Alex Atala

Identità Golose 2023, primo giorno

La rivoluzione è servita: dagli attesi ritorni di ospiti internazionali, come Andoni Luis Aduriz dalla Spagna e Alex Atala dal Brasile, alla "non pizza" romana, ma si è parlato anche di intelligenza artificiale degli odori e di quanto la tv abbia cambiato la cucina (e la vita) di alcuni chef.

Si è alzato sabato 28 gennaio il sipario della diciottesima edizione di Identità Golose Milano, il congresso internazionale di cucina e pasticceria d’autore ideato da Paolo Marchi e Claudio Ceroni. Scenografie e palchi rinnovati hanno finalmente accolto grandi ospiti internazionali per servire “su un bel piattino”, citando il discorso di apertura del direttore artistico Davide Rampello, il tema di quest’anno: la rivoluzione

Il primo dei nostalgici cuochi a prendere la parola è stato Andoni Luis Aduriz, chef e patron del Mugaritz nei Paesi Baschi, anticipatore di tendenze in cucina, dal menu che ha abbattuto la divisione tra le portate – adesso c’è un unico menu con 20 piccoli e sorprendenti piatti – al camouflage di angurie che sembrano carpacci (allora le mode ritornano!), che intervenne su questo palco per la prima volta nel 2005: «18 anni fa, 18 chili in meno, 18 milioni di neuroni in più», ironizza uno dei lumi della cucina basca. Una prova tangente della sua rilevanza nella scena della gastronomia mondiale? Il Mugaritz chiude ogni anno – almeno quattro mesi – per fare ricerca, teorica e pratica, sul nuovo menu, e sono davvero in pochi a poterselo permettere. Secondo lui, la creatività più che un esercizio di stile è una forma mentis perché alla fine «una delle cose che ci differenzia dagli animali è la capacità, tutta umana, di anticipare cose che non esistono, quindi immaginare. Chi non si preoccupa del suo futuro non ha futuro». E lui in primis continua a mettersi costantemente in discussione.

Tra i primi a immaginare un futuro gastronomico per il suo paese, ovvero il Brasile, c’è Alex Atala, anche lui tornato a Identità Golose dopo diverso tempo. «Con Paolo (Marchi, ndr) ricordavamo che circa 15 anni fa – prende la parola il nostro Direttore Responsabile Federico De Cesare Viola che ha moderato l’intervento dello chef del D.O.M. di San Paolo – il nostro ospite presentò delle Fettuccine di cuore di palma: ci sorprese e ci stregò tutti con un repertorio nuovo di prodotti amazzonici». All’epoca la sua fu una doppia rivoluzione: sicuramente interna al Brasile perché riuscì a colmare una distanza culturale grazie ai prodotti poveri che gli stessi suoi connazionali non conoscevano; e ancora di più fu una rivoluzione che cambiò la mappa mondiale della gastronomia, accendendo i riflettori su ciò che avveniva dall’altra parte del globo. La cucina brasiliana fu finalmente mostrata al mondo. In uno dei paesi con una delle biodiversità maggiori al mondo, però, tutti si aspettano l’effetto sorpresa nel piatto. Questo ha fatto accendere in Atala una lampadina: «Se la rivoluzione deve essere fatta da tutti, avere l’esclusività di un prodotto non è più poi così rivoluzionario. Ho deciso allora di puntare sul lusso. Quale? Molti potrebbero dire caviale o tartufo bianco. Io no. Questi ingredienti in mano di qualcuno che non è bravo non sono buoni. Il lusso è l’abilità umana di trasformare un prodotto in emozione, ecco cos’è il vero lusso: non fare da mangiare ma fare sospirare»

Sul ruolo dell’olfatto è intervenuto invece Harold McGee, stimato neuroscienziato vocato alla scienza del cibo, che ha ricordato l’importanza di allenare gli stimoli odorosi, anche solo andando in dispensa per annusare aromi e spezie. Un esercizio di stile a cui potrebbero sottoporsi anche i professionisti della cucina per affinare la propria sensibilità olfattiva: «Lo fanno i nasi nel mondo della profumeria quanto gli assaggiatori di vini. L’olfatto è un senso guida per l’uomo e per questo profumi e odori hanno la capacità di innescare ricordi ed emozioni». Non a caso si parla proprio di memoria olfattiva. In questo oggi ci aiuta però anche l’intelligenza artificiale: «Esiste un progetto molto interessante, Osmo, grazie al quale si possono individuare le molecole responsabili degli odori e prevedere di cosa odoreranno sostanze che non conosciamo, soltanto in base alla loro composizione molecolare». L’odore preferito di McGee? L’oud.

Quattro su cinque i protagonisti italiani di Chef’s Table (sarà oggi l’intervento di Bottura) che con David Gelb, produttore esecutivo, e Faith Willinger, giornalista e autrice della docuserie, hanno testimoniato quanto la rivoluzione avvenuta per gli spettatori sul piccolo schermo per loro abbia invece significato una rivoluzione personale. Franco Pepe, ad esempio, ripercorrendo con le telecamere i luoghi paterni dove si è formato ha vissuto un felice riavvicinamento con la famiglia; per Gabriele Bonci questa esperienza ha rappresentato l’opportunità per emanciparsi dal personaggio ingombrante che era diventato; Corrado Assenza ha confermato quanto la sua partecipazione sia stata una potente cassa di risonanza per il Caffè Sicilia: l’anno successivo alla visita del regista non c’era neanche un tavolino libero per sedersi; Dario Cecchini nel nominare la Willinger come l’India Jones della cucina italiana l’ha ringraziata per aver dato voce a una categoria di artigiani di cui nessuno (ancora) aveva parlato, i macellai.

Alla rivoluzione risponde in modo un po’ provocatorio il nostro ultimo Pizza Chef Jacopo Mercuro di 180grammi a Roma che al suo debutto al Congresso ha deciso di portare una “non pizza”, «con un condimento discutibile» ha aggiunto lui. Si tratta di un lievitato “fluffy” – gli affezionati della pizzeria nel quartiere di Centocelle riconosceranno la citazione di uno dei suoi dolci – simile a un croissant cotto e farcito proprio alla maniera di una pizza. Come? Con pastrami di ananas e bacon. Insomma, rivoluzione nell’impasto e nel ripieno.

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