Il Brunello di Montalcino 2018 di Argiano è sul gradino più alto del podio di Wine Spectator (dopo il secondo posto della Riserva 2016 di Fattoria dei Barbi l’anno prima) e il Brunello 2018 di Poggio di Sotto è al top nella cellar selection di Wine Enthusiast. E poi ancora riconoscimenti e apprezzamenti da guide, critici e giornalisti italiani e di mezzo mondo. È difficile trovare un’altra denominazione (italiana e non solo) che sia stata tanto e tanto a lungo sotto riflettori quanto le eccellenze enoiche di Montalcino, eppure – o forse proprio per questo – a ogni annata si discute su come i Brunello siano più o meno “corretti”, come se ci dovesse essere un paradigma, peraltro a geometria variabile, per il grande Sangiovese che conquista ogni angolo del mondo.
Nonostante l’indubbia capacità delle aziende di raccontare un’esperienza unica e irripetibile, ricercata e apprezzata in Italia e oltreoceano, in Giappone come in Russia, ogni anno al momento degli assaggi in anteprima sembra esserci la volontà di trovare un “sì, ma” nel calice, mentre tutto sommato basterebbe smettere di cavalcare contrasti o eccessi critici di sorta per concentrarsi su quel Sangiovese che dalle splendide colline dell’entroterra senese sa guardare avanti, anche oltre gli stereotipi. Sì, perché mentre degustatori e degustatrici si avventurano tra i calici spaccando il cappello sull’eccesso di struttura o di leggiadria, sulla carnalità o sulla tensione, sulla volatile e sul tannino, il Brunello di Montalcino continua inesorabilmente a conquistare il mondo con numeri che neanche Jannik Sinner dopo gli ATP Finals.
La forza del Brunello sui mercati
Accade però che, nonostante il processo “alle espressioni” che si celebra ogni anno con Benvenuto Brunello, anche in questa stagione l’annata 2019 è entrata sul mercato ufficialmente da poche settimane e già preannuncia un’ottima performance. «Nonostante la tensione sui mercati legata soprattutto ai conflitti in corso – osserva il presidente del Consorzio di tutela Fabrizio Bindocci – l’attesa per l’annata 2019 e le buone valutazioni della critica ci portano ad avere aspettative positive».
D’altra parte, anche il 2023, con l’annata 2018 più “piccolina” sul mercato, non ha visto crescite tumultuose e però – per dirla con Bindocci – «il vino ha continuato a uscire dalla cantina e dunque il Brunello non si ferma, anche se non possiamo pensare di avere sempre i risultati clamorosi degli ultimi anni». In effetti, se le vendite sembrano aver avuto un andamento più pacato, si è invece rafforzata la liaison con un mercato cruciale per la denominazione: gli Stati Uniti. L’analisi realizzata per il Consorzio dall’Osservatorio UIV su base SipSource ha infatti evidenziato un aumento dei consumi nel suo primo mercato di sbocco del 10%. Il Brunello conferma dunque il feeling con il mercato a stelle e strisce, che rappresenta almeno il 30% del totale vendite oltreconfine: a fronte di un calo generalizzato dei consumi totali di vino oltreoceano (-7%) e di quelli italiani (-3%), la Docg di Montalcino è tra le poche in positivo.
Eleganza rivolta al futuro
Detto dei risultati commerciali, venendo al calice non c’è storia per l’attesa annata 2019. Elegante e in alcuni casi tanto pronto alla beva da far tremare qualcuno per la longevità – eppure non si comprende perché un vino scarno dovrebbe faticare nella resistenza, la preoccupazione dovrebbe esser rovesciata –, il Brunello 2019 sa regalare emozioni raffinate già all’ingresso sul mercato, spiazzando forse qualche tradizionalista. E se i tannini risultano in alcuni casi ancora poco armonici, merita una sottolineatura la capacità di valorizzare l’espressione del frutto che consente di godere di un Sangiovese vivo e pieno.
Va detto però che se gli assaggi difficili sono davvero pochi, non ci sono espressioni capaci di emozionare almeno nel presente. L’equilibrio può giocare questo scherzo, ma probabilmente tornandoci sopra tra qualche mese o (meglio) tra qualche anno sarà un’altra storia.
Tra gli assaggi che spiccano, in una batteria che ha visto partecipare a Benvenuto Brunello solo 118 cantine, meritano una menzione per eleganza i vini annata di Abbadia Ardenga, Alessandro Rossi, Argiano (fresco di menzione con la 2018 su Wine Spectator), Canalicchio di Sopra, Carpineto, Cerbaia, Giodo, Giuseppe Gorelli, La Fornace, Le Potazzine, Lisini, Poggio di Sotto e Uccelliera, oltre al gioco tannico di Pietroso, Sanlorenzo e Sesti.
L’emozione sale con i Brunello Single Vineyard, o frutto di selezioni speciali, che sembrano indicare una strada sempre più vicina a un modello di classicità nuovo, capace di profondità ed eleganza senza tempo. Meritano una segnalazione – in un panorama comunque positivo – il Paesaggio Inatteso di Camigliano, La Casa di Caparzo, Tenuta Nuova di Casanova di Neri, Filo di Seta di Castello Romitorio, Pianrosso di Ciacci Piccolomini d’Aragona, Vigna del Fiore di Fattoria dei Barbi, Vigna Loreto di Mastrojanni, Piero di Talenti e il sempre fascinoso Poggio al Granchio di Val di Suga.
Un cameo per il Brunello Villa Le Prata dell’omonima piccolissima azienda in zona sud-ovest: portando in bottiglia un vino dall’eleganza sottile eppure senza sacrificare il frutto, si è trovata a subire la perdita dell’importatore in Usa incapace di comprenderne la leggiadria. Ecco, in fondo il Brunello 2019 segna una linea di avanzamento sulla quale, come l’americano, una parte della critica arriverà più avanti.
Sul fronte Riserva 2018, giocano decisamente bene Capanna e Caprili per la tensione che fa prevedere un buon allungo nel tempo, Col d’Orcia, Elia Palazzesi e Fattoi unendo eleganza e tannino, ma anche Pian delle Querci, Poggio Landi, Tiezzi e Verbena con un’interpretazione lineare dell’annata. Tra tutte emerge probabilmente per la sintesi tra struttura, eleganza, nerbo e solidità la Riserva Phenomena di Sesti.