Il 15 marzo scorso Daniele Citeroni Maurizi ha aperto le porte del suo locale al pubblico dopo la chiusura stagionale per la ventitreesima volta: lo chef marchigiano aveva infatti solo 22 anni quando ha inaugurato Osteria Ophis, il locale nel cuore del centro storico di Offida, delizioso borgo marchigiano a 25 chilometri da Ascoli Piceno famoso per la lavorazione dei merletti al tombolo e per il meraviglioso teatro barocco del Serpente Aureo.
In questi anni – in cui Citeroni si è speso spesso per la promozione del territorio e della cittadina portandovi chef ospiti e organizzando eventi – Osteria Ophis si è fatta conoscere per la cucina contemporanea e raffinata, per quanto mai troppo lontana dalla tradizione locale, che gli ha valso tanto il Bib Gourmand Michelin che altri riconoscimenti come trattoria (categoria che, a nostro parere, sta alquanto stretta). Dal 2015 al ristorante ospitato nel settecentesco Palazzo Alessandrini si era affiancato anche l’Ophis Lab, panificio-bistrot-enoteca a due passi, ora chiuso per la difficoltà a gestire gli orari e gli impegni della panificazione. E il 2019 in particolare, racconta lo chef, era stato un anno di svolta con grandi soddisfazioni di pubblico e critica, e con un flusso turistico guidato principalmente dalla voglia di provare la sua cucina di cui aveva beneficiato tutta la cittadina a cominciare dalle strutture ricettive (incluso Le Tre Scalette, il B&B in un bel palazzo storico gestito in prima persona da Daniele e la moglie).
Poi, il Covid e tutto quello che sappiamo, la difficoltà di trovare personale – per quanto adesso possa contare su una squadra ben salda in cucina e su giovani ma valide collaboratrici in sala –, l’attenzione rinnovata alla vita personale e, soprattutto, una riflessione che lo ha portato a fare scelte un po’ diverse: «Ho deciso di fare qualche passo indietro, nel senso di eliminare i fronzoli e concentrarmi di più sulla cucina e quello che c’è nei piatti. Da un lato mi aiuta ad avere meno pesi economici, e a concentrare le risorse sul personale che deve essere soddisfatto e lavorare bene. Penso che il 2023, da questo punto di vista, sarà l’anno più difficile in cui “pagheremo” quello che è successo nei due precedenti, e bisogna stare attenti», spiega. «Ma è stata anche e soprattutto un’esigenza personale: avevo voglia e bisogno di stare in cucina in modo diverso, di bruciarmi, pelare patate e tagliare cipolle! Ero arrivato a un punto in cui mi sono sentito più manager che cuoco, sono voluto tornare a padelle e fuoco, con cotture espresse e piatti più immediati».
Nasce così il nuovo menu che ha chiamato Trasversale: una sorta di percorso che attraversa buona parte del territorio piceno, lungo 65 chilometri in linea ricurva come le dolci colline dell’entroterra marchigiano. Quelli che portano dalla costa fermana alla montagna, da Lapedona – dove cresce la deliziosa cipolla piatta di Pedaso, nell’azienda RasoTerra di Yuri Marchioni – ai quasi ottocento metri di Arquata del Tronto, dai cui arrivano funghi saporiti. Passando per Offida con le sue specialità e i vini, naturalmente, ma anche per la vicina Castignano dove si alleva un castrato incredibilmente gustoso, per Gualdo – dove l’azienda Lai produce un ottimo e intenso pecorino –, per Montalto di Castro dove Gregori coltiva le pregiate olive di varietà Ascolana Tenera, per Belmonte Piceno dove nascono i formaggi di Fontegranne. Un posto di riguardo ce l’hanno gli ortaggi, coltivati da aziende “amiche” – ad esempio, oltre alla già citata RasoTerra, I Tuzi di Ortezzano e Terra di Mezzo a Montedinove – o nell’orto di famiglia, battezzato Le Terre di Scè in onore del signore Ascienso (il nonno dello chef), dove si raccolgono erbe spontanee e misticanze. Tanti dei piatti del nuovo menu hanno un’importante componente vegetale che segue naturalmente il corso delle stagioni, senza volersi dichiarare vegetariani. E soprattutto senza abbandonare la passione di Daniele per gli animali di bassa corte e per la tradizione di un territorio che ha le proprie radici gastronomiche in gran parte nelle carni: a patto però che siano lavorate e proposte in maniera intelligente e ben calibrata, nelle quantità e nell’uso di ogni parte.
