Se siete amanti del tè e siete desiderosi di conoscere meglio questo mondo che profuma di antico, proveremo a darvi un orientamento sulla bevanda più consumata al mondo, dopo l’acqua. Con oltre 6 milioni di tonnellate prodotte a livello globale, le piantagioni di tè crescono ovunque, con Cina, India, Kenya e Turchia in cima alla lista dei maggiori produttori. Sempre più apprezzata grazie alle sue proprietà antiossidanti, questa bevanda ha registrato un incremento costante del 15% negli ultimi cinque anni. Ma come si riconosce un tè di qualità e come orientarsi in questo campo? Lo abbiamo chiesto a Barbara Sighieri, proprietaria de La Teiera Eclettica a Milano, vera esperta del settore da più di 20 anni e irriducibile professionista che non smette mai di fare aggiornamenti. Grazie alla sua preparazione tecnica è, infatti, in contatto con i migliori maestri di tè, tra cui Yasuko Sugiyama, della scuola giapponese Omotesenke, che di recente ha tenuto in città un’autentica cerimonia del tè in una stanza costruita così bene che sembrava di essere nella terra del Sol Levante.
Per parlare di tè, Barbara, da dove si comincia?
«Quando ne beviamo una tazza, possiamo in realtà parlare di molti argomenti: la varietà, in che periodo è stato raccolto, com’è stato trasportato, da quale territorio proviene, com’è stato lavorato, e ancora come viene conservato. C’è un mondo dentro una tazza così piccola. La pianta del tè è la Camelia Sinensis, una sempreverde che esiste in due varietà principali: la Sinensis Sinensis e la Sinensis Assamica. È da qui che hanno origine moltissime cultivar, proprio come avviene per l’olio, il vino o il caffe. Ci sono infatti tante analogie tra queste realtà. Esistono poi due grandissime differenze tra il tè coltivato, che va potato a una certa altezza – e di cui viene modellata una “forma” per prendere meglio la luce del sole – e quello delle foreste».
Quante sono le famiglie di tè conosciute?
«La classificazione internazionale ne descrive sei dalle quali derivano poi i tè profumati, aromatizzati, tostati, affumicati o pressati. Per esempio, il tè bianco è considerato uno dei più preziosi: le sue foglie sono raccolte a mano solo una volta all’anno, a inizio primavera (tranne in alcuni paesi come il Nepal in cui quest’attività può avvenire in estate, ndr). Le foglie, appena raccolte, sono sottoposte a due fasi naturali di lavorazione: appassimento ed essiccazione. La bevanda che si ottiene è di colore giallo chiaro con profumi spiccatamente vegetali-fruttati. Il sapore, per quanto leggero e delicato, è ben definito, molto morbido e dissetante. Tra i tè bianchi più conosciuti ci sono il Silver needle e il bai mu dan, il cosiddetto White Peony, spiccatamente floreali.
Se siete amanti dei sentori freschi che ricordano l’erba appena tagliata, il tè verde è quello che state cercando. Le foglie appena raccolte entrano in contatto con una fonte di calore per inibire il naturale processo di ossidazione. Il riscaldamento delle foglie può avvenire tramite calore secco (metodo cinese) o al vapore (metodo giapponese). I principali Paesi produttori, in questo caso, sono Cina, Giappone, Vietnam, India, Nepal, Birmania, Corea. Tra i miei preferiti ci sono i tè verdi giapponesi come il Sencha e il Gyokuro.
I tè gialli vengono solo dalla Cina e in pochissime quantità. Hanno caratteristiche simili ai tè verdi in termini di aspetto, ma in realtà la fase di lavorazione è diversa. La minima ossidazione delle foglie dona infatti un risultato meno tannico. Se siete curiosi, assaggiate il Huo Shang Huang Ya o lo Jun Shan Yin Zheng cinesi.
Passando al tè nero, se ne possono avere diversi per aspetto e sapore; questo dipende dal periodo della raccolta delle foglie e della durata del processo di ossidazione. Tra le regioni più famose per la produzione troviamo Assam e Darjeeling.
Oolong è una famiglia che può considerarsi una via di mezzo tra i tè verdi e i neri, in quanto le foglie subiscono un processo di parziale ossidazione; il colore e il sapore possono variare molto in base alla tipologia. In generale, hanno un sapore ben definito, con basso contenuto di tannini e modesta concentrazione di caffeina: sono quindi adatti per essere bevuti in qualsiasi momento della giornata, anche di sera. Tra gli Oolong più conosciuti ci sono il Ti Kuan Yin e l’Oriental Beauty.
