ph Jennifer Causey

Come si fa a non amare lo Sherry?

Un vino straordinario ma che (incomprensibilmente) non piace a tutti.

Credo sia stato dopo aver assaggiato lo Sherry della quarantesima o forse cinquantesima, se non addirittura sessantesima botte che mi sono fermato a pensare: «Santo cielo, è veramente tanto, ma tanto Sherry». Mi trovavo a Jerez, in Spagna, con Antonio Flores, enologo esperto e master blender di González Byass, uno dei grandi nomi dello Sherry. Insieme a noi c’erano la figlia (nonché enologa) Silvia Flores e Pedro Rebuelta, vicepresidente di quinta generazione dell’azienda. Ci trovavamo tra le imponenti pile di botti in una delle numerose, vaste e silenziose cantine della bodega. Ricordo quando Flores ha immerso la sua venencia – in sostanza un lungo bastone all’estremità del quale è fissata una piccola tazza cilindrica, flessibile da maneggiare – nella botte successiva. Dopo averla estratta, in un solo gesto, mi ha versato un altro assaggio nel bicchiere, senza sprecare nemmeno una goccia. «Che ne pensi?», mi ha chiesto.

Quello che ho effettivamente pensato è stato: «Caspita, mancano veramente altre 40 botti prima di concludere la nostra degustazione?». Ma del vino in sé ho pensato che fosse fantastico: sapido, salato, complesso, uno Sherry fino magistrale. «Buonissimo. Sublime!». Flores ha assaggiato, poi ha annuito, dandomi ragione. «Questo qui, sicuramente!», ho detto. Nel frattempo, Silvia Flores prendeva appunti nel registro che stava tenendo in mano, proseguendo lungo la fila di botti. Stavamo facendo una selezione preliminare per l’uscita annuale dei quattro Sherry Las Palmas di González Byass. Il nome fa riferimento al modo storico di contrassegnare le botti di Sherry pregiato (botti da 500 litri): un segno fatto con del gesso sulla botte, un tratto verso il basso e poi uno, due, tre o quattro tratti verso destra, che suggeriscono le foglie di una palma. La città di Jerez è piena di palme, ma non si può dire lo stesso degli Sherry: sono pochissimi quelli che alla fine soddisfano i requisiti richiesti. Inizialmente, abbiamo assaggiato lo Sherry di 100 botti per fare la nostra selezione. Poco dopo, in una sala di degustazione tranquilla e ben illuminata, ci saremmo seduti per stringere ulteriormente il cerchio.

A partire da dieci botti invecchiate per almeno 6 anni, tre di queste sarebbero state destinate all’imbottigliamento di Una Palma, mentre da tre sole botti di Sherry di oltre 50 anni, solo una sarebbe stata destinata al rarissimo Cuatro Palmas. Ma per il momento ci trovavamo in una delle cantine di Byass, poco illuminata e simile a una cattedrale, con il pavimento in terra battuta per mantenere il livello di umidità ottimale per l’invecchiamento. Lo Sherry è uno dei più importanti vini liquorosi al mondo, ma per molte persone occupa un posto secondario. In parte è un problema di immagine. La Regina Elisabetta II ha dato il suo contributo in tal senso preferendo il Dubonnet e il gin allo Sherry (una scelta alquanto strana, in effetti), in quanto l’idea dell’anziana signora inglese che sorseggia il suo Sherry deve essere confutata, e anche in fretta. È un cliché.

L’altro problema che riguarda lo Sherry è strettamente legato al prodotto in sé: si tratta infatti di un vino piuttosto complesso. Può essere secco o dolce, freschissimo o invecchiato per anni, sapido come una brezza marina o intenso e dalle note tostate, le varianti sono infinite. Ma, a livello generale, ne esistono due tipologie principali: gli Sherry invecchiati naturalmente e quelli frutto di ossidazione. I primi – i fino e i manzanilla sviluppano sulla superficie, all’interno della botte, una particolare muffa composta da lieviti chiamata flor. Questo strato, che assomiglia a un batuffolo di cotone color avorio, può essere sottile o più spesso, fino a mezzo centimetro, ed è ciò che conferisce il tipico carattere distintivo – sapido, pungente e rinfrescante – a questi Sherry. A tal proposito, Antonio Flores dice: «Proprio a causa della flor, ogni botte è un ecosistema a sé stante, ognuna è diversa dall’altra». Il lievito cambia per adattarsi all’ambiente, sottolinea. «Come un essere umano che respira, mangia e si riproduce. Ma in questo caso si tratta di un essere unicellulare». I tipici fino e manzanilla, come l’onnipresente (ma molto buono) Tío Pepe di González Byass, vengono invecchiati per circa quattro anni con la presenza della flor.