Così il menu Trasversale – nella sua versione d’inizio primavera, ma cambierà all’incirca ogni due mesi – si snoda attraverso sei portate (alla cifra più che accessibile di 65 euro) precedute dalla sequenza di assaggi di benvenuto che resta invece costante: dall’oliva all’ascolana ricostruita in gelatina al “chichì” – tipico paninetto, qui con impasto bao, ripieno di tonno e sottaceti – fino al pancotto alle erbe rivisitato, servito sotto forma di crocchetta tubolare a richiamare il tombolo, con tanto di base ad hoc e “merletto” di acqua e farina come decorazione edibile. Poi ecco il porro, ultimo scampolo d’inverno, accompagnato dalla crema di patate e zafferano locale e dalla nota acidula del caprino. Il carciofo – piatto signature di Citeroni, arrivato alla decima edizione – è grigliato alla perfezione direttamente sulle braci, condito con olio, sale, pepe, prezzemolo, mentuccia, aglio orsino e panna alle erbe aromatiche, ma anche dal pane croccante e da una splendida crema acida a base del gambo dell’ortaggio stesso lavorato in giardiniera. Il cipollotto (sempre in arrivo da Pedaso) è insaporito da sale, pepe e lardo, talmente delicato da dare morbidezza ma non grassezza, ed è appoggiato su una crema di fagioli e fegato e finito con del brodo di scarti di cipolla, in un boccone praticamente prefetto.
È poi il turno dei Caciù e pepe, che riprendono i calcioni (o caciù, appunto) rustici marchigiani al forno in una sorta di tortelli ripieni di formaggio (un mix di Parmigiano e Pecorino di Gualdo entrambi a lunga stagionatura), serviti con un brodo vegetale al pepe, in una riuscitissima variante del primo piatto romanesco. Ma il vero capolavoro è il castrato cotto alla perfezione, accompagnato dalla misticanza dell’orto che alterna note fresche, acide e piccanti, con una cialdina di patate ripiena di crema inglese al tartufo e da un superbo fondo di castrato arricchito con funghi secchi e frutta reidratata (mela, frutti di bosco e kiwi) a dare acidità ed eleganza.
La “passeggiata nel Piceno” si conclude a Offida, con il “tartufo al caffè” (in questo caso d’orzo, aromatico e non invadente) che è insieme un omaggio agli anni Ottanta e, di nuovo, al territorio. A completare il semifreddo alla vaniglia con cuore di cacao, infatti, è una granella di funghetto offidano: tipico dolcetto locale nato nei conventi, è un boccone di pasta di mandorle all’anice lavorato a mo’ di fungo che viene ancora fatto, con una lunga lavorazione, in qualche forno locale nella versione originale più tenace; mentre quello di Daniele – proposto anche nella piccola pasticceria – è deliziosamente morbido e profumato.
Resta, naturalmente, la possibilità di ordinare alla carta – con grandi classici come il Cornetto e cappuccino (cornetto salato ripieno di ciauscolo e caciotta vaccina, da intingere in una tazza di crema di Parmigiano calda e spuma di Parmigiano fredda), la Galatina e giardiniera (rivisitazione del classico antipasto in gelatina) o gli spaghettoni con ragù di quinto quarto e maggiorana. E ad accompagnare, ci sono le circa 160 etichette della cantina sempre più incentrata sulla produzione regionale con belle verticali e bottiglie accessibili.
«Penso che abbiamo alzato un po’ troppo le luci», conclude lo chef riferendosi in generale alla sua visione della ristorazione. «È arrivato il momento di tornare a illuminare di più la strada che abbiamo davanti».