S’intitola Suono N’Uovo l’intervento di Massimiliano Alajmo sul palco dell’auditorium di questa diciannovesima edizione di Identità Golose, e il gioco di parole racchiude in nuce i contenuti di una delle condivisioni – termine che lo chef delle Calandre, presentato dal direttore di Food&Wine Italia Federico De Cesare Viola, preferisce a quello di lezione anticipando anche l’importanza attribuita al lessico e all’uso ragionato delle parole – più stimolanti dell’appuntamento milanese. Non nuovo alle riflessioni sulle diverse sollecitazioni sensoriali espresse dai piatti, né tantomeno ai processi che contribuiscono alla percezione dei sapori, Alajmo conduce il pubblico in un excursus che esula dalla cucina in senso stretto – ma da lì parte, con il suo portato sensoriale, di memoria, di emozioni – per intenderla come mezzo di indagine personale.
L’oggetto della sua ricerca in questo caso è un uovo, emblema di nascita e rinascita, protagonista di infinite (e in parte ancora inesplorate) possibilità gastronomiche, partendo da un ricordo d’infanzia: la nonna ogni domenica gli dava un cucchiaino di miele con del guscio d’uovo in polvere per la calcificazione delle ossa, lasciandogli impresso lo scricchiolio prodotto dal boccone. Così, lui e il suo team – ad accompagnarlo sul palco i sous-chef Michele Cremasco e Luca Torello – hanno scelto di lavorare sulla pasta (all’uovo, naturalmente) uscendo dalla dicotomia solo tuorlo/albume e tuorlo per usarlo nella sua interezza, vale a dire con il guscio che viene sanificato con vapore e forno, polverizzato e aggiunto alla pasta. Le tagliatelle così ottenute, spadellate con burro nocciola allungato con un estratto di sedano rapa e Parmigiano Reggiano, avvolte da un’elegante fonduta di Castelmagno con latte vegetale, che ne esalta il profumo, e doppio brodo concentrato di gallina – servito anche a parte in tazza, da bere dopo la pasta ma che anticipa alcune sensazioni già con il solo profumo – e ultimate da erbe aromatiche essiccate (timo, maggiorana, alloro e salvia), restituiscono un gusto ricco e pieno, che sa di pascoli e profumi di montagna.
Ma, andando oltre l’aspetto puramente gustativo ed edonistico della pietanza, Alajmo si concentra sulla percezione profonda e personale lavorando come aveva già fatto in precedenza con altri piatti sul suono (e sulla sua assenza) per amplificarne le note: la pasta viene servita con dei tappi per le orecchie, che escludono il “rumore” esterno creando una condizione quasi amniotica e permettendo di concentrarsi sulla masticazione e di percepire il suono prodotto dai granelli di guscio d’uovo nell’impasto. Suono che riporta a sensazioni di sabbiosità (elemento normalmente considerato un difetto in cucina) ma poi anche di croccantezza piacevole e, soprattutto, percepita da ciascuno in maniera diversa e personale fondendo i diversi stimoli sensoriali, come viene efficacemente raccontato – non essendoci la possibilità di replicare l’assaggio in sala – da un video “sinestetico” che riesce in qualche modo a rendere l’effetto di una “degustazione acustica”. Perché, come riassume efficacemente lo stesso Alajmo nella chiusura del video, «ascoltare la materia significa divenirne parte, per comprendere anche per un brevissimo istante che parla di noi».