Giusto il tempo di atterrare da Madrid, Dubai, Berlino, Lima, Miami, Amsterdam e Il Cairo, infilare un paio di scarpe comode e montare sulla navetta diretta verso l’entroterra pugliese. È iniziata così la sei giorni di esplorazioni del patrimonio enogastronomico che Taranto custodisce nei suoi dintorni da parte dei 12 chef internazionali protagonisti, tra il 19 e il 24 settembre, della quarta edizione di Ego Festival (la seconda nella città dei due mari, dopo l’iniziale biennio leccese).
Un calendario animato a buon ritmo da incontri, talk e masterclass dedicati alla formazione professionale nel mondo della ristorazione che ha tratto slancio (e una buona dose di allegria e divertimento un po’ pop) dalla partnership con Dinner Incredible — l’iniziativa nata a Bangkok dall’intraprendenza di chef Giorgio Diana, per riunire grandi cuochi da tutto il mondo e invitarli a interpretare gli ingredienti del territorio nel corso di una cena davvero irripetibile — e dal lancio di “Cozza in the City”. Se da pochi mesi Slow Food ha deciso di premiare l’oro nero tarantino assegnando un presidio alla tradizione che dal XVI secolo sostiene l’economia locale (e che ritrova sprint nelle acque nuovamente pulite del Mar Piccolo, uno dei due laghi costieri nel cuore della città) allora vale la pena festeggiare in grande. Si tratta di un segno, propizio, che dice di come le ferite di un passato travagliato si stiano gradualmente rimarginando.
«Dopo gli 800 chilometri di belle spiagge, l’enogastronomia è la seconda leva che muove i turisti verso la nostra terra», dichiara Gianfranco Lopane, Assessore al Turismo della Regione Puglia, confermando il ruolo focale della buona tavola e del buon bere all’interno delle strategie di promozione del territorio. E quindi via libera alla catena di appuntamenti che Monica Caradonna, giornalista e ideatrice della rassegna, ha immaginato proprio intorno al tema della rigenerazione e del rinnovamento del ciclo vitale che dalla natura conduce alla tavola. Un discorso che viene da sé e procede fluentemente in Puglia, dove all’appello delle eccellenze locali non manca nessun componente del paniere ideale. «Spesso mi capita di conoscere zone che brillano per il valore di uno o due prodotti, mentre qui si trova ogni categoria di materia prima: dai salumi ai latticini, dagli ortaggi al pescato freschissimo e le carni di grande qualità. Per non parlare dell’olio e del vino» afferma l’olandese Tim Golsteijn, una stella Michelin al Bougainville di Amsterdam, che per la cena “incredibile” di venerdì 23 settembre ha distillato l’entusiasmo della scoperta in un boccone complesso ma ben architettato. “Omaggio a Laterza” — la cittadina dove gli chef hanno filato formaggi, assaggiato la tipica carne al fornello e le pagnotte di semola rimacinata tutelate dal consorzio — è il titolo della sua entrée a base di tartare di Scottona di Martina Franca e sashimi di ventresca di tonno, completata da una fetta sottile di capocollo e una cialda croccante al caciocavallo del caseificio Di Cecca: un surf’n’turf in salsa pugliese che attinge da porto e masseria.
