Massimo Viglietti Relais Le Jardin

Massimo Viglietti al Relais Le Jardin dell’Hotel Lord Byron

Lo chef ligure è da qualche mese alla guida dello storico ristorante romano che fu il primo in città a bissare la stella. Obiettivo: rinverdirne i fasti, rivedendo le regole del lusso e dando nuovo ritmo al fine dining.

Se c’è una critica inapplicabile a Massimo Viglietti – chef ligure che a un notevole palmarès di riconoscimenti e successi affianca un approccio piuttosto iconoclasta al fine dining, sorretto da un’indole punk-rock e da una cucina che alterna istintualità ed elucubrazione – è quella di non uscire dalla comfort zone. Cresta bionda e orecchino che permangono nonostante abbia superato i 60, tatuaggi – Ordo Ab Chao, recita uno sull’avambraccio: motto della massoneria scozzese che rimanda al processo cosmogonico che ha origine dal caos, sembra riassumerne in maniera indovinata il carattere e il processo creativo – e una passione per musica e motori che non accenna a diminuire, dal 2014 ha scelto Roma calcando palchi molto diversi fra loro, disegnando un percorso irrequieto dettato anche dalla costante ricerca di nuovi stimoli e possibilità di espressione: dal “salotto” divanetti e boiserie di Achilli al Parlamento all’irrituale ma interessante commistione tra Liguria e Giappone di Taki Off, format fuori dagli schemi che in una cornice quasi zen – quella più ampia del ristorante giapponese nel quartiere Prati – ospitava la sua verve creativa e sperimentatrice.

Ora la sua cucina ha trovato una nuova casa, a prima vista nuovamente divergente dalla sua personalità: il Relais Le Jardin, storico ristorante dell’hotel Lord Byron. Un posto che negli ultimi anni aveva preso un po’ di polvere, lasciando più attenzione e verve all’omonima società di catering e banqueting gestita con successo sempre dalla famiglia Ottaviani contando anche sul fascino della magnifica Villa Miani, dimora ottocentesca in cima a Monte Mario, e di altre incantevoli location. Eppure l’elegante albergo nel cuore dei Parioli, creato agli inizi degli anni 80 dall’imprenditore Amedeo Ottaviani – che volle evidenziare l’impronta originale della dimora del 1939, per un periodo di proprietà di un ordine religioso, con una raccolta accessori in stile Art Nouveau e Art Dèco – aveva già puntato sulla ristorazione, arrivando a conquistare quasi trent’anni fa due stelle Michelin, prima “doppietta” segnata a Roma.

Con l’arrivo alla guida della struttura del giovane Francesco Piccinni – ventisettenne nipote di Amedeo, dalle idee chiare e la passione per il fine dining e l’accoglienza –, ora Relais Le Jardin punta a una nuova stagione di glorie gastronomiche, senza però tornare indietro nel tempo ma cercando una via più attuale al lusso, spostato “dall’esclusività della realizzazione alla non riproducibilità della sensazione”. E puntando su uno chef come Viglietti, in grado di unire forma e sapore, design e comfort (talvolta sostituito dalla sorpresa e dalla provocazione), che guida la cucina insieme al sous chef Valerio Mercadante e a Francesco Verzaro, da tempo al suo fianco.

La sala che oggi ospita i tavoli del ristorante gourmet, in attesa di attrezzare anche il dehors, non è più quella di un tempo ma un ambiente più raccolto in cui camino, marmi e cristalli sono ravvivati dagli squarci di colore di opere d’arte contemporanea che sembrano rimandare direttamente alla proposta di Viglietti. Ed è in effetti soprattutto con i suoi piatti – articolati in una carta e quattro percorsi degustazione “alla cieca”: il ritmato Concerto, nove portate per 140 euro, l’onirico e dinamico Viaggio ispirato agli universi metafisici, sette portate a 110 euro, il circoscritto ma interessante Impressioni, che in quattro portate a 80 euro promette di abbattere orizzonti e confini, e l’estemporaneo menu vegetale Emozioni, con cinque portate spesso immaginate giornalmente dallo chef, al costo di 80 euro – che la modernità arriva tra le mura del Lord Byron, richiamando in qualche modo l’idea di sovvertire il sistema dall’interno e scardinando più di un cliché e tabù gastronomico; ma in questo caso con il tacito assenso della proprietà (e con qualche concessione, vedi il dessert Idea di Tatin, in cui pur con un’interpretazione personale Viglietti si addomestica al gusto dolce per lui solitamente avulso dal fine pasto).

