Identità Golose 2024 giorno 1: più disobbedienza in cucina, meno spettacolo

Dall'innovazione alla libertà: quali sono le trasgressioni degli chef.

È una disobbedienza ragionata e illuminata quella che è stata scandagliata in occasione del primo giorno del Congresso di Identità Golose 2024. In coincidenza con l’apertura della tre giorni, sullo schermo in Auditorium il pubblico ha potuto metabolizzare una frase dello psicologo e psicoanalista Erich Fromm: “L’atto di disobbedienza, in quanto atto di libertà, è l’inizio della ragione”. E tra i disobbedienti geniali della cucina italiana non poteva mancare la menzione-omaggio a Gualtiero Marchesi (con una foto che risale a 17 anni fa, lui e Pierre Troisgros che mimano la celebre testata di Zidane a Materazzi, e venne scattata proprio su questo palco). Del padre della nuova cucina italiana è stato ricordato il Raviolo aperto, suo piatto iconico che, ormai più che quarantenne (1982), ha fatto della disobbedienza la sua fortuna trovando una sua dimensione nell’universo della pasta fresca e ripiena.

“Non può esistere innovazione senza disobbedienza: la rivoluzione oggi”, ricorda lo slogan della diciannovesima edizione del Congresso internazionale di cucina d’autore, tema che entusiasma persino Manuel Agnelli, cantautore e produttore musicale, nonché buongustaio (ma questo punto lo approfondiremo con una prossima super intervista) che sul palco di Identità è salito accompagnato dalla chef Chiara Pavan, a sua volta appassionata di musica e fan degli Afterhours. «La disobbedienza è una delle parole con cui possiamo descrivere la libertà commenta Pavan : credo che in questo momento storico ci sia più un paradigma fluido che uno stato di regole. Siamo molto liberi nel creare e nell’essere creativi: quindi cosa vuol dire oggi disobbedire? Io ho disobbedito perché mi sono data un sacco di regole».

Un’altra voce femminile che è felicemente andata controcorrente nella sua carriera professionale è quella di Dominga Cotarella che, insieme a Marta ed Enrica, nel 2015 ha segnato il passaggio generazionale in azienda quando Falesco (brand fondato nel 1979 da Renzo e Riccardo Cotarella) divenne, appunto, Famiglia Cotarella. «Finché c’è disobbedienza c’è entusiasmo. D’accordo con la mia famiglia abbiamo creato un nuovo progetto per raccontare due mondi apparentemente in contrasto, quello del fine dining e quello rurale. Io sono presidente nazionale di Terranostra (associazione italiana degli agriturismi promossa da Coldiretti, ndr) e mi impegnerò affinché queste due realtà dialoghino – spiega Dominga che prosegue nominando anche il progetto di Intrecci –. Quando nel 2017 la nostra scuola partì c’è stato chi aveva previsto che non saremmo durati. Con grande orgoglio oggi posso dire che siamo l’unica Accademia di Alta Formazione di Sala in Italia e in Europa: che ben venga la disobbedienza». L’imprenditrice ne ha parlato in un intervento corale con i colleghi Walter Massa di Vigneti Massa e Martino Manetti di Montevertine. Se il produttore piemontese è famoso per le rivoluzioni legate al tappo a vite (sull’argomento è nato pure un evento, Svitati, che ha coinvolto anche Franz Haas, Graziano Prà, Jermann, Pojer e Sandri), il secondo sta portando avanti la rivoluzione del sangiovese in purezza nel Chianti Classico, intrapresa cinquant’anni fa dal padre Sergio: «Io continuerò a disobbedire senza far nulla» e in un mondo sempre (a volte eccessivamente) accelerato «questa è una scelta punk», dice Manetti.

In Perù c’è chi ha disobbedito, ormai quindici anni fa, alle regole dell’alta ristorazione fissandone di nuove: furono Virgilio Martinez e Pia León che con il loro Central a Lima occupano oggi il primo posto della classifica The World’s 50 Best Restaurants 2023. A raccontare questa storia di successo è la sorella dello chef, Malena Martinez, mancato medico prestato alla scienza che illustra il progetto di Mater Iniciativa e del centro di ricerca (che anche ristorante) Mil a Cusco, con vista su Ande e piantagioni di mais a 3.600 metri sul livello del mare: «Noi dobbiamo essere dei narratori del nostro territorio. Stiamo conducendo ricerche scientifiche su clima e biodiversità: in Perù c’è un’immensità di panorami oltre il Machu Picchu e si contano più di 55 gruppi etnici nel Paese. Per noi la tavola diventa un trampolino di lancio per rendere queste informazioni accessibili a tutti». A dare concretezza alle sue parole è appunto Mater Iniciativa, manifesto che traina l’impero dei ristoranti peruviani della loro famiglia. «Si tratta di una vera e propria fucina di idee. Abbiamo anche realizzato una scuola-pilota con 50 studenti: in questo modo si va oltre l’esperienza culinaria. Così dall’essere “ribelli” siamo diventati custodi del nostro passato e, allo stesso tempo, autori del nostro futuro. Non restiamo semplici osservatori». Si tratta di un lavoro interdisciplinare che abbraccia una visione olistica della ristorazione, tra temi sociali e agricoli che passano dal singolo ingrediente quanto dalla conoscenza di tecniche pre-inca in fatto di artigianato.

