Per chi su questo palco è già salito diciassette volte, sarebbe stato scontato portare il piatto che tutti ci saremmo aspettati, ovvero Kiwi, zenzero e coriandolo, il signature del Congresso di Identità Golose 2023. Carlo Cracco e Luca Sacchi, suo sous-chef da Cracco in Galleria, hanno invece sorpreso la platea con una preparazione ancora inedita per il ristorante milanese che a breve uscirà nel menu: il Coniglio in royale bianca. Perché questa carne? «Spesso non si riesce a valorizzarla se non con elementi che la sovrastino – spiega Sacchi –. E poi appartiene alla terra dove siamo (la Lombardia, ndr)». Il riferimento rimanda subito a uno dei classici dell’alta cucina, la lepre à la royale: «Abbiamo ripercorso la stessa strada senza però volerli accumunare; il risultato finale sembra pressoché coniglio à la royale. Per la salsa (bianchissima) ci abbiamo messo un po’: è stata tolta qualsiasi parte di grasso ripristinata solo con del latte di mandorla. Nella farcia, polpa, mele gialle, pochissimo parmigiano, pinoli, lardo cotto e mascarpone che un tempo non era altro che il latte munto ancora caldo che serviva per ingrassare una carne altrimenti asciugata dalla brace. In questo caso la tecnica deriva dalla cottura dei capponi nel periodo natalizio di rosticceria». Da questi presupposti pare esserci un ritorno all’atto del cucinare, o alla “cucina cucinata” come incalza il collega Gabriele Zanatta. Rivoluzionario anche questo. «È quello che stiamo cercando di fare: molta pulizia nei piatti per fissare il bello a livello di leggerezza, senza rinunciare a complessità e nobiltà di gusto. Ecco il riassunto della nostra cucina».
Ancora una volta è l’Auditorium il luogo dove tornare a parlare di Chef’s Table (dopo il primo appuntamento di ieri) e di quanto la televisione abbia inciso nella vita di Massimo Bottura e Giorgio Locatelli. Se come ha ricordato Davide Rampello in apertura di talk la rivoluzione della cucina nella tv italiana si deve a Mario Soldati con il suo programma “Viaggio nella valle del Po'”, il grande anticipatore della serie Netflix dedicata a chef e pizza chef è stato il documentario “Jiro Dreams of Sushi”, come ricorda il collega Gabriele Zanatta e come confermano Brian McGinn e David Gelb (proprio lui è il regista di entrambi i prodotti). Ma cosa ha significato questa partecipazione per il tristellato della Francescana che prima teneva a distanza le telecamere? «Visibilità a livello mondiale e il posizionamento di Modena come ambita destinazione gastronomica; senza dimenticare che è stato una cassa di risonanza fino a raggiungere le nuove generazioni». Accanto a lui, Locatelli ricorda che grazie alla serie “I Buongustai dell’arte”, sul canale italiano Sky Arte, ha trattato allo stesso modo temi quali arte e cibo. Entrambi sono due prodotti culturali. Ci ha pensato Chef’s Table poi a far sognare gli chef del domani. E non è sempre così facile.
È la brace la protagonista del doppio intervento di Identità di fuoco con Errico Recanati e Jessica Rosval. Lo chef marchigiano ha usato questa tecnica di cottura per ridare un’identità alle frattaglie, dal cuore di agnello lasciato marinare e usato come “bottarga di carne” sullo scampo, al fegato appeso che alla fine si mangia con il cucchiaino, fino alla milza dell’agnello che odora di fungo porcino secco e al cuore di bue che cuoce in modo indiretto sulla griglia. «È dal cuore infatti che partono tutte le rivoluzioni. Volevo che si tornasse a riconoscere e a distinguere il gusto delle frattaglie: in passato sono state cotte “male”, io ho cercato di ridare cottura e texture». È stata la nebbia romagnola delle fotografie di Luigi Ghiri la fonte che ha ispirato la chef canadese dietro Massimo Bottura, che in questa stessa giornata ha ritirato anche il premio Piatto dell’Anno con le sue Short Ribs Forever. «La cottura con il fuoco ci accompagna dagli albori della civiltà ed è l’inizio di tutto. Da Casa Maria Luigia ci siamo lanciati in preparazione più complesse e gestuali che togliendo in qualche modo hanno aggiunto al piatto». Sale e fuoco sono due elementi fondamentali in molte delle sue preparazioni. Dal Mare e Melone, per esempio, che cita l’iconico piatto estivo in freschezza e sapidità sostituendo però il salume con capesante marinate in sale e finocchietto, al Merluzzo in cui il sale viene affumicato al pino. «Lavorando con il forno a legna volevamo scoprire altri modi di introdurre il calore dentro l’ingrediente: usiamo dei blocchi di sale scaldati a 400°C per le nostre affumicature e in questo modo i sapori vengono fissati in modo molto profondo».
