Dopo un’annata 2018 caratterizzata da un’eleganza più esile, capace di rendere immediato il sorso di molti Barolo, l’ingresso sul mercato dell’annata 2019 – presentata all’evento annuale Grandi Langhe – riporta nei calici un’annata che molti definiscono “classica”. Tornano così le strutture e i profili tannici che fin dal primo assaggio iniziano a chiedere tempo mentre, sul fronte dello stile, sembra che il Barolo contemporaneo sia indirizzato verso una finezza che esalta la complessità senza muscolarità ingombranti, la godibilità senza morbidezze. Il 2018 era stata un’annata ideale per assecondare questa tendenza, ma il 2019 come si comporta alla prova del calice? All’assaggio nei Barolo appena entrati sul mercato si riconosce un bilanciamento di tannini compatti e profondità, con un’espressione più austera rispetto alla flessuosità del 2018. Contestualmente i Barbaresco 2019 assaggiati lo scorso anno a Grandi Langhe avevano la stessa austerità, mentre l’annata 2020 che alcuni produttori hanno già portato sul mercato a gennaio sembra più giocata sul frutto, con una presenza di tannini meno contratti e dunque in qualche modo più immediata nella beva. Risulta infine particolarmente intrigante l’assaggio dei primi Roero 2020 (in realtà la maggioranza dei produttori uscirà sul mercato tra qualche mese se non tra qualche anno), perché l’annata permette di riconoscere le peculiarità del terroir. Il Nebbiolo di questo pezzo di Langa porta infatti a emergere una finezza che rappresenta una cifra di eleganza per vini che possono arricchirsi nel tempo, ma che quasi sempre sono godibili anche appena usciti dalla cantina.
Cosa significa classicità?
Una delle parole maggiormente utilizzate dai produttori in Langa per definire l’annata 2019 è “classicità”. E in questo territorio dall’anima sobria, classico vuol dire anche austero. Allo stesso tempo, la classicità di questo millesimo è disegnata dalle interpretazioni che i vignaioli e le cantine hanno dato al prodotto della vigna.
Accade così che vini molto differenti possano essere considerati “classici” nell’ottica di un approccio diversificato alla tradizione. Se l’onda lunga del fenomeno Barolo boys, che ormai quarant’anni fa ha portato in Langa qualche tostatura più marcata e qualche speziatura accentuata dalle barrique nuove, rimane ancora un riferimento stilistico riconoscibile delle dolcezze o nella concentrazione di alcuni vini, in altri calici l’utilizzo di contenitori più grandi e più neutri porta maggiore verticalità, una spiccata tonicità, una finezza che dà slancio al Barolo e che arriva – giocando di similitudini – a far assomigliare un Barbaresco a un Grignolino.
Il significato di “classicità” si avvicina allora a quello di “eleganza” – per cui ogni interpretazione appare legittimamente di valore, purché risulti intrigante al sorso. E allora risultano classici il Barolo Monvigliero di Poderi Einaudi, che rivela con una finezza limpida e una nettezza nella pulizia del tannino una delle espressioni più seducenti del cru, e il Barolo Badarina di Bruna Grimaldi, giocato più sul frutto e su una sapidità accattivante, o il più concentrato e speziato Barolo di Pio Cesare, ma anche il Bricco Voghera di Tenuta Cucco, intessuto della sobrietà di Serralunga d’Alba eppure lineare nella beva, tanto quanto i Lazzarito di Vietti e di Fontanafredda, che restituiscono la tensione brillante del cru. Sono questi alcuni dei Barolo più interessanti frutto dell’annata 2019 (per chi è già uscito sul mercato) e del 2018 (per chi esce alla fine dell’anno). Si aggiungono senza dubbio il Pajana dal cru Ginestra di Domenico Clerico, il Cerequio di Michele Chiarlo, il Bricco delle Viole di G.D. Vajra (anche se forse incanta di più il Baudana), la limited edition di Mauro Sebaste, il Monvigliero dei Fratelli Alessandria, il Brunella di Boroli, i seducenti (per una finezza tenace) Rocche Rivera e Vignarionda di Figli Luigi Oddero, il Castelletto di Castello di Perno, il più morbido Rocche di Castelletto di Cascina Chicco. Tra i 2018 in assaggio a Grandi Langhe si sono fatti notare il Brunate di Marcarini, il Ginestra di Diego Conterno, il barolo di Poderi Moretti e il sorprendente Parussi di Sobrero, che gioca su tonalità vellutate che sfumano al palato.
Tra i calici di Barbaresco, si fanno apprezzare la finezza – che non nasconde il frutto – della cantina Mura Mura, la compattezza austera del Reyna di Michele Chiarlo, la tensione del Bernadot di Ceretto, la struttura di Pio Cesare. Tutte da provare, le differenti espressioni di Albino Rocca.
Da segnalare, infine, tra i Roero, quelli di Poderi Moretti e Chiesa (il Monfriggio in particolare), il Bin Fait di Cascina Lanzarotti, il Pierin di Poderi Vaiot, il Monfrini di Ponchione.