Ormai definitivamente sdoganati dall’etichetta restrittiva di “cibo per vegetariani”, i prodotti del mondo vegetale sono sempre più i veri protagonisti di piatti e menu di ristoranti di ogni categoria, di pizze contemporanee, di dessert che possiamo finalmente smettere di definire avanguardisti per dire che sono semplicemente buoni, come afferma anche Carlo Passera introducendo la giornata di lavori dedicata alle Identità Vegetali, appunto. E ad accompagnare le proposte di chef e pizzaioli ci sono distillati e liquori selezionati e presentati da Angelo Canessa, mixology manager per Velier ed esperto gastronomo: tequila, rum, whisky torbato, Pommeau di Normandia (sidro di mele fortificato), Elixir di Chartreuse (ma anche un’acqua aromatizzata con alcune delle sue ben 130 erbe, a ricordare che oggi il bere può assumere molte sfumature e punta più sulla qualità e sull’”ascolto”, che su quantità e gradazione), vale a dire grandi prodotti ottenuti dalla lavorazione di materia prima vegetale, che sia canna da zucchero, agave o quant’altro.
S’intitola Il Seme della disobbedienza l’intervento di Davide Caranchini – talentuoso chef patron di Materia a Cernobbio, Best Chef Under 35 ai Food&Wine Italia Awards 2020 e insignito quest’anno del premio “Identità Naturali” promosso da Caraiba, nella foto – e racchiude il lavoro dell’ultimo anno dedicato appunto ai semi, utilizzati (spesso ma non per forza, lo chef non lavora secondo etichette “per obblighi”: né di categorie né di provenienza, anche se naturalmente privilegia il territorio del lago di Como e dintorni) come fonte di grassi in sostituzione a quelli animali. Così, insieme al suo team propone alla sala il Cetriolo alla scapece: cotto al vapore con olio alla menta per ammorbidirne le fibre, poi disidratato, passato al barbecue e glassato con una mistura di bucce di cetriolo e acqua, fino a ottenere la consistenza che ricorda quella di una zucchina cotta pur mantenendo la freschezza del cetriolo. A completare il piatto, del “caviale” di Bassia scoparia (pianta asiatica i cui frutti ricordano delle piccole perle) cui aggiunge grassezza e umami con un mix di olio extravergine, shoyu di funghi autoprodotto e olio all’aglio. Ma anche la “burrata” vegetale di “latte” di pinolo con salsa verde di alghe, pinoli tostati e olio alla salvia, l’intrigante riso Carnaroli mantecato a freddo con succo e “burro” di olive pugliesi Bella di Cerignola e succo di semi di coriandolo ad aggiungere freschezza, e le deliziose carote – in più forme e consistenze: disidratate e reidratate, in succo alla base della vinaigrette, in forma di olio dai semi – accompagnate con la purea di miso e “latte” di semi di zucca.
Il mondo vegetale, con i suoi profumi e le sue qualità nutrizionali, è al centro anche del lavoro di Tiziana Cappiello, giovane e determinata pizzaiola pugliese de Il Balcone di Minervino: figlia di pizzaiolo e studentessa di Biotecnologie mediche, ha deciso di assecondare una passione più forte (contravvenendo al desiderio del padre) e tornare agli impasti e condimenti con una consapevolezza e competenza decisamente diverse. Lei parte dall’impasto, utilizzando le farine Casillo che mantengono il germe di grano – elemento prezioso ma fino a qualche anno fa scartato dai mulini perché difficile da gestire in conservazione e lavorazione – e topping che raccontano il grande patrimonio e la grande tradizione pugliese in ambito vegetale: così sull’intenso impasto al padellino con farina multicereali ai semi e farina con germe di grano della pizza Minervino mette cime di rapa saltate, stracciatella, cardoncello murgiano e peperone crusco, mentre sull’impasto più scioglievole con farina bianca al germe di grano sfida i limiti canonici del mondo pizza abbinando cromaticamente in altrettante salse pomodori e frutta: datterini rossi e lamponi, datterini gialli con mango e pomodori verdi con kiwi, oltre alla confettura di San Marzano. Il nome della pizza? Beyond Limits.
Francesco Vincenzi – chef di Franceschetta 58 e parte di Francescana Family, che da piccolo odiava le verdure – racconta non solo dei piatti, ma soprattutto del progetto Orto Libera Tutti che vede il ristorante modenese collaborare con la vicina casa circondariale di Sant’Anna nella gestione di un orto biologico di quasi due ettari all’interno delle mura del carcere, in cui lavorano detenuti vicini al termine della piena che trovano così un’opportunità di inclusione, crescita e riflessione. Lo spunto è reciproco: dopo due anni di collaborazione, la brigata indica semine e quantità ma s’ingegna anche a trovare soluzioni quando le cose non vanno come previsto, come nel caso dei pomodori verdi, non maturati a sufficienza, che stavano per essere buttati via e sono invece diventati un rinfrescante pre-dessert. E adesso si sta lavorando anche sulla produzione del compost con gli scarti del ristorante che verrà utilizzato per fertilizzare il terreno, e sulla coltivazione di erbe aromatiche a partire dalla lavanda che sarà usata anche per i sacchetti profuma-biancheria. Proprio dai prodotti dell’orto nascono due piatti del menu: nella Patata Arrosto il tubero – solitamente considerato un contorno – diventa protagonista assoluto degli gnocchi con la salsa di patate emulsionata con olio al rosmarino e aglio, fondo di buccia di patate e croccanti chips di patate arrosto lavorate con la macchina per le cialde dei coni da gelato; mentre in Porro, Porro, Porro ogni parte dell’ortaggio viene utilizzata e cucinata diversamente, in un gioco di acidità, dolcezze e consistenze.
