È tra i vicoli scoscesi nel cuore di Trastevere che quasi dieci anni fa è cominciata l’avventura di Le Levain, bakery internazionale dalla forte influenza francese che ha consacrato le abilità del suo pastry chef e proprietario Giuseppe Solfrizzi. Tra croissant, macarons e choux al caramello, a tradire le origine italiane di Solfrizzi sono però l’accento pugliese e i pasticciotti con amarena e crema pasticcera che fanno capolino dalla golosissima vetrina del bancone. Tra le esperienze che hanno contribuito ad alimentare il suo amore per i dessert d’Oltralpe la prima da menzionare è sicuramente quella al fianco di Alain Ducasse, alla quale si aggiungono il periodo all’Antica Corte Pallavicina con Massimo Spigaroli e quello all’Albereta prima di aprire il suo locale a Roma nel 2014. Dopo la più recente inaugurazione di Manifattura, laboratorio in zona San Giovanni che supporta la produzione del negozio trasteverino (senza però vendita diretta al pubblico), e la consulenza per il ristorante San Baylon di Palazzo Ripetta, il pasticcere sta per inaugurare un nuovo spazio a due passi da Porta Pia: «Sarà un Le Levain 2.0», come lo stesso ci anticipa in questa intervista esclusiva.
Per rompere il ghiaccio, c’è già una data per l’opening?
«Siamo nel pieno dei lavori, ma speriamo di farcela per il mese di ottobre».
Perché la scelta di piazza Fiume?
«È stata una ricerca travagliata, durata più di un anno in varie zone della città. Alla fine a sceglierci è stato il locale. Sicuramente cercavamo qualcosa che rispetto alla prima insegna avesse più visibilità su strada e che permettesse di esprimerci al massimo delle nostre possibilità. Dopo attente valutazioni abbiamo pensato che il quartiere Sallustiano fosse un’area strategica sia per la presenza di tanti uffici che per l’eleganza stessa del quartiere».
La prima novità riguarda lo spazio destinato allo specialty coffee: come nasce l’idea?
«La nostra clientela ha sempre richiesto un servizio adeguato di caffetteria (nella più piccola boulangerie vicino piazza San Cosimato non esiste servizio di somministrazione per caffè e cappuccino ma c’è una macchinetta da usare in autonomia, ndr), che si sposasse con la qualità che proponiamo al bancone: Lo specialty coffee è la risposta. Alla ricerca di un partner siamo entrati in società con Emanuele Bernabei, il torrefattore di Picapau: siamo pronti a offrire un’esperienza di alto profilo in simbiosi con la pasticceria, tutto 100% artigianale. Nella stessa zona abbiamo incontrato anche i colleghi di Faro: restiamo due negozi dal concept differente e sono convinto che possiamo diventare un polo gastronomico davvero “speciale”».
Quale sarà la nuova offerta del forno?
«Simile all’offerta che attualmente abbiamo a Trastevere. Colazione con croissant e pain au chocolat e pranzo con zuppe e insalatone. Stiamo anche pensando a prodotti ad hoc da coniugare al momento caffè, ma sono ancora in fase embrionale. Il pasticciotto leccese resta comunque confermato».
Avete previsto formule dedicate ai diversi momenti della giornata?
«Sarò sincero: al momento ci interessa restare concentrati sulla qualità. Sono convinto che con aperitivi e brunch domenicali non saremo in grado di mantenere uno standard alto, almeno per il momento. Poi tengo molto al benessere dei miei dipendenti, quindi preferisco diminuire gli orari di lavoro per favorire le loro prestazioni e di conseguenza il servizio».
Qualche anticipazione sul nuovo ambiente?
«Ci siamo affidati allo studio di architettura b15a per un look cosmopolita, un progetto in linea con la nostra realtà che sforna prodotti internazionali e si rivolge al mondo. Al momento però siamo nel pieno dell’attività di cantiere: posso solo dire che non mancherà l’elemento del legno».
Quali saranno i prossimi obiettivi?
«Vorrei avviare un serio lavoro di divulgazione, parlare per esempio a porte chiuse e far conoscere tutte le sfumature dello specialty coffee. Con questo spazio più grande, nel futuro mi piacerebbe anche organizzare eventi con gruppi di massimo venti, trenta persone per serate di formazione o guest con qualche chef, sì, le famose cene a quattro mani».