Quando, dopo diverse esperienze nelle cucine di alcuni ristoranti romani, la pausa forzata del Covid e un periodo come consulente per i prodotti dei menu di bordo delle classi business Trenitalia, Luca Ludovici ha iniziato a cercare un locale per poter avviare il proprio progetto di ristorazione, non aveva le idee del tutto chiare su dove avrebbe dovuto essere: Roma o provincia, città o campagna? Ad affiancarlo nelle perlustrazioni e nei sopralluoghi, concentrati poi soprattutto nella zona dei Castelli Romani, c’era la compagna Lorena Cavana, avvocato con la passione per l’accoglienza e per il vino.
Quando hanno visitato il locale nel centro di Frascati, che in precedenza ospitava una pizzeria ma nascondeva un passato assai più antico, non hanno avuto dubbi: anche se i soffitti a voltine in mattoncini e le pareti – che oggi ospitano, a rotazione opere di artisti in sintonia con i piatti e in vendita, a mo’ di galleria d’arte – erano celati da rivestimenti dozzinali e c’era bisogno di un notevole sforzo d’immaginazione e di tanto lavoro per riportare gli ambienti all’attuale gradevolezza, lineare ma calda, il luogo aveva qualcosa in grado di fugare ogni dubbio: una lunga “grotta” sotterranea, scavata nel tufo nel corso dei secoli come in tutto il sottosuolo frascatano, per ospitare cantine di vinificazione e cunicoli di collegamento – oggi murati a segnare i confini delle proprietà attuali – e poi, in seguito, per trovare riparo dai bombardamenti e dalla guerra, fino a essere usata come deposito. Un percorso affascinante e anche in questo caso rimesso a nuovo, tra nicchie e scale e perfino un “camino” che aspetta di trovare un possibile utilizzo.
Nato a Fiuggi nel 1986 e con un percorso composito e interessante – dopo gli studi ad Alma ha affiancato nomi del calibro di Marchesi, Alajmo e i fratelli Roux a Londra – Luca infatti ha scelto di non adoperare la grotta come cantina per le bottiglie (come sottolinea Lorena, ha da poco lasciato il lavoro presso uno studio legale per seguire più da vicino il ristorante e in particolare la sala e la cantina, l’umidità eccessiva che aumenta via via che si scende di due livelli ne rovinerebbe le etichette) ma di farne il filo conduttore della propria proposta gastronomica, utilizzandola come una sorta di “laboratorio” in cui sperimentare le varie tecniche di conservazione dei prodotti – fermentazioni, salamoie, sottaceti e sotto sale – e andando poi anche oltre.
Così oggi, gran parte del menu di ConTatto – questo il nome scelto per il locale, a rimarcare l’idea di connessione e di ritorno all’essenziale – gira intorno ai prodotti che stazionano o nascono in grotta, mettendone a frutto le condizioni ideali di temperatura e buio: e se durante il racconto dei piatti che arrivano in tavola la cosa può risultare un po’ ridondante, quando a fine pasto ci s’inoltra alla scoperta dei livelli sotterranei e si vede cosa vi accade – tra vasi di fermentazione, anfore per la birra, kombucha e tavoli interamente ricoperti da una candida coltre di muffa nobile che li decora con ovattate nuvole pendenti che sembrano stalattiti – tutto acquista un altro senso.
Ad esempio, il benvenuto è con il buon pane maturato in grotta (praticamente a temperatura controllata) e con l’aceto di Montepulciano ed estratto di more fatto con la madre di cinquant’anni ricevuta in dono dalla nonna di Luca – un assaggio un po’ spiazzante e di certo meno confortevole del classico “pane e olio”, che trova utilizzi più interessanti nei piatti veri e propri – e con i broccoli sottaceto, oltre che con l’Uovo nell’uovo (omaggio a Marchesi, con il guscio che contiene una crème brûlée salata con maionese alle alici) e una friabile mini piada ripiena di porchetta. Il gambero crudo con cicoria e guanciale – che sembra fritto ma è in realtà solo “panato” con ciambella di Carpineto e guanciale tostati – è accompagnato da panna acida e gocce di gel di aceto alle more, che qui trova il suo posto, e fa strada al primo vero e proprio “assaggio di grotta”: il fungo cardoncello carnoso e saporito – che cresce appunto nelle fungaie sistemate nel livello inferiore della grotta – accompagnato dal suo fondo deglassato, da un’avvolgente salsa al pecorino e da un’alga del tipo Nori, bruciata.
Tra i primi piatti, i Fusilloni al ragù di maiale nero dei monti Lepini – antica razza rustica poco redditizia ma molto saporita ripresa da alcuni allevatori locali – sono abbracciati da uno zabaione salato fatto con i tuorli delle uova tenute a mollo per qualche tempo nella birra (una Ipa del birrificio toscano La Petrognola che hanno anche provato a far maturare in anfora, ma senza ancora trovare la giusta combinazione di tempi e temperature) fino ad assorbirne i profumi.
Ma è soprattutto lo squisito Riso Buono ai tre latti, capperi e genziana che riassume al meglio l’approccio sperimentale di Luca e le potenzialità della grotta: il riso coltivato a Casalbeltrame, nel Novarese, matura per quattro mesi nel primo livello, in vasi coperti da garza, assorbendo l’umidità e i profumi dell’ambiente. «Abbiamo fatto varie prove, seguite con grande interesse anche dall’azienda che lo produce: oltre questo tempo iniziano a svilupparsi muffe, mentre quattro mesi è l’intervallo giusto per avere risultati interessanti», spiega lo chef. In questo modo, si modifica non solo la consistenza dei chicchi (che, essendo in parte reidratati, richiedono qualche minuto in meno di cottura rispetto al solito) ma anche il sapore, che si fa più intenso. Sta poi alla bravura dello chef mantecarlo alla perfezione con un mix di tre latti (di capra, vacca e bufala) che dà dolcezza e morbidezza, in contrasto con le note amare e sapide delle radici di genziana grattugiate e dei capperi sotto sale, sempre in arrivo dal sottosuolo, in un insieme ricco di spigoli e picchi gustativi ma perfettamente bilanciato.
Nel secondo a base di seppia, mela cotogna e mandorle, la dolcezza del frutto sovrasta gli altri ingredienti; mentre è più interessante il piccione di manzo (taglio nobile dell’interno coscia) cotto per otto ore e mezza a 56° C e ripassato sulla brace, accompagnato da una foglia croccante di cavolo riccio e da una gustosa maionese di olive taggiasche, tenute in salamoia nella grotta.
L’ambiente ipogeo torna in maniera incisiva anche negli ultimi assaggi. Dalla selezione di formaggi stagionati nella zona più profonda, in collaborazione con Francesco Loreti che è l’esperto titolare del banco de La Formaggeria al mercato di piazza Epiro a Roma – tra cui il notevole pecorino erborinato – e il dessert Sospiro a Frascati – da rivedere forse negli equilibri, ma molto interessante nell’idea – che fotografa addolcendone il ricordo la situazione in cui versava la grotta quando Luca e Lorena l’hanno vista la prima volta: una stratificazione di “tegole” di cioccolato, “polvere” di sablé e “schegge” di gel di Malvasia che ricordano vetri rotti, in cui l’intensa mousse di cioccolato che affianca la ganache al cioccolato bianco è fatta con il fondente affinato un grotta, acquisendo complessità e aromi.