Innovazione, disobbedienza e rivoluzione sono le tre parole d’ordine di Ariel Hagen, giovane chef toscano dall’aprile 2022 alla guida dell’offerta gastronomica dell’incantevole resort senese Borgo Santo Pietro, e della costola fiorentina del ristorante Saporium. Ribelle di indole ma forgiato al rigore delle cucine dalle esperienze al fianco di maestri come Norbert Niederkofler e Gaetano Trovato, Hagen si presenta sul palco con la sua “squadra orizzontale” composta tra gli altri da Marco Sforza, Giulio Izzo e Marco Stagi. Affiancando lusso e autenticità agricola, Borgo Santo Pietro non è solo ospitalità ma anche 11 ettari di coltivazione biologica – e molti di più tra boschi, campi di erbe officinali e altro, incluso il Fermentation Lab, il laboratorio di cioccolateria e pasticceria e un’azienda di cosmesi olistica – da cui arriva circa l’87% delle materie impiegate nelle diverse strutture. Un privilegio ma anche una sfida, che impone agli chef di confrontarsi con l’essenza a tutto tondo di un termine abusato come sostenibilità e con l’imprevedibilità della natura che mette necessariamente in discussione il concetto di stagionalità. Così ad esempio, dagli sbalzi di produzione creati dal cambiamento climatico è nato il menu La stagione che non c’è, che ha sostituito l’attesa proposta primaverile adeguandosi a quanto cresceva nell’orto piuttosto che alle tabelle su carta. Mentre da un errore accaduto nella preparazione del cenone di Capodanno – quando il pralinato di nocciola e miso, ottenuto dall’esubero del pane di segale per la prima colazione, si è “separato”, e hanno dovuto in qualche modo tanto la parte oleosa e liquida quanto quella solida – nasce il piatto che ha come protagonista il cavolfiore, utilizzato in tutte le sue parti: ed ecco che, mettendo a punto la tecnica che codifica l’errore, l’avvolgente crema di cavolfiore incontra quella più intensa mescolata con la crema di miso, le cime di cavolfiore saltato nell’olio di miso e le nocciole del borgo. E il lavoro continua anche sugli altri piatti del menu, sui dessert e sull’offerta beverage che spazia anche tra estratti e kombucha.
Il pugliese Michele Cobuzzi, chef dell’Anima dell’hotel Milano Verticale, recente stella Michelin nel firmamento guidato da Enrico Bartolini, porta invece la sua interpretazione impertinente (e ugualmente basata sul recupero) del tipico street food pugliese: il panzerotto, il cui impasto modellato a forma di stella accoglie una farcia a base di verza brasata nel soffritto di scarti vegetali della cucina, completato dalla nota intensa e lombarda del Gorgonzola. E forse ancor più provocatoriamente, prepara una scarola come se fosse un arrosto di carne della domenica, legandola con lo spago e accompagnandola con l’intensità del fondo vegetale a base a di estratto di susina e salsa di soia, che nei profumi e nell’aspetto ricorda il fondo dell’arrosto ma si rivela appena acidulo all’assaggio. E per finire, olio al levistico e crumble di arachidi tostate ed emulsionate con olio extravergine e sale Maldon.
La chiusura della giornata spetta ad Alessandro Della Tommasina e Riccardo Monco, chef dell’Enoteca Pinchiorri, insegna che non ha bisogno di presentazioni. Al di là del menu vegetale – Terramadre – che hanno praticamente da sempre tra le proposte, e che attinge dall’azienda agricola alle porte di Siena, gli chef si concentrano soprattutto sull’importanza della sostanza – fatta di qualità ma anche di attenzione al benessere, alla salubrità del cibo che mangiamo e al saper andare incontro alle esigenze alimentari di ciascuno – rispetto all’apparenza dell’”effetto wow”. E a testimonianza di ciò preparano le lumachine di pasta cotte a metà in acqua e sale e finite nel succo rabarbaro fresco, servite con gelato di cavolo rosso, gocce di olio di pino marittimo e un “furikake” che rivede il tipico condimento giapponese (solitamente a base di semi, pesce essiccato e alghe) in versione toscana con cavolo nero, aglio ed erbe.