Come abbiamo già scritto, la pasta – sorta di tela bianca su cui gli chef possono esprimere la propria personalità – ben si presta alla sperimentazione, a patto di non aver paura di osare e di andare contro al sentimento popolare molto diffuso nel nostro Paese, che la vuole strettamente legata alla tradizione. E se la giornata di Identità di Pasta è da sempre – fin dalla sua prima edizione al congresso milanese di Identità Golose, nel 2009 – un laboratorio di indagine e ricerca, quest’anno il tema della disobbedienza invitava ancora di più ad andare oltre gli schemi e i canoni prefissati. Così, nella sala dedicata all’argomento – sponsorizzata dal Pastificio Felicetti ma come sempre aperta anche a digressioni sulla pasta fresca e a ogni aspetto di questo grande prodotto, e condotta da Eleonora Cozzella – accanto a ragionamenti e preparazioni sui “primi piatti”, spesso spaghettini, pache, ravioli e quant’altro hanno sconfinato felicemente nell’ambito del dolce, giocando con le componenti amidacee e appaganti ma anche con forme e consistenze.
Ad esempio, nell’ampio excursus del lavoro portato avanti da Davide Di Fabio da La Gioconda di Gabicce Mare, tra paste secce e fresche, rientravano anche le carnose pache Felicetti cotte nella salsa suzette, flambate e servite con riduzione di mandarino tardivo, pasta di arancia amara e zucchero a velo come predessert. E i raviolini dall’impasto acqua e farina – a richiamare i ravioli dolci del Carnevale teramano farciti di ricotta, maggiorana, scorza di limone e rum – scolati, conditi con un rosolio che ricorda le classiche bagne della pasticceria italiana e mantecati in padella, vengono serviti sul piatto precedentemente cosparso di scorza di limone, cannella, zucchero e poco sale.
La coppia professionale e di vita formata Karime Lopez e Takahiko Kondo, alla guida della cucina di Gucci Osteria da Massimo Bottura a Firenze, scardina ogni luogo comune portando sul palco – come ha sottolineato Paolo Marchi – una messicana e un giapponese a parlare di pasta. Kondo dichiara il suo amore senza riserve per questo grande prodotto italiano, Lopez la sua iniziale perplessità sulle nostre abitudini alimentari che la vedono protagonista quotidiana della tavola che ha lasciato il posto alla sua piena accettazione, anche per l’alimentazione della figlia. Dal loro sguardo “esterno”, cosmopolita e creativo che si posa sull’Italia e sui suoi prodotti con cui si confrontano con curiosità e senza nostalgia o reverenza nascono i piatti del menu Nuove Memorie, e i due predessert che hanno presentato a Milano nell’intervento intitolato “I Primi saranno gli ultimi”.
L’Anguilla in carrozza affianca al pesce laccato tipico della cucina giapponese (ma in questo caso con brodo di zucca concentrato con lo zenzero e Aceto Balsamico aggiunto a crudo) un tortello di zucca – emblema della grande tradizione delle sfogline emiliane ed effettivamente sul confine tra dolce e salato – ultimato con una grattugiata rinfrescante di rafano anziché di parmigiano. Mentre il dissacrante e buonissimo Non dire cassate gioca tanto con la tradizione dolciaria siciliana (smorzandone la zuccherosità eccessiva, per il nitido palato giapponese e non solo) quanto con il gusto trasgressivo del mangiare la pasta fredda tirata fuori dal frigo quando si rientra a casa affamati a notte fonda. E veste lo spaghettino freddo e marinato in un dashi di crosta di Parmigiano Reggiano con il verde intenso del pesto di basilico e pistacchio, accompagnandoli nel piatto a mo’ di cassata con cedro candito, crema di mandorle, bergamotto e una grattugiata di ricotta salata a marinata a freddo con del tè Lapsang Souchong a suggerire la nota affumicata del formaggio siciliano.
Andrea Aprea, alla guida del bellissimo ristorante che porta il suo nome all’interno della Fondazione Luigi Rovati, intitola il suo intervento “Disobbedire è servito” conferma: «La disobbedienza è un atto dovuto nel processo creativo, soprattutto con la pasta». E presenta due piatti ideati per il congresso, ma che andranno presto in carta: oltre allo spiralotto Felicetti in estrazione di quattro diversi cavoli, crema di latte di bufala e liquirizia, è provocatorio fin dal nome il suo Pasta e ceci? Sì, ma non troppo. Il grande classico della cucina comfort partenopea diventa infatti un dessert in cui i diversi formati della pasta mista – sedanini, conchigliette, mafaldine, ditalini e così via – vengono sostituiti dalla crema pasticcera solidificata e messa negli stampi di silicone. Ad accompagnarli nel raffinato piatto d’epoca, una salsa caramellata di ceci simile a un mou, un crumble di ceci caramellati, una spuma di pasta (ottenuta dall’acqua di cottura della pasta con latte di mandorla), un gelato al cioccolato bianco e rosmarino e una meringa di aquafaba di ceci, fiori di rosmarino e germogli di ceci, in un insieme calibrato di temperature, consistenze e note sapide, dolci e agre.