Ricordo che il mio primo viaggio a St. John è stato in catamarano dalla vicina St. Thomas, nel 1991. In seguito, l’isola è diventata per me e la mia famiglia una meta fissa a febbraio di ogni anno, per almeno una settimana. Quella striscia di terra lunga 14 km — la più piccola delle Isole Vergini Americane, appena a est di Porto Rico — è stata a tutti gli effetti per noi una seconda casa. Tanto che dopo la scomparsa di mio padre, a soli 57 anni, prendemmo una barca a vela da Caneel Bay Beach per disperdere le sue ceneri in mare, con le note di Springsteen a fare da sottofondo. In quegli anni, e ancora per alcuni altri a seguire, St. John è rimasta come assopita. Assistere piano piano al suo sviluppo è stato come osservare una pentola che bolle: un cambiamento che non si verifica di colpo ma che avanza in maniera lenta e graduale.
Quando però, cinque anni fa, gli uragani di categoria 5 Irma e Maria hanno provocato uno dopo l’altro danni catastrofici, l’isola ha dovuto davvero lottare per rialzarsi. La storia della sua rinascita, dei suoi nuovi ristoranti, del suo fiorente movimento culturale e della sua resilienza di fronte alle avversità è stata poi nuovamente oscurata da un altro episodio drammatico: la pandemia. Eppure, nonostante le difficoltà, oggi St. John vive un vero e proprio rinascimento culinario. Un’energia, questa, presente in quasi tutti i ristoranti dell’isola, la stessa che ho avvertito durante la mia ultima visita, in una mite serata di gennaio, da ZoZo’s (visitate zozosatcaneelbay.com per informazioni). Per arrivarci è necessario attraversare il vecchio ingresso del Caneel Bay Resort, che oggi purtroppo non esiste più, e superarne le macerie. Il ristorante sorge nel punto esatto in cui storia e catastrofe si sono avvicendate, lungo una fetta di sabbia incontaminata – memento di ciò che St. John era una volta, testimonianza della sua resilienza e segno, allo stesso tempo, di come finalmente stia evolvendo. Pioveva a dirotto quando il taxi ci ha portato a destinazione, ma nessuno di noi sembrava farci caso. Dopo esserci accomodati davanti a un bel piatto di bucatini ben cosparsi di tartufo è stato facile per me e mio marito dimenticare per un attimo la tempesta, o quasi. «Come ci ricorda sempre Madre Natura, quando l’uomo fa progetti, Dio ride», mi ha detto il proprietario John Ferrigno. ZoZo’s è il quinto avamposto da lui creato sull’isola in 25 anni e il secondo in questa sede. «I lavori di ricostruzione hanno dovuto partire da zero», ha aggiunto.
Quella stessa energia, forse, mi ha portato a commettere un classico errore da viaggiatore, ahimè irrecuperabile, al Morgan’s Mango (morgansmango.com), appena un attimo dopo aver realizzato di trovarmi a una delle tavole più ambite dell’isola. Ogni martedì e sabato — purché lo permettano i capricci del mare, come spiega il titolare Carlos Di Blasi — qui si propone la specialità della casa: aragosta caraibica. Pescata localmente, è cotta alla griglia e servita con burro fuso aromatizzato, platano, riso e fagioli neri. Oltre che ovviamente per l’aragosta, i clienti apprezzano questo posto per la sua autenticità. «Nel 2015 siamo stati colpiti da un incendio che ci ha costretto a restare chiusi per otto mesi — racconta Di Blasi —. Poi, nel 2017, c’è stato l’uragano». Al ristorante non erano abituati a ricevere prenotazioni in anticipo, stando a quel che racconta; ora invece auguri a chi non organizza la sua visita settimane prima (e anche a chi non sceglie l’aragosta, come me – nonostante la cameriera mi avesse preannunciato che me ne sarei pentita. E così è stato). Su una destinazione selvaggia e aspra come St. John, sulla quale vigono le regole dell’enorme parco nazionale la cui area protetta copre circa il 60% del territorio, sembra che un interruttore abbia appena acceso la luce. E lo dimostra il fatto che persino i pilastri della sua ristorazione si stanno reinventando. Malgrado le vicende durissime che l’hanno colpita negli ultimi 5 anni, la scena gastronomica dell’isola ha dimostrato infatti di saper reagire con elasticità. La scorsa primavera Alex Ewald, proprietaria de La Tapa (latapastjohn.com, un locale aperto nel 1996), ha