Qualcuno li ha soprannominati “i tre moschettieri” e da oggi sono riuniti, incrociando i calici sotto lo stendardo dell’Institute of Masters of Wine. Dopo la proclamazione di Gabriele Gorelli e Andrea Lonardi, anche Pietro Russo ha raggiunto i sodali, con i quali ha condiviso il percorso di studi, nella ristretta cerchia dei “maestri” in campo enoico. È il terzo italiano – ma entro l’anno arriverà la consacrazione anche per Cristina Mercuri, la prima donna – e soprattutto è il primo enologo del Paese ad aver ottenuto il prestigioso titolo da quella che viene considerata la più autorevole e antica organizzazione del vino al mondo.
Decisamente tecnico il research paper presentato come prova finale, centrato sull’analisi comparativa tra i principali metodi di stabilizzazione tartarica, l’impatto sul profilo chimico-fisico dei vini e sui costi di produzione. «È stato un percorso di studi difficilissimo e al contempo ricco di soddisfazioni: mi piace pensare che questo sia solo il punto di partenza per numerose altre sfide professionali», il suo primo commento. Il percorso di studi, prosegue Russo, «mi ha arricchito non solo dal punto di vista delle conoscenze acquisite e del network, ma mi ha anche dato la possibilità di apprendere un metodo di lavoro rigoroso ed efficace, fondamentale per fare una sintesi delle mie competenze e per comprendere e comunicare un vino con lo scopo di posizionarlo in un contesto qualitativo e commerciale». Ecco che con Gorelli e Lonardi nasce un team di moschettieri che, con competenza, diversità e complementarità, si fa ambasciatore autorevole dell’eccellenza enoica nazionale nel mondo. «Insieme abbiamo inoltre redatto il capitolo italiano della Sotheby’s Wine Encyclopedia, riconosciuta come la Bibbia del vino mondiale».
Tra Europa e Sicilia
Pietro Russo è nato nel 1985 a Marsala (Trapani), dove fin da piccolo ha avuto l’occasione di conoscere il mondo del vino da vicino grazie al nonno viticoltore e al padre ispettore agroalimentare. Studia a Conegliano (Treviso) dove consegue la laurea triennale in Enologia e Viticoltura, spostandosi poi ad Asti per la specialistica e continuando la formazione internazionale con studi a Montpellier e Bordeaux. Dopo alcune esperienze lavorative in Languedoc, Sicilia, Spagna, Bordeaux, Toscana, Nuova Zelanda, nel 2010 torna a casa per iniziare il suo percorso come enologo in Donnafugata. «È una palestra incredibile, dove quotidianamente ci si confronta con stimoli ed esigenze sempre nuove», dice anticipando che continuerà a collaborare con il team tecnico per portare alla luce le ancora enormi potenzialità di crescita della Sicilia vinicola.
Nuovo approccio per la filiera
«Al di là del titolo in sé, per il quale sapevo esser ormai questione di tempo, quello che è cambiato lungo questa strada per me è l’approccio molto più completo e critico – spiega il neo-MW – e non dico solo sul piano tecnico, ma anche rispetto alle domande che mi pongo sul contesto commerciale sul posizionamento dei vini. Inoltre rivolgo un’attenzione cruciale alle aspettative dei consumatori». Russo si identifica con la figura di un enologo 2.0. «Penso che una dimensione più completa nell’approccio al vino tutto sommato sia parte del bagaglio richiesto a un enologo oggi – chiarisce – perché siamo sempre meno relegati in cantina, mentre siamo chiamati a essere portavoci di una scena produttiva in evoluzione. Siamo un interlocutore che si posiziona tra mercato e produttori». Come sta avvenendo il particolare con Lonardi (agronomo di formazione), anche Russo percepisce il ruolo di MW come «ambasciatore dell’evoluzione contemporanea nel vino, con uno sguardo che si allarga sulla scena internazionale. Il periodo è complesso dal punto di vista congiunturale, ma il vino ha ancora grandi potenzialità da sviluppare».
Se Pietro Russo è il terzo (peraltro in pochi anni), viene da chiedersi perché gli italiani siano ancora pochi nel cerchio MW. «La certificazione è nata a Londra per gli operatori del trade – spiega – e ci sta che sia arrivata un poco più tardi, soprattutto nei Paesi produttori. In Italia poi c’è un po’ di campanilismo e la barriera linguistica non aiuta a superare le chiusure. Penso però sia solo una questione di tempo e credo che il nostro percorso possa essere uno stimolo per molti operatori del settore».
Inoltre Russo non nasconde la soddisfazione per l’impatto sul mondo del vino in Sicilia. «Spero che abbia un peso per la filiera in questa regione – dice – che oggi è sotto i riflettori e ha ancora grandi potenzialità. E credo che questo percorso di crescita possa esser agevolato dai processi di internazionalizzazione».