Come nell’Odissea ci sono “i mangiatori di loto” e 3mila anni dopo fanno notizia quelli di glicine (con Jovanotti nel 2022 e qualche giorno fa con Carlotta Perego, volto di Cucina Botanica che – piccolo disclaimer – ha smentito ogni correlazione tra la pianta fritta e la sua recente intossicazione alimentare), non sorprenderà sapere che un ristorante serva petali di tulipano, magari su un ponticello mentre sotto scorre il fiume. Succede a La Trota di Rivodutri, in provincia di Rieti, dove dal 1963 (sì, quest’anno sono 60 anni) ogni pasto ha il sapore di una fiaba – in origine Emilio cuoceva alla brace trote e carni locali mentre Rolanda cucinava nel caldaio sul camino la pasta tirata a mano – e dagli anni 80 il focus è sul pesce d’acqua dolce, tra carpe, gamberi di fiume, lucioperca e anguille; un’intuizione che è valsa ai fratelli Sandro e Maurizio Serva la prima stella (2004) e la seconda (2013) – il riconoscimento più recente al momento è stato deposto e il ristorante è tornato a valere “solamente” la tappa.
Se durante l’anno si mangia all’interno della luminosa sala circondata da finestre che affacciano sulla verdissima campagna, con la bella stagione il servizio si trasferisce all’esterno e i tavoli vengono posizionati lungo la passerella di legno sotto cui scorre il canale di Santa Susanna e tutt’intorno la natura fa il suo corso. Mettetevi comodi: il percorso degustazione “Acqua” dura ben 15 portate – vale la pena arrivare fino in fondo anche solo per il blind tasting in cui si cerca di indovinare la piccola pasticceria di verdure: al termine vengono svelati tutti gli ingredienti – ed è il menu più rappresentativo de La Trota dove grandi classici, come la zuppa di tinca con i capelli d’angelo che galleggiano nel brodo speziato e versato al tavolo direttamente dalla caffettiera napoletana, la trota fario con foie gras o la carpa in crosta di semi di papavero e maionese di rape rosse, si alternano alle novità 2023 (tranquilli, non dovrete fare grandi sforzi di memoria: per ciascun piatto è segnato l’anno). Proprio tra le nuove proposte, ispirate sempre dal corso d’acqua che fluisce lentamente dinnanzi, può sorprendere l’Insalata di Ripasottile – dal nome del vicino lago – prima di addentare l’anatra: «Volevamo spezzare il servizio tra le portate di pesce e l’unico piatto di carne, in questo caso l’anatra, un secondo coerente con il nostro ecosistema – afferma Amedeo Serva, figlio di Maurizio che, insieme al cugino di primo grado Michele Serva, incarna la nuova generazione in sala –. Così abbiamo ricreato un’insalata a base di vegetazione spontanea». Il protagonista? Il tulipano. Una riflessione “green” che coinvolge sempre più chef, mentre stanno letteralmente “sbocciando” le imprese per cui i fiori eduli rappresentano un’interessante filiera di business.
A questo sbocco non aveva ancora pensato la flower farm I Giardini di Mafalda, almeno fino alla recente collaborazione con La Trota per l’approvvigionamento dei fiori la cui forma ricorda quella di un turbante. «Coltivo fiori recisi da quattro anni e, nonostante la mia creatività venga stimolata da nonna Mafalda – commenta Silvia Micheli, giovane (e ormai) ex ingegnere che ha scelto di dedicarsi alla vita bucolica appena un anno prima della pandemia –, non li avevo ancora utilizzati per scopi alimentari: producendo in modo organico e stagionale questo è stato il periodo dei tulipani, specie di cui si possono mangiare sia i petali che il pistillo. In generale, ne assaggio diverse nella mia alimentazione quotidiana. A prescindere, prima di tutto bisognerebbe informarsi e stare comunque molto attenti», commenta l’imprenditrice che ha sfruttato le sue competenze ingegneristiche per ricreare uno studio di design floreale all’interno della sua azienda agricola. A condire questi delicati petali a bordo fiume è una vinaigrette a base di un Gin di Anonima Distillazioni, micro-distilleria di Gubbio che ha preso il posto di un’ex casa cantoniera. «Con loro abbiamo messo a punto un botanical spirit con le erbe spontanee che crescono vicino alle nostre acque, a partire dall’alloro – aggiunge Amedeo indicando una siepe –. Il distillato non a caso si chiama “Argine”». A fine pasto ogni commensale riceve in dono il loro menu realizzato con carta piantabile, un ricordo dell’esperienza che può essere portato a casa da tutti gli ospiti affinché germogli.