Chi pensa di sapere tutto sulla pasta, ad esempio, dovrà ricredersi. Parola di Giuseppe Iannotti, due stelle Michelin al Krèsios, nostalgico che si presenta al Congresso con la sua Pastina con il formaggino: si parte da una mozzarella di bufala per terminare con l’uso dell’acqua di osmosi. La rivoluzione ancora una volta sta nella tecnica, probabilmente studiata a tavolino considerato il suo passato da ingegnere informatico. Ma nessuno al suo ristorante chiederà come fosse quel piatto: «Non ci interessa. Il buono è come il bello, c’è a chi piace e a chi no. Parlando di arte, lo dico sempre, chi apprezza Caravaggio non apprezza Picasso, pensando che Picasso non sa fare una fare una “o” con un bicchiere; chi apprezza Picasso non apprezza Caravaggio perché dice che è obsoleto. Quello che interessa a noi è come un ospite sta: oggi il vero lusso delle persone che vengono a mangiare da noi è il tempo».
Sulle origini della pasta ha poi ragionato Marco Ambrosino che, prossimo ad aprire il suo nuovo locale a Napoli, ha preparato una Pasta stagionata nelle foglie di fico, salsa di pasta fermentata e ippocrasso di vino di pasta, quest’ultimo si rifà a una bevanda antica da bere a mo’ di shot: una Pasta al quadrato come l’ha chiamata lui che, in questa fruizione (anche) liquida, ricorda un po’ l’amasake, crema ottenuta dalla fermentazione di un cereale. A differenza del mondo asiatico qui abbiamo acidità.
Il nuovo spazio Arena nel pomeriggio ha ospitato Fondazione Cotarella con una sessione di Golosi di identità che ha parlato dell’importanza dell’accoglienza e del territorio, bellezze che sono il vero Pil del nostro Paese. Un talk ricchissimo di testimonianze, dal mondo dell’hôtellerie a quello dell’automotive, per snocciolare insieme il senso della parola ospitalità da più angolazioni e prospettive. «È un concetto che racchiude in sé diversi significati: innovazione, ricerca, cura del dettaglio», commenta il nostro Direttore Responsabile Federico De Cesare Viola che introduce subito Martino De Rosa, Ceo di atCarmen, che racconta l’ospitalità de L’Albereta (che quest’anno compie 30 anni) in Franciacorta e de L’Andana in Toscana. Una visione che è stata pioniera mettendo al centro il vino (loro sono soprattutto produttori di vino con Terra Moretti) e l’alta cucina, in primis con Gualtiero Marchesi che nel 1993 aveva già 3 stelle Michelin. Da allora, 9 camere, 3 stelle Michelin, Marchesi, Cracco, Berton. Più recente è il legame con Franco Pepe che con La Filiale ha portato la sua pizza nel Relais & Chateaux a Erbusco. Il round si fa sempre più interessante con l’intervento di Luciano Sbraga, vicedirettore generale di Federazione Italiana Pubblici Esercizi – Confcommercio, secondo cui è ospite chi accoglie e chi viene accolto in un discorso di scambio e di reciprocità. La direzione giusta? «Formazione, formazione, formazione. Abbiamo bisogno di ripensare il modello di queste imprese, si deve parlare di più di sostenibilità economica: l’accoglienza è un motore trainante del Made in Italy». La formazione sembra sia una parola chiave anche per Antonio Barreca, direttore generale di Federturismo – Confindustria, che restituisce una fotografia abbastanza positiva per il turismo dell’ultimo anno, ma si tende a standardizzare. «Dobbiamo investire sulla formazione, valorizzando la figura professione come tanti anni fa è stato fatto per quella del cuoco. Il turismo e la cultura sono due cose diverse, dal il turismo business a quello legato al benessere o allo shopping. Ci scandalizziamo per questo? No. Oggi le persone cercano esperienze lontane dai luoghi affollati». Un altro mondo strategico è dell’automotive per introdurre Elena Alberti, Managing Director e Cfo della Penske Automotive Italy, che con Tommaso Trussardi ha avviato una collaborazione tra le concessionarie di brand premium e Fast Car Slow Food per un’interpretazione del lusso su strada e a tavola. «Il regalo più bello che mi ha fatto l’America è come oggi vedo l’Italia e sono emozionata dalla bellezza che mi circonda». L’indagine sulla sala condotta da Fine Dining Lovers è stata spiegata da Valeria Raimondi, direttore e responsabile del magazine targato S.Pellegrino e Acqua Panna, che in attesa di svelare le migliori esperienze indicate (in modo anonimo) dai votanti, ha commentato i dati più rilevanti della ricerca, dalla carenza di personale a ciò che gli utenti si aspettano da un buon servizio. Se si continua a parlare di rivoluzione nei Paesi Baschi è anche grazie a un luogo che è diventato un punto di riferimento assoluto in termini di ricerca e innovazione: il Basque Culinary Center. «Noi abbiamo cominciato questo percorso dodici anni fa e adesso siamo una Università, un centro tecnologico di gastronomia e un incubatore di eventi – dichiara Joxe Mari Aizega, Direttore della scuola a San Sebastián –. La nostra visione della gastronomia è ampia, ci sono diverse espressioni e diversi professionisti. Il futuro della gastronomia dipenderà da una parte molto importante dell’educazione. La nostra è una visione multidisciplinare». Il modello formativo deve essere quindi diversificato: «Il servizio è bianco o nero, l’ospitalità è colore».