C’è un sapore persistente, terragno da favola paesana, più che da “american dream” trasferito in un contesto italiano, nella storia della famiglia Bartolommei. Giunti alla quarta generazione, apprezzati produttori di Brunello nel podere Caprili, sono una delle poche famiglie ascritte alla radice montalcinese. Quest’anno celebrano il quarantesimo compleanno di AdAlberto, la Riserva di Brunello dedicata al bisnonno Alberto, classe 1910, da cui tutto o quasi ebbe inizio. Ad Alfo, fondatore dell’azienda vitivinicola Caprili, e alla moglie Anna, gli anni, le fatiche e le responsabilità non hanno adombrato l’originaria risata, schietta e contadina, e ora “benedicono” con la loro saggezza il podere gestito da figli e nipoti. Del resto Alfo ha sempre mostrato fin da ragazzo di aver voglia di apprendere e di sperimentare, e questa volontà di stare al passo coi tempi ha trainato le fortune della tenuta. Nel 1952, appena arrivati al podere Caprili da mezzadri, lui sedicenne amante del vigneto comincia a seguire i corsi di formazione all’Ispettorato dell’Agricoltura e impara ben presto a guidare il trattore.
Storia di riscatto e tenacia
È un piccolo romanzo di riscatto e di tenacia, di apprendimento e di oculatezza quello che racconta Giacomo Bartolommei, 32 anni, quarta generazione della famiglia alla guida di Caprili. Una storia che inizia con una stirpe di mezzadri della Maremma, che nel 1910 approda a Montalcino e comincia a vagare di podere in podere. Vita agra quella dei mezzadri, vita da girovaghi, alla fine non sei bracciante ma non sei nemmeno proprietario. «Nel 1952, dopo tanto girare, la famiglia arriva al podere Caprili e qui si ferma conducendolo a mezzadria per tredici anni», racconta Giacomo. Ma un giorno ecco il colpo di scena, il “libro” dei Bartolommei volta pagina e da conduttori di terre altrui si fanno proprietari e imprenditori.
Per come si è storicamente sviluppata l’economia mezzadrile in Toscana, molto più capillare che nel resto d’Italia, le radici di quel “sogno” affondano nella “piccola patria” ovvero nel territorio. Gli storici dell’economia hanno spiegato da tempo che in questa regione si è generato nell’Ottocento e parte del Novecento un vero e proprio “mito mezzadrile”. Benché gravata da elementi di arretratezza, quella formula, cointeressando il mezzadro, garantiva coesione sociale rispetto a zone d’Italia in cui la forte presenza bracciantile era causa di pauperismo e ribellismo. È pur vero che la condizione del mezzadro toscano è stata molto meno idillica di quanto si narri, ma negli anni 60 del Novecento la situazione era sicuramente meno arretrata e nel 1965 Alberto e Alfo – il bisnonno e il nonno di Giacomo – salgono al volo su un ascensore sociale di quelli che oggi in Italia non passano più. E grazie a un intreccio di caso e abilità acquistano il podere dai signori fiorentini Castelli-Martinozzi.
I Castelli-Martinozzi accusano in quel momento qualche difficoltà economica e allora non c’è tempo da perdere, parte la trattativa per comprare Caprili. «L’operazione può andare in porto solo trovando un compratore anche per il podere Capanna, anch’esso dei Castelli-Martinozzi», continua Giacomo. È allora che Alberto e Alfo si danno da fare per convincere una famiglia di conoscenti che il gran salto dalla mezzadria alla proprietà lo aveva già fatto, i Fattori, a comprarlo loro il Capanna. E ci riescono. Sistemare documenti e carte perché tutto sia in regola è un’altra tappa non semplice del lungo cammino che nel 1966, finalmente, li porta alla conclusione positiva. «Purtroppo appena iniziata la nuova avventura – riferisce Giacomo – il bisnonno Alberto muore di un ictus e mio nonno Alfo si trova a gestire tutto da solo. Nel frattempo erano nati i suoi primi due figli, mio padre Manuele e mio zio Paolo, e c’era il mutuo da pagare».
Dal primo ettaro all’epopea del Brunello
È Alfo quindi a piantare il primo ettaro e per dodici anni vende solo le uve, ma nel 1974 decide di vendere il bestiame e ristrutturare la stalla a cantina, come a Montalcino hanno fatto in tanti. Poi compra le prime due botti per invecchiare il Brunello. «Le annate 1974, 1975, 1976 verranno tutte invecchiate – continua Giacomo – ma non vedranno la luce col nostro marchio, bensì con quello di altre aziende. La nostra vera prima annata di Brunello è il 1978. Dal 1983 cominciamo a commercializzare la prima Riserva. Oggi produciamo 160mila bottiglie, principalmente Brunello e Rosso». Nel 1997, con il rientro in azienda di Manuele, inizia l’espansione degli ettari vitati che oggi sono in tutto venticinque: cinque a Giniciano in Maremma, paese d’origine dei Bartolommei, 20 a Montalcino a corpo unico intorno al centro aziendale di Caprili.
Il 40esimo anniversario della prima Riserva AdAlberto viene celebrato con il millesimo 2018, uscito a gennaio. E se per qualcuno a Montalcino l’annata sembra essere un po’ esile, alla prova del calice si presenta invece con l’eleganza consapevole di un vino dalla stoffa pregiata. «Sarà perché siamo nella zona sud e riusciamo quindi a interpretare meglio le annate un po’ fresche», chiosa Giacomo. O sarà forse perché lavorando con accuratezza dalla vigna alla bottiglia è possibile dare al Brunello di Montalcino quel carattere solido che non manca di grazia, una tensione tra tabacco e grafite che non lascia spazio ai fianchi larghi e al contempo non rinuncia a un sorso materico, per un vino che guarda al futuro senza riposare sugli allori.