La storia vitivinicola della famiglia Chiarlo sembra essere uscita da uno di quei libri sull’imprenditoria italiana che raccontano di come passione e fatica riescano a riscattare e valorizzare un territorio. Come quello delle colline piemontesi, portato alla ribalta mondiale in tempi non sospetti. Quest’epopea familiare di successo inizia a fine Ottocento quando Pietro Chiarlo, figlio di contadini, dopo una parentesi sia come addetto alla pulizia dei sacchi con cui si filtrava il moscato di Canelli sia come autotrasportatore in Abissinia, decise di tornare a Calamandrana, nell’astigiano, per investire i pochi risparmi nella viticoltura, la sua passione. Qualche anno più tardi suo figlio Michele decise di seguire le sue orme, riuscendo a farsi iscrivere alla scuola enologica di Alba «a patto di essere sempre promosso». Dopo il diploma nel 1956, sostenuto anche da ex compagni di studi come il grande enologo Giacomo Tachis, Michele fonda la sua modesta cantina, la Duca d’Asti, per vendere inizialmente solo barbera e moscato. «Il vino, allora, era un prodotto povero — ironizza Chiarlo — che si cercava di nobilitare almeno con il nome». Dalla sua prima vendemmia datata 1958 sono passati oltre 23mila giorni, un lasso di tempo all’interno del quale l’azienda ha continuato ad acquistare parcelle nei migliori terroir vitivinicoli piemontesi, consolidando il suo costante successo anche all’estero, dove Michele Chiarlo è stato tra i primi vignaioli ad affermarsi in mercati ancora inesplorati come il Nord Europa e gli Stati Uniti. Oggi, insieme ai figli Stefano per la parte agricola e Alberto per quella commerciale, la famiglia Chiarlo gestisce circa 150 ettari (70 di proprietà, di cui dieci a Barolo e Barbaresco e venti nella zona del Nizza) ubicati tra Langhe, Monferrato e Gavi, all’interno dei più importanti cru del Piemonte: Cannubi e Cerequio a Barolo, Tenuta La Court a Castelnuovo Calcea, Asili e Faset a Barbaresco e Rovereto a Gavi. La sostenibilità è un obiettivo cardine dell’azienda, un concetto caro alla famiglia sin dagli anni 90, quando si avviarono le prime applicazioni di lotta integrata, fitofarmaci selettivi e altre pratiche naturali. Una condotta oggi applicata a tutta la gestione, tanto che la cantina è stata tra le prime nel 2011 ad aderire al programma ministeriale di viticoltura sostenibile VIVA. Ambizioso anche il progetto di hospitality con la costruzione di Palás Cerequio, il primo relais dedicato ai cru del Barolo, nato dal recupero di un palazzo nobiliare del Settecento.
Michele Chiarlo
- 29 Novembre 2022
- Redazione