I miei genitori immigrati non erano amanti dei biscotti. Mia madre di origini francesi, trovava quelli con gocce di cioccolato una singolare invenzione tutta americana, mentre mio padre tunisino, chiaramente di stampo mediterraneo, preferiva offrirmi delle arance come dessert. Ripensandoci, non mi stupisce il fatto che io abbia sviluppato una passione smisurata per i biscotti, ma per un tipo in particolare: i kaak warqa. Ogni estate, direttamente da Philadelphia, città in cui vivevamo, i miei genitori mi mandavano a visitare la mia famiglia tunisina dall’altra parte del mondo. La maggior parte dei dolci tunisini non mi piaceva. Mi sembravano eccessivamente stucchevoli e di solito erano ricoperti di frutta secca, mentre io ero più attratta dal cioccolato.
Non ricordo la prima volta che ho mangiato un kaak warqa, ma deve essere stato il suo aspetto liscio e a forma di ciambella a catturare la mia attenzione. Per gioco potevo per giunta infilarne uno al dito, un po’ come un gigantesco anello. E poi c’era il gusto: un cerchio di pasta liscia come la seta e burrosa avvolgeva un ripieno di mandorle macinate, appena zuccherato, al profumo di acqua di rose. Fu amore al primo morso. In Tunisia, i kaak warqa sono considerati i dolci più pregiati e più costosi in circolazione. Vengono offerti ai matrimoni, durante il Ramadan, l’Eid al-Fitr (festa che segna la fine del digiuno) e per celebrare la nascita del profeta Maometto. Quando si ricevono degli ospiti speciali in casa, i kaak warqa vengono serviti accompagnati da tè alla menta e pinoli. Si vendono solo nelle pasticcerie specializzate e si comprano al chilo. Si tratta di un dolcetto raffinato e opulento e come tale non è adatto per chi si accontenta.
Forse a causa del loro posto di rilievo nell’olimpo della pasticceria tunisina, non avevo mai considerato la possibilità di preparare i kaak warqa a casa. In Tunisia, sono ottenuti con una farina specifica per questo dessert, facilmente reperibile al supermercato (si aggiunge del colorante alimentare bianco per rendere l’impasto ancora più candido). Credevo fosse una di quelle delizie che potevano essere realizzate solo in una cucina industriale da mani esperte, ma durante la pandemia, quando ero impossibilitata a recarmi nel mio paese natale, mi sono ritrovata a desiderare un kaak warqa. Perfino nella mia abitazione temporanea di Marsiglia, in Francia, dove una consistente fetta di popolazione di origine tunisina vive da generazioni, non riuscivo a trovare nessuno che li vendesse. Così decisi di fare il grande passo e di provare a prepararli da sola. Anche se la ricetta dei kaak warqa non è tra le più semplici, ammetto di essere rimasta sorpresa dalla facilità con cui si preparano. Ho imparato a lavorare l’impasto di colore bianco e a stenderlo sottile, a tagliare e a misurare con una precisione maniacale, ad avvolgerlo intorno al marzapane e, infine, ad arrotolarlo realizzando delle piccole ciambelle. L’odore del burro chiarificato e dell’acqua di rose riempivano la mia cucina per concretizzarsi, poi, in numerose dozzine di biscotti, forse un po’ più pallidi di quelli della pasticceria, ma con lo stesso gusto delicato e profumato. Ormai tutti in famiglia sono a conoscenza del fatto che il kaak warqa è il mio dolce preferito. Circa un anno fa sono finalmente tornata in Tunisia dopo diversi anni di assenza. Alla fine del soggiorno sono andata a trovare mia nonna, la quale mi ha consegnato diverse confezioni di kaak warqa – ciascuna da parte di zii e parenti vari che, nonostante la mia età, sanno che basta poco per rendermi felice.
Una volta tornata a casa, dopo una settimana di abbuffate, fu chiaro che avrei dovuto iniziare a distribuire ciò che restava di quel regalo. Una sera incontrai alcuni amici in un bar con l’ultima confezione di dolcetti al seguito. Ma erano ancora troppi per essere consumati tutti dai miei amici, così mi feci strada nel patio affollato mentre degli sconosciuti si destreggiavano tra sigarette e bicchieri di vino naturale per raggiungermi. «Che cos’è? ‒ esclamarono al primo morso ‒. Non ho mai mangiato niente di simile prima d’ora. Come si chiama?».
«Kaak warqa ‒ risposi, sorridendo ‒. Il biscotto più buono del mondo!».