Il 2023 è stato un anno di contraddizioni, scrive Amelia Schwartz, associate editor della redazione americana di Food&Wine tracciando i fenomeni e le tendenze che hanno maggiormente influenzato il panorama gastronomico degli ultimi dodici mesi negli Stati Uniti e da lì – come spesso accade – anche in molti altri Paesi del mondo. Ad esempio, in tanti hanno iniziato a prendere le distanze dal fine dining, per poi però continuare ad affollare i ristoranti da conti a doppi zeri e con infinite liste d’attesa. Amano allo stesso modo il caviale e le “pepperoni cups” – fette di salame piccante passate al forno fino a diventare delle piccole “ciotole” croccanti da intingere nella salsa ranch, una sorta di maionese speziata e aromatizzata (da noi, pensiamo ai Kinderini lanciati sull’onda del grande successo dei Nutella Biscuits). Sono preoccupati per le possibili evoluzioni future dell’AI ma abbracciano con entusiasmo le innovazioni tecnologiche di cui possono cogliere i vantaggi immediati. Insomma, un panorama piuttosto confuso che però vede sempre una certezza: in tanti, ancor più dalla fine della pandemia, continuiamo ad amare sederci al ristorante per mangiare i nostri cibi preferiti e magari bere un drink o due.
Così, mentre ci prepariamo ad affrontare il 2024 con quello che porterà, proviamo a tracciare i sette trend gastronomici che hanno segnato maggiormente il 2023 negli Stati Uniti, vedendo se hanno preso effettivamente piede anche da noi.
1. Cibo e televisione sono più interconnessi che mai
Fin dai tempi di Jiulia Child, il cibo e la cucina hanno trovato spazio sul piccolo schermo. Solo nell’ultimo decennio sono diventati sempre più familiari le competizioni gastronomiche sulla scia di programmi come Top Chef e MasterChef, gli impiattamenti artistici delle puntate di Chef’s Table e le urla di Gordon Ramsay (tranne che a Master Chef Junior). Ma soprattutto nell’ultimo anno, il mondo gastronomico sembra aver totalmente colonizzato l’universo televisivo. Per esempio, per gli addetti ai lavori la seconda stagione di The Bear – la serie statunitense incentrata sulle (dis)avventure professionali dello chef e ristoratore Carmy Berzatto, i cui episodi si trovano su Disney+ – è altrettanto veritiera e riuscita della prima, e il fatto che vi figurino dei veri ristoranti di Chicago (tra cui Kasama, il ristorante filippino dei F&W Best New Chefs 2022 Tim Flores and Genie Kwon) e pile su pile dei libri di cucina più amati dagli chef ha portato il realismo della serie a un livello superiore. Il cibo ha fatto la sua comparsa e avuto il suo ruolo perfino in serie apparentemente lontane dal tema: se non fosse stato per Emily in Paris, quanti avrebbero saputo della passione dei francesi per McDonald’s? Ma la relazione tra cibo e TV non è monodirezionale: l’estate scorsa a Los Angeles ha aperto il ristorante pop-ip Netflix Bites, nel cui menu c’erano piatti apparsi su Chef’s Table, Iron Chef: Quest to for an Iron Legend, e altri programmi della piattaforma.
2. Le insalate riconquistano il loro posto
Dimenticate le tristi insalate mangiate come pasto “penitenziale”. Adesso anche questa categoria di piatti tende ad avere sempre più personalità e a comparire senza vergogna nei menu di ristoranti: nel 2023 le insalate possono essere salutari, ma non per forza. Devono, invece, essere assolutamente buone. Schwartz menziona l’insalata di radice di loto che ha mangiato al ristorante coreano Ariari di New York, specializzato nella cucina di Busan. Noi di esempi da citare ne abbiamo numerosi, e non certo solo da quest’anno: dall’Insalata 21-31-41 di Enrico Crippa alla Misticanza Alcolica di Niko Romito, da una semplice insalata di Stefano Baiocco – che dal 2007 mette insieme circa 140 tra foglie e fiori – a quella di Giancarlo Morelli al Bulk, con salmone, uovo di quaglia, avocado e bacche di goji e cream cheese.