Combina mare e orto invece “Un peruviano a Taranto”, tra i piatti più apprezzati della serata per il suo accarezzare la dolcezza dei gamberi con una leggera affumicatura, poi sferzare il tutto con un leche de tigre in versione local a base di pomodori gialli e rossi e crema di fave arrostite. A firmarlo Jaime Pesaque, patron del Mayta di Lima, quest’anno al 32mo posto nella classifica internazionale The World’s 50 Best Restaurants. L’ultimo atto, appena dopo il pre-dessert a base di finocchio e fichi d’India di Kay Baumgardt (in procinto di aprire un dessert bar in quel di Merano, prendete nota), è affidato al portoricano Antonio Bachour — fresco di nomina come Best Pastry Chef al mondo per i Best Chef Awards, per la seconda volta in quattro anni — che con un delizioso dolce privo di zuccheri aggiunti che celebra il cocco, insieme al mascarpone pugliese Di Cecca e a una fresca e profumata nota di basilico verde, conclude un percorso che non tralascia alcuna punta di diamante. Dalle olive con cozze disidratate di Giovanni Solofra (due stelle Michelin al Tre Olivi di Paestum) ai ceci di Zollino dell’hummus di Rubén Arnanz (una stella al 19.86 di Madrid), utilizzati pure da Fatmata Binta — ultima vincitrice del Basque Culinary World Prize e protagonista di una seguitissima masterclass sui progetti di cucina e agricoltura sociale che sviluppa in Ghana con la fondazione Fulani Kitchen Project — per accompagnare le costolette d’agnello. Preferisce il pesce il bretone Grégoire Berger (a capo delle cucine del Ristorante Ossiano dell’Hotel Atlantis – The Palm di Dubai), che presenta un filetto di nasello pugliese dalla cottura millimetrica insieme a un leggero gazpacho a base di cetriolo barattiere e a una foglia di shiso in tempura per corroborare il morso. Ha conquistato tutti la burrata di Andria, impiegata con il suo latte dal tedesco Christian Herrgesell (fino a pochi mesi fa head Chef di Tim Raue a Berlino, ora impegnato in eventi fine dining in giro per il mondo) per l’antipasto a base di pomodori e avocado, e per condire i mezzi paccheri di Giorgio Diana, finiti con una meno ortodossa spolverata di polvere di caffè. Non è mancata un’interpretazione asiatica della classica zuppa di cozze, che nel piatto del tailandese Nelson Chantrawan si presta a un brodo agrodolce a base di pomodoro, coriandolo e peperoncino.
Ma è la serata di sabato 24 settembre ad aver celebrato a tutti gli effetti la versatilità del mitile tarantino, che dalle acque salmastre del Mar Piccolo — alimentate da 34 sorgenti di acqua dolce provenienti dalle Murge, i “citri” — trae il suo caratteristico sapore dolce e la sapidità misurata. A “Cozza in the City” la parola è passata quindi ai ristoratori locali, undici tra cuochi di agriturismo, pizzaioli, gestori di bar che a più livelli si sono impegnati per offrire un’interpretazione che mettesse in valore il prezioso frutto di mare e le sue sfumature di gusto. Il risultato? Una grande festa alla rotonda di Villa Peripato e un’infilata di piatti valutati da una giuria presieduta da Margo Schachter (della quale siamo stati parte anche noi di Food&Wine Italia) che ha decretato come vincitore “La colazione del Pescatore” del ristorante La Cuccagna Giro di Vite di Crispiano (TA). Un antipasto che traduce il ricordo del primo pasto dei mitilicoltori in una piccola tarte a base di acqua e farina, cozze al naturale e spuma di provolone. Per mitigare la sapidità, polvere di prezzemolo e scorza di limone. Sul podio anche la fregola tirata con acqua di cozze e bisque di granchio blu ideata da Agostino Bartoli del Gatto Rosso di Taranto insieme ai cuochi della tunisina Gabès — un’ode al mediterraneo e al dialogo tra culture attraverso la gastronomia — e la pizza di Luppolo e Farina di Latiano (BR): una rilettura della marinara dove l’acqua di rilascio del mollusco serve a condire la salsa di pomodoro, mentre il frutto è maneggiato come un topping, appena saltato e addirittura fritto.
Se da queste parti la gastronomia può decisamente essere un nuovo vettore di rinascita e sviluppo lo dimostra questa iniziativa e molte altre, come l’apprezzabile progetto Radici Virtuose, un programma di promozione sostenuto dal Mipaaf, volto al rilancio dei prodotti e del paesaggio jonico salentino, che coinvolge il Consorzio di Tutela del Primitivo di Manduria, il Consorzio di Tutela dei Vini Doc Brindisi e Squinzano, il Consorzio del Salice Salentino Doc, il Consorzio dell’Olio di Puglia Igpe il DAJS – Distretto Agroalimentare di qualità Jonico Salentino. Che amiate il convivio generoso, gli uliveti secolari, le laboriose masserie o i calici intensi e genuini, Taranto potrebbe essere la meta che fa per voi.