ed etica di pizza anche se con stili e tipologie molto diversi. E sicuramente tra i principali rappresentanti della sua evoluzione, anche se in buona compagnia: «Ero entusiasta di mostrare alcuni dei diversi stili italiani di pizza – ce ne sono molti altri, già solo a Roma! – anche le nostre scelte non sono naturalmente da intendersi come un giudizio, ma come una celebrazione. – spiega McGinn – Sono un grande ammiratore dell’Italia e degli artigiani che stanno portando la pizza a nuovi livelli di qualità, che combattono contro un sistema che predilige ingredienti economici a scapito della qualità, che si impegnano per conservare delle tradizioni e, allo stesso tempo, sanno infrangere le regole per delineare un futuro migliore. Franco e Gabriele fanno tutto questo, ma non solo i soli. Spero in futuro di poter condividere altre storie di tanti pionieri italiani nel mondo della pizza». E come mostrano gli episodi, la stessa “rivoluzione” sta avvenendo anche in altri angoli del mondo: «Sarah Minnick, a Portland, emerge in questa stagione come una persona capace di stabilire relazioni molto profonde con la comunità agricola dell’Oregon. Il suo menu cambia ogni giorno in base agli ingredienti disponibili. E Chris Bianco, protagonista del primo episodio della stagione, è stato il primo a fare una pizza artigianale con grandi prodotti, qui negli Stati Uniti, quando aprì la Pizzeria Bianco nel 1996. Ha cambiato il valore percepito della pizza negli States, rendendola qualcosa per cui la gente fosse disposta a fare ore di fila, e questo ha influenzato una generazione di chef convincendoli a diventare pizzaioli. Oggi è una vera leggenda culinaria, il “Coltrane della pizza”, come racconta uno dei nostri critici».

Dalla cucina d’autore alla pizza, dunque, consacrata ormai anche dal marchio Netflix. Ma per Brian McGinn le due cose rimangono ben separate: «Non metterei davvero a confronto pizza e fine dining, sono cose diverse. Anche se per me, alla fine, mangiare ha sempre a che fare con il piacere. Sono così fortunato da aver fatto diverse esperienze gastronomiche incredibili, e non è una cosa scontata. Quando mi capita di mangiare una pizza strepitosa è un momento pieno di gioia, così come lo è una grande cena gourmet, un bel pranzo con gli amici a un bistrot francese o sedersi al banco di un bravissimo maestro sushi di Tokyo. Quando chi prepara il cibo tiene davvero a quello che fa, quando ha impiegato tempo ed energie per arrivare a farlo al meglio, l’ambiente e il format del pasto diventano meno importanti e tu assapori soprattutto quella passione e quella cura. Questo è quello di cui sono sempre in cerca».

 