3. Ripensare la definizione di fine dining
Risale alla seconda settimana del 2023 la notizia che il Noma, spesso acclamato come uno dei migliori ristoranti del mondo, avrebbe chiuso. Come ha riportato Stacey Leasca, news editor di F&W, lo chef e titolare René Redzepi non poteva più “pemettersi di fare una cucina di tale impatto e livello garantendo agli oltre 100 dipendenti a uno stipendio equo, e offrendo agli ospiti un prezzo che potessero considerare accettabile”. Questo annuncio ha dato il là a domande e riflessioni su cui abbiamo continuato a discutere nei mesi seguenti: che cosa è, per noi, il “fine dining”? Che impatto ha questa categoria di ristorazione sul settore dell’ospitalità? Perché l’alta ristorazione è così spesso associata a un ambiente lavorativo tossico? Com’è possibile riuscire a gestire un ristorante di questo genere pagando degli stipendi giusti al personale? Perché, come società, siamo così appassionati di fine dining quando solo l’1% (il dato si riferisce agli USA ma è probabilmente valido anche da noi) può permetterselo? Ne abbiamo davvero bisogno? Mentre i ristoranti di fascia alta continuano ad aprire in tutto il mondo (a Brooklyn, uno dei fondatori del Noma ha da poco inaugurato Ilis, il cui conto parte dai 195 dollari per arrivare a 395 e dove i cuochi servono loro stessi i piatti ai commensali), è evidente che non siamo davanti alla fine del fine dining. Ma si spera che queste novità faranno evolvere gli standard spesso rigidi e spesso retrogradi su quello che ci aspettiamo da un ristorante “di lusso”.
4. Via le monoporzioni, arrivano le torte
“Non più solo per le occasioni speciali, i ristoranti su entrambe le cose stanno investendo su gloriose e inedite fette di torta come dessert”, scriveva l’allora F&W restaurant editor Khushbu Shah sul numero di dicembre-gennaio della rivista americana. Ristoranti e pasticcerie guardano sempre più spesso all’idea di una nostalgica, spesso imponenti – che spesso registrano il tutto esaurito in poco tempo. Da Claud’s a New York City, la maestosa torta a strati di cioccolato ricorda da vicino quella del film Matilda. Mentre nella pizzeria di Los Angeles Quarter Sheets, si può ordinare una fetta della strepitosa princess cake ricoperta da marzapane della F&W Best New Chef 2023: “In questa una variante della classica torta svedese, la fetta è composta da un arioso pan di Spagna, acidula una confettura di lamponi e una dose generosa di crema pasticcera”, racconta Sha. A noi viene in mente l’irresistibile brioche sfogliata servita per qualche tempo da Christian Marasca, Best Pastry Chef Under 35 ai F&W Italia Awards 2022, da Zia Restaurant a Roma: una voluttuosa e burrosa brioche sfogliata servita intera su un’alzatina come fosse una “ciambella”, da cui prelevare il proprio quarto (o metà, se la gola comanda) da intingere nella squisita crema inglese di accompagnamento, ora sostituita dall’altrettanto goduriosa intrepretazione della Tarte Tropezienne con crema chiboust (nella foto). Mentre siamo stati felici di notare che anche il tiramisù nostrano – dopo anni di maltrattamenti e scomposizioni – sta tornando nella sua forma originaria, servito in tranci dalla teglia di preparazione, come accade ad esempio da Le Beccherie di Treviso, patria del dolce profumato al caffè.
