foto di Riccardo Andreatta

Il Suono N’uovo di Alajmo

Lo chef de Le Calandre indaga sul ruolo dell’udito in cucina e presenta l’inedito menu di primavera, filtrato dalle ultime sperimentazioni.

«Ascoltare la materia significa divenirne parte, per comprendere anche per un brevissimo istante che parla di noi». Lo scorso marzo, sul palco della diciannovesima edizione del congresso di Identità Golose a Milano, Massimiliano Alajmo ha condiviso un excursus inedito e potentissimo, terminato con un breve film sinestetico che ha lasciato a occhi (e orecchie) spalancati il pubblico dell’auditorium. Oggetto della ricerca è un uovo, emblema di nascita e rinascita, che in questo caso diventa strumento di indagine sul ruolo dell’udito nell’esperienza gastronomica. L’ha intitolato Suono N’uovo.

Avete mai ascoltato quello della vostra masticazione? Siete coscienti di quanto i “rumori” del cibo (e del packaging) anticipino e possano modificare la nostra percezione delle consistenze? Quanti descrittori conoscete per esprimere i timbri sonori nella degustazione di un piatto? Secondo lo chef de Le Calandre, l’udito è il senso che trascuriamo di più a tavola. Eppure i suoni (e la loro assenza) possono influire (o ingannarci) sul modo in cui riconosciamo cibi e bevande. Se ricordate Vibrazioni – un dessert al cioccolato (targato 2018) in 16 atti da “ascoltare” con gli auricolari, grazie a dei sensori posizionati sotto il piatto: ogni commensale generava la sua singolare sequenza di suoni – allora sapete che Alajmo non è nuovo alle riflessioni sulle sollecitazioni sensoriali e sulla percezione dei sapori. E dei profumi, attraverso la sua collezione di essenze spray, nate dalla collaborazione con il “naso” Lorenzo Dante Ferro, che evocano precisi scenari e stati emotivi.

Anche questa volta la scintilla, come spesso accade, si è accesa con un ricordo d’infanzia: la nonna dello chef ogni domenica gli dava un cucchiaino di miele con del guscio d’uovo in polvere per la calcificazione delle ossa (così si credeva), lasciandogli impresso lo scricchiolio prodotto dal boccone. Da quella memoria, lui e il suo team hanno lavorato sulla pasta all’uovo, scegliendo di usarlo nella sua interezza (e non solo il tuorlo e l’albume come consuetudine), vale a dire con il guscio che viene privato della membrana interna, sanificato con vapore e forno, polverizzato e aggiunto alla pasta. Si ottengono delle tagliatelle, che vengono affumicate, condite con burro nocciola ed estratto di sedano rapa e Parmigiano Reggiano, avvolte da un’elegante fonduta di Castelmagno che ne esalta il profumo e da un doppio brodo concentrato di gallina – servito anche a parte in tazza, da bere dopo la pasta ma che anticipa alcune sensazioni già con il solo profumo – e ultimate da erbe aromatiche essiccate e sbriciolate (timo, maggiorana, alloro e salvia) che restituiscono un gusto ricco e pieno, che sa di pascoli di montagna. Al principio, il piatto può risultare straniante dal punto di vista gustativo, proprio per la presenza dei piccoli frammenti croccanti di guscio, ma se ci si immerge in un livello sensoriale più profondo, prima tappando le orecchie e poi chiudendo gli occhi, si scopre una dimensione nuova e più profonda, in cui si passa all’ascolto, si recupera il ritmo del respiro, la degustazione viene interiorizzata, il sapore diventa veicolo di un viaggio intimo e personale, fino alla parte più ancestrale.

«Mi sono rovinato da solo – Alajmo ride – perché non posso più masticare una gomma senza che mi si attivi una riflessione micidiale. C’è una voragine da colmare su questo tema, che apre tanti nuovi scenari. Capire come siamo fatti, come reagiamo a determinati stimoli, è straordinario. Credo molto nella contaminazione con altri attori, competenze e territori. È un’investigazione senza confini, che può allargarsi al campo medico, culturale, artistico, letterale e musicale. Mi piacerebbe ad esempio approfondire proprio la musicalità dell’esperienza gastronomica personale, tesa alla ricerca della bellezza e della poesia».

È sul croccante – texture su cui la gastronomia occidentale si è sempre concentrata con una certa ossessione ma il cui lessico è piuttosto povero: scricchiolante, friabile, e poi? – che Alajmo indaga ulteriormente, partendo dal ruolo che ha avuto nella sopravvivenza umana fino allo svezzamento, primo e fondamentale momento di scoperta di sé: «Sono sempre più convinto che apprendimento, conoscenza e memoria siano fortemente collegati all’esperienza della masticazione, e che gran parte della stimolazione di piacere generato dal croccante sia condizionato dal messaggio di conquista e di emancipazione che il bimbo intimamente ha esperito nella fase dello svezzamento. Il cibo, infatti, come veicolo di scoperta accompagna la crescita dell’uomo in una forma del tutto privilegiata passando al suo interno e lasciando tracce silenziose cariche di significato. Un viaggio nel viaggio, per la scoperta di noi stessi».

