Se a Napoli chiedete quale sia il monumento gastronomico della città, avrete sempre la stessa risposta: Mimì alla Ferrovia. E se mai aveste modo di fare la stessa domanda a Robert De Niro, o magari a Bono Vox, potrebbero consigliarvi pure loro il ristorante a via Alfonso D’Aragona, a pochi passi dalla Stazione Centrale. L’impresa creata da Ida ed Emilio (detto Mimì) Giugliano nel 1943, durante la Seconda Guerra Mondiale, è ancora oggi la bandiera della cucina partenopea, un luogo amatissimo tanto dai local quanto da grandi personaggi e star internazionali.
Questa macchina che viaggia a 300 coperti di media al giorno, tra pranzo e cena, ha appena festeggiato l’ottantesimo compleanno, inaugurando “80 e li mostra. La storia, 1943/2023”. L’esposizione andrà avanti fino alla fine del 2024, con un intero anno celebrativo caratterizzato anche da otto eventi culturali ed enogastronomici, uno per ogni decade (anche con diversi pop-up in giro per l’Europa: l’1 e 2 marzo da Déviant a Parigi, il 17 e 18 marzo da Dalla Restaurant nell’East London).
Tra i tanti memorabilia in mostra ce n’è uno a cui Salvatore “Sasà” Giugliano – chef e terza generazione della famiglia – tiene in maniera particolare: la foto del papà Michele insieme a Lucio Dalla. «La prima volta che venne da noi era insieme a Peppino Di Capri. Mio padre non lo conosceva, troppo all’avanguardia per lui, e così lo ignorò facendo passare Peppino per primo. Dalla indossava un Panama, che è ancora conservato al ristorante. Fu in realtà l’inizio di una grande amicizia, durata per tantissimi anni».
Ma l’artista bolognese non è stato di certo l’unico habitué. Questa è stata ed è la casa di molti (date un’occhiata alla pagina Instagram per scoprire tutti #GliAmicidiMimì), grazie all’attitudine innata nell’accoglienza di tutta la famiglia. «Mimì alla Ferrovia – continua Sasà – è un posto dove succedono cose magiche, non è solo un ristorante: qui nascono amicizie, amori, idee professionali. Abbiamo un approccio empatico con gli ospiti, il fattore umano è tutto. Chi frequenta il nostro ristorante torna perché si sente in un posto sicuro, fatto di visi familiari. Mio padre ha compiuto 90 anni lo scorso 15 dicembre, è qui da 79 anni ed è una presenza costante ogni giorno, per me è un esempio straordinario. Roberto Cupolo, il nostro direttore di sala, iniziò come lavapiatti ed è da 42 anni con noi».
Lo chef classe 1991 – con un bel corredo di esperienze, da quella con Paolo Barrale ai tempi di Marennà alla famiglia Mellino di Quattro Passi – è invece in cucina da “soli” nove anni. E ha fatto in tempo, tra le altre cose, ad avere il privilegio di approntare una cena per Diego Armando Maradona – nella suite dell’Hotel Romeo dove alloggiava durante una delle sue ultime visite a Napoli – a base di escargot, la grande passione del Pibe de oro.
Sasà ha dovuto da subito maneggiare con cautela una storia ingombrante, cercando di coniugare l’animo e l’estetica orgogliosamente vintage con un’apertura alla contemporaneità. Per dire: qui si può mangiare la tipica lardiata (gli ziti con salsa di pomodoro e lardo) o un magistrale spaghetto “a” vongole ma anche un bao alla genovese, diventato un (quasi) classico. Il bestseller, da sempre e per sempre, resta però il peperone ‘mbuttunato – cioè imbottito: di fiordilatte, pane raffermo, prosciutto cotto, caciocavallo di bufala, parmigiano reggiano, uova, sale e pepe – di cui non c’è ricetta scritta, perché è tutta nei gesti tramandati.
«Quando ho preso le redini – continua – la cucina era un po’ ancorata agli anni 90, ci voleva una sferzata per alleggerire il repertorio senza tradire la tradizione. Non solo attraverso i piatti, ma anche implementando l’offerta enologica, che è una nostra grande passione, verso una direzione meno convenzionale. Si è compiuto un cambio generazionale senza traumi, anche per quel che riguarda la clientela, e oggi riusciamo a strizzare l’occhio ai più giovani». Al fianco di Sasà, in questo percorso, c’è stata Carolina de Caprariis, talentuosa pastry chef dalle spalle abbastanza larghe da trovare spazio nella squadra e conquistare il suo laboratorio.
Questo “arzillo ottantenne” non si sottrae dunque al fermento gastronomico che sta battezzando Napoli come una delle città più dinamiche e vive d’Italia. «Portiamo avanti con gioia un’eredità importante – conclude – ma la nostra proposta cambia e anche io mi sento parte di questo rinnovamento. Tutti noi giovani ristoratori e imprenditori abbiamo voglia di confrontarci, si è creata in modo spontaneo una rete di amicizia e rispetto».
A proposito: una volta archiviata con il massimo della soddisfazione la tappa obbligatoria da Mimì alla Ferrovia, quali sono gli altri indirizzi imprescindibili che consiglia Salvatore Giugliano? Luminist per fare colazione, l’Antica Salumeria Malinconico per il panino cicoli e ricotta, ScottoJonno e Sustanza per un cocktail d’autore e un’esperienza fine dining con la cucina di Marco Ambrosino, Jus per la proposta di vini naturali e infine la champagneria di Salvatore Cautero per l’incredibile selezione di etichette francesi.