Si comincia con la buonissima focaccia ligure, i grissini finissimi e la pagnotta semi-integrale con burro di Normandia aromatizzato, e poi con l’amuse-bouche servito su un tronco – la spiazzante ma deliziosa pralina di cioccolato bianco con rombo e pesto e taco con mousse di piccione – seguito dallo spaghetto di riso con fungo shiitake nella tazzina da caffè con uno strepitoso brodo freddo orientale, e dal raviolino ripieno di faraona con salsa alla pesca e lavanda.

È un dialogo tra terra e acqua la foglia di trevigiana scottata in padella su una base di Parmigiano Reggiano grattugiato, ricoperta da lardo e salmerino e da acini d’uva spadellati e pinoli, ultimata al tavolo dall’opulenza rotonda del midollo liquido che sostituisce il più canonico olio extravergine. Parte dal ricordo di una passeggiata al mare al tramonto il primo piatto in cui le conchigliette, cotte in un brodo saporito e mantecate in burro e limone sono sormontate da calamaretti spillo dorati, come nella più tradizionale frittura mangiata in spiaggia irrorata dal succo agrumato, che fa da necessario trait d’union tra carboidrato e fritto.

Piccola ma felice provocazione, il sottofiletto di agnello di Sisteron – protagonista dei pascoli della Haute Provence – è servito a mo’ di roastbeef, in sottili fette dal cuore rosato accompagnate da verdure in stile giardiniera e dall’intensa salsa alle acciughe in omaggio appunto alla tradizione provenzale: «Ho deciso di servirlo così per dare maggiore freschezza al piatto, in chiave estiva, e anche perché mi sono stufato di vedermi rimandare in cucina l’agnello con la richiesta di cuocerlo di più: almeno il roastbeef si sa che va mangiato rosa!».

Alcune portate ci hanno convinto di meno, ma fa parte del gioco e di una cucina che non vuole piacere per forza a tutti. Si propone di tracciare un ponte tra Oriente e Mediterraneo il “raviolo” di sfoglie di mela verde farcito dal cremoso di robiola e filetto di sgombro affumicato al tè Lapsang Souchong, con uova di salmone, salsa Tonkatsu e polvere di carapaci essiccati, accompagnati da un gelato allo stesso tè affumicato cinese, che però risulta nell’insieme poco armonico. E incontra qualche difficoltà “tecnica” di fruizione la rivisitazione in chiave deluxe del junk food, con la gustosa scaloppa di faraona fritta nel burro e servita a mo’ di nugget di pollo con cipolle al caffè e salsa di peperoni che ricorda il ketchup; mentre è divertente ma aggiunge poco al piatto dal punto di vista gustativo l’idea di accompagnare il tutto con popcorn e Coca Cola (in versione alcolica con il Cuba Libre) nel bicchiere.

Ma a chiudere splendidamente il percorso prima della parte dolce arriva quello che è già un signature, e che rappresenta forse al meglio la capacità di Viglietti di interpretare il fine dining più classico e le sue regole d’ostentazione a modo proprio: lo spaghettino Felicetti cotto nel brodo ristretto di triglia, in cui il sapore è dato dalla massima estrazione della materia senza aggiunta di sale, viene servito in un piatto dorato sormontato dall’opulenza non ridondante del foie gras spadellato e dalla rotondità iodata del caviale. Ostentazione sì, ma ragionata e calibrata.

Ad accompagnare le portate, vini blasonati o di piccole realtà interessanti, cocktail ben fatti (anche in versione analcolica ma lontana da banalità e stucchevolezza) ma anche sake, tè e altro ancora con proposte su misura per ogni piatto e ogni commensale. A tal proposito, una menzione va al il servizio affidato a Stefano Aceto e Vincenzo Scaraglia: due veterani della sala dal savoir-faire perfettamente attuale, che con garbo e competenza ma anche con il sorriso – e senza mai risultare invadenti o manierosi – contribuiscono a rendere piacevole la sosta al tavolo, tra spiegazioni accurate e attenzioni non banali, facendo da tramite perfetto per la cucina di Viglietti.

Maggiori informazioni

Relais Le Jardin del Lord Byron
Via Giuseppe De Notaris, 5
00197 Roma

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