Una fila lunga 150 metri, più di 500 persone in coda e 460 hamburger processati. «Non ci aspettavamo un boom del genere all’esordio, nonostante fossimo straconvinti del prodotto; siamo dovuti rimanere chiusi per 3 giorni in modo da poter riorganizzare la cucina». È ancora incredulo Richard Abou Zaki quando ripensa al debutto di Shark dello scorso 2 maggio, il format di smash burger vista mare di Porto San Giorgio aperto insieme al socio e amico Pierpaolo Ferracuti.
La coppia di chef del ristorante stellato Retroscena – premiata in occasione della 17esima edizione della Guida Ristoranti di Identità Golose con il titolo di “cuochi dell’anno” –, ha deciso di espandere ancora una volta la propria visione gastronomica “non gourmet” nello stabilimento Chalet Sombrero della cittadina marchigiana, che già ospita il bistrot di cucina ittica durante il giorno.
«Ci sono due brigate distinte che si alterneranno nel servizio del bistrot e di Shark, quest’ultimo aperto solo la sera fino al 7 settembre», prosegue Richard che, dopo l’originale proposta della Pizzeria Controluce, insegna che occupa gli spazi di un ex cinema degli anni 30, tra menu a forma di ticket d’ingresso e schermi dove vengono proiettate vecchie pellicole cinematografiche, e del ramen Bar Opera – il primo di tutte le Marche, inaugurato per lavorare d’asporto nel periodo del Covid-19 e diventato nel tempo un punto di riferimento per gli appassionati di cucina asiatica –, si dedica al piatto americano per eccellenza. «Quando penso a un cibo da paragonare alla pizza, mi viene in mente l’hamburger, un prodotto popolare che piace a tutti. – commenta Abou Zaki –. Farlo in chiave “gourmet” sarebbe stato banale visto il mio curriculum. Così, dopo essere stato con mio papà (di origini statunitensi, ndr) a Las Vegas, ho provato tutti gli smash burger della città e ho appreso i cosiddetti “trucchi del mestiere”».
Lo chef per la cucina di Shark si è concentrato volutamente sul metodo smash perché «non crea pensieri sulla cottura della carne, un po’ come la pizza romana, dove non c’è il problema dell’impasto e del cornicione, spesso oggetto di critica da parte dei clienti». Gli ingredienti, ça va sans dire, sono scelti accuratamente: per i burger si utilizza solo 100% Chianina Igp della società agricola San Giobbe, il cheddar è selezionato da un’azienda locale che lavora principalmente con prodotti americani e lo stesso vale per il bun, acquistato da una realtà veronese che lavora solamente il pane in stile Usa. «Un prodotto popolare con un nome importante dietro e un prezzo accessibile avrà sempre successo. Se dai la giusta materia prima in twist con un’idea interessante la gente ti premierà».
Ma quali sono le caratteristiche che non devono mancare per un perfetto panino del genere? «Il pane è fondamentale, è come la pasta fresca: deve essere sottile e non spessa, altrimenti non si sente il ripieno. Lo stesso procedimento deve esser fatto con l’hamburger: il bun è un contenitore, che grazie alla sua morbidezza fa degustare nella maniera giusta il patty di carne. Poi ovviamente è imprescindibile la qualità della proteina animale e l’importanza di “smasharla” nel tempo corretto. Infine, non è da sottovalutare la salsa che faccio homemade utilizzando un olio di peperone crusco che ottengo dopo 24 ore di riposo, a cui aggiungo la paprika sia dolce che forte dando così quelle note ossidative che eccitano le papille gustative».
Da Shark, inoltre, c’è la possibilità di ordinare panini senza glutine e senza lattosio. «In linea generale ho scelto tutti bun senza lattosio seguendo il manifesto di Retroscena, dove nel 90% delle preparazioni abbiamo eliminato il lattosio». Tra gli appetizers, insieme al classico pollo fritto ci sono anche alcune ricette della tradizione regionale, tra cui le olive ascolane e il pecorino marchigiano fritto, per un’esperienza street food da godere in ogni sua sfumatura.