I vini che stavamo degustando erano più vecchi, complessi, profondi e forti grazie al profilo organolettico del lievito. Alla fine, però, come tutti gli essere viventi, il lievito muore. Dopodiché, lo Sherry invecchia per ossidazione, il tipo di invecchiamento più comune che apporta note di frutta secca, cuoio e caramello, facendolo diventare color rame brunito. Gli amontillado sono prodotti in questo modo. Gli oloroso, più scuri e intensi, vengono fortificati non appena termina la fermentazione (motivo per cui non sviluppano mai la flor), subendo anche in questo caso un invecchiamento di tipo ossidativo. Poi ci sono i PX, dal nome Pedro Ximénez, ottenuti dall’omonima uva. Sono dieci anni che cerco di farmeli piacere, ma sono troppo dolci per i miei gusti (riconosco le mie mancanze. In effetti, non mi piacciono nemmeno i datteri canditi).

Esiste anche una tipologia di Sherry fino e manzanilla nota come en rama. Si tratta di Sherry non filtrati e non stabilizzati, delle vere e proprie espressioni del vino estratte direttamente dalla botte. Byass lancia ogni anno uno Sherry Tío Pepe En Rama, che è simile a una versione più scapestrata del suo zio (tío, appunto) dei quartieri alti; gli Sherry di Las Palmas che stavamo selezionando sarebbero stati i migliori tra le botti normalmente utilizzate per il lancio dell’En Rama (anche se per il Tres Palmas e il Cuatro Palmas, i vini sarebbero stati molto, ma molto più vecchi). Mi piace pensare che questi vini rappresentino uno sguardo all’anima più sincera dello Sherry. Abbiamo continuato così a oltranza, degustando un calice dopo l’altro. D’un tratto, ho notato una piccolissima scala per terra, posta accanto a un unico bicchierino di Sherry. «Che cos’è?», ho chiesto. «Ah, sì. Era per il topo», mi ha risposto Silvia Flores con nonchalance. «Gli piaceva lo Sherry. Era piuttosto famoso, c’è pure un suo video su YouTube». Certamente. Ma, dal momento che nessun altro sembrava sorprendersi di questa cosa, abbiamo proseguito con la nostra degustazione di Sherry.

Visitare Jerez

Dove degustare

Tío Pepe

Ogni anno più di 250.000 persone visitano le Bodegas Tío Pepe a Jerez. Scegliete il tour VORS (Very Old Rare Sherry), che vi permetterà di assaggiare alcune delle bottiglie più pregiate. (tiopepe.com)

Bodegas Lustau

Bodegas Lustau a Jerez offre regolarmente tour della sua cantina del XIX secolo, facendo tappa per le degustazioni lungo il percorso attraverso le bottaie simili a cattedrali. (lustau.es)

Dove Mangiare

A Mar

L’ottimo pesce che più fresco non si può è al centro dell’offerta di questo ristorante di Jerez. Scegliete il pescato del giorno o provate il tonno rosso di Almadraba, se vi trovate nel periodo di pesca. (amarrestaurante.com)

Tabanco el Pasaje

Per assistere a fantastici spettacoli di flamenco e degustare qualche copitas dello Sherry fino El Maestro Sierra questo è il posto giusto dove andare. Divertente e molto frequentato.(tabancoelpasaje.com)

La Carboná

Nel suo elegante ristorante, lo chef Javier Muñoz s’impegna a usare lo Sherry in eccellenti piatti contemporanei, come il maialino confit in salsa all’amontillado. (lacarbona.com)

Dove alloggiare

Hotel Bodega Tío Pepe

Questo nuovo e bellissimo hotel, situato proprio davanti alla cantina di Tío Pepe, si trova a pochi passi dal centro storico di Jerez e dispone anche di un bar sul rooftop, offrendo una splendida vista del tramonto. (tiopepe.com)

Maggiori informazioni

Foto di Jennifer Causey

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