trasferito il ristorante sulla spiaggia di Cruz Bay. «L’asticella si è alzata», sostiene. In fondo, quella di St. John non è che una piccola comunità e la spinta a migliorare il livello del cibo è davvero palpabile. Alcuni dei cuochi più giovani, passati per le cucine degli stessi Ewald, Ferrigno e Di Blasi, stanno tracciando percorsi culinari personali e ritagliandosi così il proprio spazio. Tra questi anche Chelsea e Richard Baranowski, una coppia sposata di trentenni di St. John che nel 2019 ha aperto un chiosco di tacos galleggiante a Hansen Bay (adesso spostato a Coral Bay Harbor), chiamato Lime Out (aperto stagionalmente; consultate limeoutvi.com per informazioni). In un pomeriggio umido, tra uno scroscio e l’altro, mio marito, i miei figli e io ci siamo tuffati dalla nostra barca a vela per nuotare fino al chiosco, dove ho ordinato un taco con tonno fresco, pico de gallo e insalata coleslaw al chipotle e uno invece con ceviche di lampuga, coriandolo, ravanelli croccanti e la giusta quantità di jalapeño. «Ci piacerebbe si lavorasse di più con il cibo locale e crediamo sia ora che qualcuno si prenda questa responsabilità», afferma Chelsea Baranowski. L’espressione “cibo locale”, in un luogo come St. John, racchiude diversi significati. Come quella di molte altre nei Caraibi, la storia dell’isola è infatti assai complessa. Nel 1675 i danesi la rivendicarono come propria e di lì a 40 anni la colonizzarono insieme ai latifondisti della vicina St. Thomas; fino a quando, nel 1733, una rivolta di schiavi non li costrinse ad andarsene. Rimase poi sotto il dominio danese fino al 1917, anno in cui la terra venne comprata dagli Stati Uniti. Ma, con qualsiasi sfumatura si legga il termine “locale”, è evidente quanto la comunità di St. John possa attingere, ora più che mai, a riserve inesauribili di creatività. Sono molte, ad esempio, le attività che hanno a poco a poco conquistato gli amanti delle spiagge, un panino e un caffè alla volta.
Durante l’ultima mattina che abbiamo passato lì, mentre ci recavamo a Hawksnest Beach per rilassarci in compagnia delle tartarughe, ci siamo fermati da St. John Provisions (instagram.com/stjprovisions), il negozietto di Meredith DeBusk a Cruz Bay. In questo piccolo locale si trovano dolci fatti in casa, bagel, caffè e i ghiaccioli senza latticini di Irie Pops (iriepops.com; il loro quartier generale, che serve anche gelati senza latticini e granite alcoliche, si trova in fondo alla strada, a Mongoose Junction). Una volta raggiunta Hawksnest Beach ho passato il fagottino di sfoglia con prosciutto e formaggio ancora tiepido a mio marito, il quale — a mani vuote in un attimo — mi ha guardato con il sorriso di chi, stupito, ha scoperto qualcosa di incredibile in un posto inaspettato. Un piccolo tesoro. Ed è proprio questo che St. John rappresenta per me: un’oasi dai tesori sepolti, sempre sul punto di riemergere da qualche parte. Un’isola che ribolle sotto la superficie, pronta a esplodere con la sua perfezione.
COME ARRIVARE
I viaggiatori internazionali atterrano all’aeroporto Cyril E. King, sull’isola di St. Thomas. Da lì si può prendere il traghetto per soli passeggeri o il traghetto per auto e passeggeri da Red Hook, sull’altro lato dell’isola, facilmente raggiungibile in taxi. I biglietti vanno prenotati in anticipo (stjohnticketing.com; bigredbarge.co).
DOVE ALLOGGIARE
A causa degli ingenti danni provocati dagli uragani, sull’isola sono presenti pochissimi alberghi; soggiornare in case vacanza private può essere quindi la soluzione ideale.
Limetree a Peter Bay
Questa villa, affacciata su uno dei tratti di spiaggia più famosi di St. John, può ospitare comodamente fino a 10 persone e vanta cinque camere da letto e quattro bagni e mezzo. Dispone di piscina, vasca idromassaggio e cucina completamente attrezzata, per un soggiorno all’insegna del lusso e del comfort (wheretostay.com).
Mooncottage
Situata sul lato orientale dell’isola, questa meravigliosa dimora dall’atmosfera romantica si affaccia su Coral Bay e può accogliere fino a quattro persone. Dispone di una camera da letto, due bagni, una piscina privata, un giardino e una veranda coperta (caribbeanvilla.com).