Suono N’uovo da pochi giorni si può assaggiare (con tappi per le orecchie in dotazione) a Le Calandre: fa parte di Max, uno dei tre percorsi degustazione del rinnovato menu primaverile, appena presentato. Il Classico – scelta preferita di chi viene per la prima volta al ristorante tre stelle Michelin di Rubano, alle porte di Padova – non rinuncia ai piatti più riconoscibili (come il cappuccino Murrina o la mozzarella di mandorle) ma allo stesso tempo continua a cambiare di stagione in stagione con un atteggiamento libero e aderente al presente, filtrato attraverso le sperimentazioni del momento. Ad esempio rientra in carta Napul’è per Alfonso Mattozzi (storico patron dell’Europeo di Napoli), in un upgrade dedicato alla pizza fritta napoletana, ovvero un guscio sottile e croccantissimo di pasta ripieno di mozzarella e ricotta di bufala, passata di pomodoro, pesto di basilico, origano e acciuga, dove ogni ingrediente è tirato alla sua massima espressione; e ancora il Risotto I passi d’oro, inedita declinazione della versione classica allo zafferano e polvere di liquirizia –in cui sono stati aggiunti un peperoncino molto agrumato, un limone e un limoncino verde – dedicata all’opera di Roberto Barni esposta agli Uffizi. È una portata anticipata dal servizio di un calice nebulizzato con il profumo di zafferano e liquirizia (sempre parte della collezione Essenza Alajmo) per creare una corrispondenza olfattiva, servita con una cartolina numerata con un disegno regalato dall’artista e un QR code per accedere alla spiegazione del piatto: «È un’opera sul tema della sofferenza e della rivincita, che ho interpretato attraverso una dicotomia tra luce e tenebra: quando la polvere di liquirizia tocca lo zafferano si crea un riflesso dorato che rappresenta un elemento di speranza».

Nel menu Max, oltre a Suono N’uovo, c’è il Risotto all’ananas nero – dove il frutto viene lavorato come l’aglio nero e raggiunge profumazioni inaspettate che assomigliano a un Marsala o un Pedro Ximénez – servito con salsa di lievito e grano saraceno tostato, e abbinato a un ghiaccio di ostrica cruda: «È un piatto rassicurante e insieme intrigante, con l’ostrica che lo sposta in un’altra dimensione. È l’ospite a decidere come vestire il risotto e quanta ostrica mettere: diventa una perlustrazione molto personale». E poi il crudo d’erbe di campo, un piatto cangiante, che viaggia con una timbrica singolare perché ogni raccolto può cambiare: la lavorazione delle verdure – tra cui acetosella, aglio orsino, barbabietole, asparagi e piselli– è a freddo, la struttura è simile a quella di un vegetale cotto ma senza toccare calore. È una cucina svuotata delle parti inutili, che lavora intorno alla materia, digeribile e immediata nella comprensione.

Il percorso Raf – menu “alter ego” che porta il nome del fratello dello chef, Raffaele, maître des lieux – include altre novità: il Crispy di rombo in agrodolce ha un morso in cui è chiaramente divisa la parte succulenta da quella friabile della frittura e strizza l’occhio all’Oriente con l’insalata condita con uova di rombo ed emulsione al curry. E poi il Coniglio alla griglia con fagiolini e porro alla brace, crema fredda di levistico, purè di patate e peperoni e (finta) salsiccia di radicchietti. «È un piatto profumato ed elegante – spiega Alajmo – che parla di fioriture e di territorio. Utilizzo una varietà di leprotto che proviene, come tutte le nostre carni, da allevamenti che curano il benessere degli animali con un’alimentazione sana e puntuale».

Chiude il menu Fragilità, gioco al cioccolato 2024, una composizione di tegole e gel croccanti in cui lo chef – che il prossimo 6 maggio compirà 50 anni – si (ri)specchia: «È costruito sulle leggerezze, sulla fragilità materica. Parla di tutti noi e delle fragilità che ci accompagnano nella vita. Se riesci a frequentarle con ironia e se hai il coraggio di guardarle negli occhi diventano qualcosa di prezioso, la parte più animante e nutriente. Mettersi a nudo è terapeutico».

Maggiori informazioni

Le Calandre
Via Liguria, 1, 35030 Rubano (PD)
alajmo.it

In apertura: Suono N’uovo, piatto del nuovo menu de Le Calandre con cui Massimiliano Alajmo esplora la percezione uditiva del cibo (ph Riccardo Andreatta).

 

 

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