Pu erh è una varietà che si produce principalmente in Cina, nella regione dello Yunnan e comprende due sottofamiglie, che hanno lavorazioni e caratteristiche completamente diverse in termini di colore, aspetto delle foglie e profilo organolettico. Per prima cosa le foglie dopo il raccolto subiscono una lavorazione all’aperto che ne rallentata l’ossidazione con una leggera cottura a bassa temperatura e, dopo un arrotolamento manuale e un’essiccazione al sole, otteniamo il maocha, un tè grezzo e semilavorato da cui si parte per ottenere i due tipi di questa categoria: lo Sheng, invecchiato e che continua a evolvere nel tempo, è il più pregiato, e lo Shu, in cui avviene un processo di lavorazione che simula l’invecchiamento messo a punto negli anni 70. Si stendono le foglie e si bagnano coprendole poi con teli traspiranti, fino a innescare un processo di fermentazione che può durare settimane o alcuni mesi. In pratica è molto più veloce rispetto al metodo sheng e questo consente di velocizzarne il suo ingresso sul mercato».
Parlando invece di raccolto, cosa è importante sapere?
«Che si può raccogliere più momenti dell’anno: più spesso si raccolgono le foglie dalla stessa pianta. Se invece si lascia riposare aumentano le possibilità di ottenere prodotti di qualità, con massimo tre raccolti l’anno. Il raccolto primaverile è il più pregiato, anche se le foglie di una stessa pianta prelevate in stagioni diverse, daranno profili organolettici completamente nuovi ogni volta. Al raccolto segue poi il processo di lavorazione delle foglie e c’è molta differenza tra un produttore e l’altro: esattamente come accade per il vino».
Come si prepara il tè come un vero tea master?
«Bisogna prestare attenzione a tre fattori: acqua, temperatura e quantità di foglie. Partiamo dall’acqua: deve essere inodore, leggermente acida, con un pH inferiore a 7 e basso residuo fisso (inferiore ai 50 mg/l e quindi leggermente mineralizzata). Non bisogna usare quella del rubinetto perché darà un tè probabilmente torbido e con una nota amara importante. La temperatura troppo bassa non consente di far aprire completamente le foglie, specie se arrotolate, mentre una temperatura troppo alta può bruciarne i sentori. È importante avere quindi un buon bollitore con l’indicatore della temperatura. Se parliamo di un’infusione in stile occidentale, la quantità di foglie va da un minimo di 10 g per litro per un gusto normale e delicato, fino ad arrivare a un massimo di 13-15 g per litro per un gusto più intenso. Se pensiamo a un’infusione in stile orientale, come a quella della cerimonia cinese del Gongfu Cha, proporzioni e quantità cambiano notevolmente: 5 g di tè per 80/100 ml di acqua, e si possono infondere più volte le stesse foglie».
Quali sono le migliori teiere?
«Scegliere la giusta teiera non è solo un vezzo estetico o una questione di mise en place. Si tratta innanzitutto di un fattore culturale. In generale è bene evitare di utilizzare la stessa teiera per infusi diversi e, oltre a forma e dimensione, anche il materiale fa la differenza: quella in vetro è adatta per i tè che si devono aprire e per le lunghe infusioni. Il vetro è il materiale che assorbe meno i sapori e aiuta anche chi ama cambiare spesso tipologia di tè.
La teiera di yixing è piccola e molto pregiata perché è realizzata a mano con un’argilla che si trova nell’omonima regione della Cina. È molto porosa e va utilizzata sempre per lo stesso tipo di tè, particolarmente consigliata per assaporare i Pu erh e gli Oolong, soprattutto ad alta ossidazione.
Dalle dimensioni più capienti, la teiera in porcellana è legata alla tradizione inglese: solitamente si usa per l’Earl Grey e il Ceylon. Il consiglio è di utilizzare dell’acqua bollente per tenerla al caldo prima di procedere all’infusione. In Inghilterra, tra l’Ottocento e il Novecento, andavano anche i metalli, come l’argento o lo sheffield in stile vittoriano.
Per per preparare il tè arabo, la teiera in metallo viene messa sul fuoco con foglie verdi, menta e zucchero di canna: ha un becco piuttosto lungo che permette di avere una gettata alta, così da creare la tipica schiuma in tazza.
In Oriente, la teiera in ghisa viene utilizzata solo per bollire l’acqua ma ormai in Europa la troviamo spesso come parte di set per la preparazione del tè: il mio consiglio è di usarla solo per i tè scuri. Oltre all’estetica, queste teiere tengono in caldo l’acqua a lungo».