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Identità Golose giorno 2: cucina senza etichette

Rasmus Munk dell’Alchemist di Copenaghen e René Frank del Coda di Berlino hanno condiviso le loro visioni culinarie che sfidano ogni approccio canonico. C’è spazio anche per Carlo Cracco e Davide Oldani, due certezze nostrane.

A inaugurare la seconda giornata del 19esimo congresso di Identità Golose c’è Carlo Cracco, una certezza di questa manifestazione, che insieme al sous chef Luca Sacchi presenta in anteprima il nuovo menu del ristorante Cracco in Galleria – uscirà a fine mese – che trae ispirazione non dalla cucina molecolare, moderna o contemporanea, bensì dalla tradizione popolare milanese. È questa la rivoluzione in cucina di uno degli chef più mediatici degli ultimi anni, che nell’ultimo periodo si sta dedicando con vigore ai fornelli. «Tutti i piatti che abbiamo provato prendono spunto dalla cucina popolare: noi li abbiamo riproposti in chiave più attuale. L’obiettivo è unire quanti più ingredienti possibili che appartengono alla nostra storia», commenta lo chef vicentino lasciando poi la scena a Sacchi che intrattiene la platea con ricette come Pane, polenta e bruscitt – una torta salata di pane e polenta farcita con manzo brasato che viene porzionata direttamente al tavolo evocando il ricordo del paniere della farina di mais – o la Minestra di Grano – dove il grano saraceno viene cotto come se fosse un risotto (siamo pure sempre a Milano!) e arricchito con maiale, cotiche, prosciutto cotto alla brace e mantecato con burro e Parmigiano Reggiano.

La visione di una “riscoperta delle origini” di Carlo Cracco dà l’assist a due professionisti internazionali che hanno catalizzato l’intera sala nel pomeriggio del congresso culinario. A cominciare da René Frank, chef, pasticcere e patron di Coda a Berlino, il primo dessert restaurant a ricevere due stelle Michelin (la prima è arrivata nel 2019, la seconda nel 2022). Le tecniche dell’alta pasticceria sono protagoniste di tutto il menu, inserendo in ogni portata tutti i gusti, compreso l’umami, dimostrando che questo profilo sensoriale può essere presente anche in un dessert. «Per me il dolce è la parte più divertente del menu – racconta il tedesco –: nel mio ristorante è declinato sotto tanti aspetti e l’idea iniziale era proprio quella di mettere insieme il mondo della cucina e quello della pasticceria. Tutto questo non sarebbe stato possibile senza la mia disobbedienza a non seguire le convenzioni». Per lo chef disobbedire significa sentirsi libero, distinguendosi così come un progressista anziché un conformista. Una caratteristica facilmente intuibile dalle sue preparazioni che non prevedono l’utilizzo di zuccheri bianchi né cioccolato industriale, prodotto artigianalmente nel laboratorio del ristorante. «Da Coda non vogliamo appartenere a nessuna categoria né essere etichettati».

È un intervento che va decisamente oltre la gastronomia quello di Rasmus Munk, l’eclettico chef di Alchemist a Copenaghen (due stelle Michelin, più una verde), impegnato dal 2015 in una cucina avanguardistica. «Mi piace pensare la mia cucina come fosse un concetto olistico, dove le ricette traggono ispirazione da ogni forma d’arte, dai film alla musica, dai quadri al teatro. Oggi Alchemist si trova in uno spazio di 2.200 metri quadri suddiviso in diverse stanze, dove l’esperienza non è necessariamente mangiare, rovesciando così l’idea del canonico ristorante». Dal discorso di Munk si percepisce che tutta la sua filosofia è disobbediente, rivoluzionaria e trascendentale: il cibo è solo un mezzo per comunicare qualcosa di più grande, come conferma il cuoco danese. «Oggi sono molto attratto da argomenti che vanno oltre il mondo del gusto e dei sapori, tra cui le tematiche sociali, il problema degli allevamenti intensivi, i detriti spaziali o la fame nel mondo. Nel nostro menu i problemi mondiali rappresentano l’incipit delle nostre ricette». Munk accusa la ristorazione di essere troppo conservativa, ingabbiata dentro una cornice di sapori e di piaceri sensoriali, dove il cuoco viene visto come un’artista ma poi all’atto pratico non gli è concesso esprimersi in maniera incisiva su tali argomenti. Ma è davvero così? Ha ragione lo chef a sottolineare l’importanza che anche un ristorante può veicolare questi argomenti di interesse mondiale attraverso piatti anti-convenzionali e di protesta? Per Rasmus Munk la rivoluzione supera la dimensione di cuoco.

In Auditorium si torna a parlare di Italia con Davide Oldani, uno chef la cui carriera è stata segnata dalla disobbedienza sin da giovane quando, con un contratto in mano da calciatore, a causa di un brutto infortunio rinunciò alla professione sportiva, trasformando questo evento negativo in opportunità. Decide così di intraprendere una brillante carriera in cui oggi con la sua insegna bistellata D’O a Cornaredo, in provincia di Milano, è uno dei maggiori interpreti della cucina pop. «La disobbedienza attuale è seguire le regole nel rispetto di tutti. Per me i piatti raccontano più delle parole». Un esempio è la sua ostrica in carta anche al ristorante: valorizza e recupera ogni componente del mollusco, dal muscolo – che solitamente rimane attaccato alla conchiglia – alle branchie che vengono tritate e cotte nella stessa acqua del frutto di mare. «In questo caso la mia innovazione è lavorare il prodotto a 360 gradi, dando al piatto diverse consistenze e nuove interpretazioni».

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In copertina: Rasmus Munk (foto di Brambilla-Serrani)

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