5. La moda incontra il cibo
Schwartz enumera le tante volte in cui ha incontrato il brand Crocs – le famose ciabatte in gomma oggetto di odio e amore in tutto il mondo – associato al cibo nell’ultimo anno: dai sandali viola targati McDonald’s, con su il gigante Grimace (che dovrebbe rappresentare una papilla gustativa, nell’immaginario legato al popolare fast food), ai diversi modelli legati alla catena di drugstore 7-Eleven. Ma la cosa non si ferma lì, e se nel 2023 al tema è stata dedicata anche una mostra al Fashion Institute of Technology (FIT) di New York, le occasioni in cui moda e cibo incrociano le proprie strade sono numerose: dal brand di abbigliamento e accessori lanciato dalla catena americana di bakery Panera Bread – che include anche la Baguette, borsetta verde brillante lunga abbastanza da contenere un panino imbottito – alla collezione “Edibles” della stilista Rachel Antonoff, in cui figura tra gli altri il maglione Black & White Cookie. Da noi, si sono viste l’ormai collaudata collaborazione tra il Pastificio Di Martino e Dolce&Gabbana (il cui packaging ha meritato il premio ai F&W Italia Awards 2023) ma anche una serie notevole di investimenti nella ristorazione da parte di brand di moda: dalla famiglia Ruffini di Moncler (con Langosteria e Concettina ai Tre Santi a Napoli) al Gruppo Prada che ha da tempo acquisito la Pasticceria Marchesi.
6. L’inarrestabile ascesa dell’Intelligenza Artificiale
L’Intelligenza Artificiale è qui e fa paura, ma sta aiutando molti ristoranti a fare cose interessanti, come ha illustrato Danny Meyer alla #TechWeek di New York. Ad esempio, in una distilleria di Fukushima, in Giappone, l’AI aiuta a individuare i perfetti abbinamenti tra sake e pesce supportando anche la pesca locale: «La distilleria Suzuki prevede di implementare una tecnologia sviluppata dalla società di analisi e ricerca sensoriale Aissy, con base a Tokyo, per aiutare a delineare il profilo organolettico del pesce analizzando quanto sia dolce, sapido, amaro, acido o umami», spiega la scrittrice Erika Owens. «Dopo aver visto i risultati, la distilleria sarebbe in grado di creare dei blend di sake che bilanciano i sapori mancanti nel pesce, dando come risultato un’esperienza gastronomica completa». Altri tentativi si sono rivelati meno riusciti: ad esempio McDonald’s sta ancora perfezionando gli ordini al drive-through via AI, e ogni volta che la redazione americana ha provato a realizzare una ricetta scritta da ChatGPT, i risultati sono stati deludenti. Ciò non vuol dire che l’AI non sia una minaccia. ChatGPT è uno strumento potente, potenzialmente abbastanza da gestire molti aspetti di un ristorante (un tema che l’autrice Jane Brendlinger ha esplorato chiedendo a ChatGPT se fosse in grado di dirigerne uno). E sta già iniziando a ricoprire alcuni ruoli nel settore dell’ospitalità, ad esempio rimpiazzando chi scrive i bigliettini dei biscotti della fortuna. Che paura!
7. Nostaglia canaglia
È stato un anno difficile. Siamo ancora alle prese con le conseguenze della pandemia da Covid-19, e tragedie orribili sono in corso nel mondo. Dunque, in questo momento quello che molte persone desiderano è trovare conforto nel cibo che sia familiare e che ci possa ricordare di tempi in cui le cose erano più semplici, o dell’infanzia. «Non so dire quando sia stata l’ultima volta in cui sono stata in un nuovo ristorante senza trovare in menu qualche piatto che sembrasse un lontano (o vicino) cugino di qualcosa che un tempo avrei ordinato con grande entusiasmo dal menu bambini al ristorante sotto casa, o qualcosa che avrei potuto mettere sul vassoio in plastica di una tavola calda o di un negozio Lunchable», racconta la senior drink editor Oset Babür-Winter. A New York è facile imbattersi nella già citate “pepperoni cups”, versioni extralarge dei cracker al formaggio Cheez-Its, e zuppe con la pastina con le lettere dell’alfabeto (il tutto, ovviamente, a cifre dieci volte superiori a quelli di un tempo: ma la gioia di riassaporare alcune cose non ha prezzo). In Italia, già da qualche anno abbiamo visto il ritorno dei frizzy-pazzy che rendono più stimolanti tanti assaggi; ma ad anticipare questo trend ci sono state anche la “pastina col formaggino” di Giuseppe Iannotti al Krèsios, due stelle Michelin a Telese, e le lettere di gelatina nelle ciotole col brodo caldo di zenzero e cannella servite a fine pasto al ristorante leccese Bros’, che però in quel caso ricreavano o l’insegna del ristorante o la parola inglese “fuck”.