Franco Pepe, sguardo al territorio e al futuro

«Per me la puntata di Netflix rappresenta un po’ la chiusura del cerchio», racconta Franco Pepe, che a ottobre festeggia anche i primi dieci anni di Pepe in Grani e un numero notevole di successi, premi e riconoscimenti tra cui due cavalierati – del lavoro e al merito – ricevuti dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. «Non sto dicendo che sia una tappa d’arrivo, né che voglia andare in pensione, ma la vedo come un’occasione per fare una sintesi del mio percorso, e per guardare con occhio diverso al futuro», specifica il pizzaiolo di Caiazzo. «L’esperienza in sé è stata bella ma impegnativa, la troupe è stata da me per 20 giorni e insieme abbiamo girato il territorio per raccontare le tappe più importanti della mia vita lavorativa e personale, inclusi i momenti difficili», spiega Franco ben consapevole dello stile “drammatico” della serie e della necessità di condensare una vita intera in cinquanta minuti di trasmissione. «Avrei potuto cogliere quest’occasione per lavorare di più, aumentare la clientela, ma non è questo il mio obiettivo. Già da qualche anno, con il mio staff, abbiamo deciso di lavorare su quelli che per noi sono i numeri “giusti” e di non andare oltre le 400 persone al giorno per garantire a tutti gli ospiti la dovuta attenzione. Non ho sete di altri riconoscimenti se non di veder crescere il mio progetto, anche nel futuro. Allora ho deciso di sfruttare quest’opportunità per raccontare il territorio dove lavoro, e per mostrare alle giovani generazioni che dietro a un progetto di successo ci sono molti sacrifici ma che si può credere in un sogno se si hanno volontà e idee ben chiare. Io cerco di essere coerente con me stesso, mi sento appagato dal mio percorso ma sono ancora lo stesso pizzaiolo che nel 2011 tremava all’idea si salire sul palco di Identità di Pizza». Così, il racconto che vien fuori dalla puntata su di lui dovrebbe essere percepito da un lato come un “ringraziamento” al territorio e alla rete di artigiani e produttori che sono parte integrante del progetto Pepe in Grani, e dall’altro appunto come un messaggio – realistico ma incoraggiante – per i giovani, dai tanti aspiranti pizzaioli al suo team e ai figli in primis.

 

Gabriele Bonci, ritorno all’agricoltura (e alle persone)

Anche per Gabriele Bonci, la trasmissione arriva in un punto determinante della sua vita e del suo percorso lavorativo. Quarantacinque anni computi a marzo scorso, un successo planetario non sempre facile da gestire e un carattere irrequieto, da qualche tempo lo chef-pizzaiolo romano che ha rivoluzionato la pizza in teglia ha scelto un inedito “low profile”. E ora, consapevole dei rischi ma fiducioso nell’abilità del team dietro Chef’s Table, ha deciso di affidare proprio alla produzione culinaria più nota al mondo – che definisce “un prodotto mediatico ma non commerciale” – il racconto della sua rinnovata identità, che si è liberata della “dittatura della fama” per riprendere il controllo: «Le riprese sono state piuttosto “crudeli”: circa 14-15 ore al giorno per 15 giorni, ma ho sentito che fosse il momento più giusto per raccontarmi. Non volevo che uscisse la solita storiella dei ricordi della nonna e dell’elogio della campagna ma qualcosa di più vero». Niente banalizzazioni, dunque, e una sincerità che si preannuncia anche cruda ma in qualche modo salvifica: «È come se la puntata fosse divisa in due parti, che riflettono questo mio cambio di identità, uno stacco profondo che separa la parte più evidente del mio lavoro, che si basa su un’agricoltura severissima e sulle colonne imprescindibili della qualità e dell’etica, e il personaggio che si è creato con il successo, di cui sarebbe stato impossibile non parlare. Ora però quel personaggio non c’è più, resta “l’uomo della farina” legato alla terra. Mai come in questo momento mi sono sentito parte dell’agricoltura. È una sorta di rinascita, quasi un trailer di quello che verrà dopo», dice Gabriele. Anche se la trasmissione, trattandosi di un documentario, cristallizza passato e presente, lui infatti guarda al futuro: che include appunto il grande lavoro di produzione – il 90% dei prodotti che utilizza provengono dalla stretta collaborazione con agricoltori-amici, a cominciare dagli 8.500 di coltivazione alla Tenuta della Mistica con l’Associazione Volontari Capitano Ultimo (con cui collabora anche il panificatore Franco Palermo, che Bonci riconosce come maestro) – e i progetti che uniscono agricoltura, pizza e panificazione e sociale. E a testimonianza della sua indole “pasoliniana”, sottolinea: «Mi chiedono spesso di fare serate a quatto mani con chef o pizzaioli. Non è che non mi vada, ma preferisco lavorare a fianco dei ragazzi zingari dell’Associazione, che studiano per imparare dei mestieri e cambiare vita». E se la puntata Netflix si guarda comodamente dal divano, sarà poi anche il caso di andare di persona a vedere di che si tratta.

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