Quello che il 6 febbraio 2023 ha colpito le regioni al confine tra Turchia e Siria è stato un terremoto che ha avuto conseguenze disastrose: «È stato così forte che si è avvertito a Il Cairo e a Cipro – hanno dichiarato Mehmet Gürs, chef di Mikla  Istanbul, e Cemre Torun, founder di Cradle of Food, evento di solidarietà e raccolta fondi organizzato a Londra per le popolazioni colpite dall’evento sismico –. Alcuni hanno pensato che fossimo pazzi, noi però l’abbiamo messo in piedi in soli due mesi. Nel nostro caso l’arma della disobbedienza è stata la sensibilità». Lo stesso sentimento ha spinto lo chef Maksut Aşkar di Neolokal ad allestire una cucina di fortuna per 13mila persone in 24 ore: «Le tradizioni sopravvivono nei momenti difficili e tengono unite le persone intorno alla tavola. L’herise che è stato preparato in questi accampamenti rappresenta una delle più lunghe ricette dell’umanità: acqua, cereali e carne. “Ecco il porridge”, direbbero gli inglesi. Dobbiamo riconoscere le nostre radici: alle persone piacciono questi piatti e noi cuochi non dovremmo dimenticarcene. Credo che questo sia un atteggiamento importante per essere disobbedienti».

Parte proprio da una riflessione sulle proprie origini la cucina di Tomas Kalika chef argentino che prima con il suo Mishiguene e più di recente con Cafè Mishiguene e Porteno ha portato la (nuova) cucina ebraica a Buenos Aires, almeno secondo la sua interpretazione. Sì, perché qual è la vera ricetta del pastrami? Quella dell’Impero Ottomano? Forse quella lituana? O magari la versione newyorkese (Katz’s Delicatessen del resto è sempre una certezza)? La domanda forse da porsi sarebbe: esiste una cucina ebraica codificata nel tempo e nello spazio? Kalika per rispondere ha affrontato il tema dell’immigrazione anche a carattere culinario che ha comportato inevitabilmente contaminazione. Il 2014 è stato l’anno di svolta per lui: ha disobbedito prendendo le ricette della nonna per rivisitarle tra ricordi d’infanzia e nuove prospettive. Quanto sia buono il suo pastrami non lo sapremo mai se non andando nella capitale argentina: il suo carico di carne che doveva essere qui è stato inspiegabilmente smarrito.

Oriol Castro si è avvicinato alla platea distribuendo alla fine del suo intervento (che è stato anche l’ultimo della giornata) delle carte, solitamente regalate ai clienti al ristorante. Uno dei tre protagonisti di Disfrutar a Barcellona (all’appello mancavano Eduard Xatruch e Mateo Casañas), il secondo miglior ristorante al mondo, sempre secondo la 50Best, ha così esordito. «Noi siamo amanti della cucina italiana e attualmente abbiamo quattro ragazzi italiani. Le mie ultime vacanze le ho trascorse in Puglia – confessa Castro –. La cucina italiana ha storia e identità esattamente come quella spagnola». In merito al tema, il feeling è stato immeditato: «Nei nostri ristoranti non ci sono menu scritti, non aspettatevi cocktail di benvenuto ma serviamo acqua aromatizzata al caffè o allo yulo. Chi non può mangiare uova riesce tranquillamente a provare la nostra meringa senza albume mentre chi deve evitare il glutine apprezzerà questa specie di omelette giapponese con solo mais». Tra gli eredi di Ferran Adrià, Castro ha però sfoderato un altro asso nella manica: «Bisogna saper cucinare ma bisogna sapere mangiare e capire bene il piatto». Liofilizzato, croccante, liquido in veste di consommé oppure olio, è il suo calçot che, come tradizione catalana vuole, viene mangiato insieme alla salsa romesco; da ordinare anche solo per la brochure con cui viene servito che ne racconta la storia. Un pollo nel dolce? Ammette che non sia una novità (basti pensare il budino turco che somiglia al nostro bianco mangiare) ma l’assaggio concesso a Terry Giacomello è sembrato rivelatore: una caramella gommosa a base di cartilagine del pollo. Geniale.

Maggiori informazioni

Identità Golose 2024
9-10-11 marzo
identitagolose.it

Leggi anche: Identità Golose 2024 è nel segno della disobbedienza

Foto Brambilla-Serrani

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