In un contesto enoico italiano che vanta centinaia di vitigni autoctoni, spesso radicati in territori che ne demarcano i confini di produzione in maniera netta, il sangiovese risulta capace di restituire una panoramica più ampia di quelle che sono le peculiarità di zone e sottozone differenti di più regioni. Questo vitigno dal carattere peculiare, nel calice, funge da interprete di territori differenti portando in superficie sfumature intriganti proprio per la loro varietà. Sul sangiovese è imperniato il progetto Rocche di Romagna che oggi, più che mai, il Consorzio Vini di Romagna sta spingendo per valorizzare le specificità di un areale molto differenziato. Il marchio collettivo che riunisce tutte le sottozone della denominazione Romagna Sangiovese è infatti ai nastri di partenza, ambasciatore di un nuovo movimento di interesse per produzioni che raccontino il terroir, proponendosi come apice della piramide qualitativa della denominazione e della produzione enoica dei rispettivi areali.
Le rocche al traguardo
Il progetto è partito nel 2011 e oggi arriva a compimento, con le Rocche (diventate 16 nel 2022) che si trasformano in tasselli di un mosaico fatto di appezzamenti collinari che si distendono lungo quasi tutta la Romagna. «Dal mausoleo di Galla Placidia a Ravenna è nata l’idea del mosaico a rappresentare il marchio collettivo – rimarca il presidente del Consorzio Vini di Romagna Roberto Monti – tanto che un frammento del mosaico è stato scelto per dare identità al progetto. Quel marchio sarà caratterizzante per le bottiglie rivendicate Sangiovese “Sottozona”». Le 16 rocche sono Bertinoro, Brisighella, Castrocaro, Cesena, Coriano, Imola, Longiano, Marzeno, Meldola, Mercato Saraceno, Modigliana, Oriolo, Predappio, San Clemente, Serra e Verucchio, con vigneti tra i 50 e i 600 metri. Si spazia dunque da terreni di matrice tufaceo-argillosa, ricchi di fossili marini, a suoli argillo-ferrosi o marnoso-arenacei, dalle argille tenaci alle sabbie plioceniche, portando in bottiglia vini che in alcune sottozone godono di una scarna eleganza minerale e in altre spingono sul volume, con tannini più o meno raffinati, regalando un frutto che in alcune aree risulta più polposo e in altre più sottile. Risultato? Un panorama da scoprire con curiosità, per ritrovare nel sorso le corrispondenze con i tasselli che compongono il mosaico del Romagna Sangiovese.
Consumatori consapevoli
Le prime etichette sono entrate sul mercato alla fine del 2022, con la maggior parte delle aziende ancora alle prese con il packaging. «Confidiamo nell’adesione di tutti i produttori – chiosa Monti – e lavoreremo sulla comunicazione per dare forza e riconoscibilità al progetto. L’idea di fondo è elevare qualitativamente il posizionamento, considerati i parametri più restrittivi, per differenziare le produzioni in funzione delle caratteristiche pedoclimatiche che risultano fondamentali. Non nascondiamo che conta molto anche la mano del produttore, ma il progetto Rocche guarda soprattutto ai terroir e gli assaggi confermano un filo conduttore identificabile per ciascuna zona». Una sfida non facile, se si considera che spesso all’estero faticano a comprendere pure macro distinzioni (ad esempio tra Chianti Docg e Chianti Classico, per citarne una nota), eppure Monti sottolinea come «un territorio che esporta oggi oltre un terzo della produzione è chiamato anche a interfacciarsi con i consumatori più consapevoli». Oggi la produzione di Sangiovese a marchio Rocche di Romagna si attesta sulle 550mila bottiglie, con crescite annuali in doppia cifra; l’obiettivo esplicito del Consorzio è arrivare a raddoppiarle.