Città di Castello

Dieci giovani aziende dai vini intriganti scoperti all’Only Wine Festival

Dal Monferrato alla Campania, dalla Sardegna alle Marche, ecco alcuni nomi da appuntare (e degustare soprattutto) scoperti tra i banchi d'assaggio dell'evento di Città di Castello.

Perché le giovani vignaiole e i giovani vignaioli sono interessanti? Non certo perché sono giovani. È bene dirlo a chiare lettere, perché – almeno nel vino – non è detto che giovinezza sia anche mezza bellezza. Perché può capitare che nuove generazioni portino in azienda discontinuità infelici se non svolte banalizzanti, ma talvolta accade molto semplicemente che non abbiano semplicemente il “fuoco sacro” che ha portato padri e nonni a dedicare la propria vita a vigna e cantina.

Tutto ciò premesso, l’Only Wine Festival a Città di Castello offre invece l’opportunità di incrociare i calici con giovani produttori e produttrici che hanno scelto di lanciarsi nell’avventura del vino partendo da zero, con risultati splendenti, oppure di preservare una grande tradizione di famiglia tenendo la barra dritta nel segno dell’eccellenza. Ecco qualche spunto di assaggio che trova ragione nell’identità dei produttori e delle produttrici, ma anche nel calice capace di sedurre o stupire. Non è un elenco esaustivo, perché sono davvero molte di più le piccole realtà – selezionate da Francesco Saverio Russo – che fanno dell’evento un momento divertente e di scoperta. E in quei giorni merita un viaggio a Città di Castello, il cui centro viene trasformato in una festosa dedica al vino.

Delinquent – Monferrato, Piemonte

«La mia famiglia vendeva le uve e noi siamo stati i primi (dal 2018) a mettere il vino in bottiglia. Il nostro primo vino è stato il Monferrato Nebbiolo 2018». Delinquent nasce dall’avventura di famiglia di Giovanni Albesano. «Con mio nonno abbiamo sempre seguito la vigna e poi, nel 2011, mia moglie Amanda è arrivata dagli Stati Uniti entrando a far parte di questo progetto. Delinquent? Quando ero piccolo mio nonno mi chiamava così». Il Grignolino d’Asti Schersa Nen «è una sfida per noi – spiega Giovanni – perché è un vino molto difficile da vinificare. Ha un tannino bello aggressivo e noi vogliamo anche dargli tanta longevità». Nonostante il Monferrato Nebbiolo di Delinquent sia elegante e bello, la scelta cade sul Grignolino che trova nel calice un’espressione integra e intrigante, capace di giocare sul graffio dei tannini rivelando una sinuosità flessuosa e sbarazzina.

Ruki – Valpolicella, Veneto

Il progetto nasce nel 2020 dalla voglia di tre giovani enologi – Gian Maria Ciman, Marco Furia e Enrico Nicolis – di dar vita ai propri vini «liberi da da ogni schema aziendale». «Il nome doveva essere fresco e giovane, non legato alla storicità di vini fatti da generazioni – spiega Ciman – quindi abbiamo mutuato il termine rookie dallo sport americano (dove indica la matricola esordiente), ma italianizzandolo nella pronuncia veneta. Per i vini abbiamo voluto partire dalle denominazioni su cui lavoriamo di più, cercando un Valpolicella in stile un po’ inusuale e un Soave in versione Borgogna, impreziosito dal legno». Tornando alla semplicità, i tre enologi scelgono «la via francese» –dicono – per il Valpolicella Superiore, quindi uva tutta fresca con l’impiego del legno per dare struttura e lunghezza, ma con il Valpolicella Classico sfidano i bianchi con un rosso da aperitivo, slanciato e fresco, ma senza banalità ed eccessiva vinosità. Una bottiglia da aprire e finire prima di cena.

La Scogliera – Calasetta, Sardegna

Facile a dirsi, il nome del progetto enoico Raije indica le radici profonde delle vigne a piede franco e di una famiglia che fa vino da cinque generazioni. «Il vino nasce da un progetto che voleva valorizzare proprio il vitigno carignano da vigne tra gli ottanta e i cento anni piantate da mio bisnonno», racconta Erica Verona, che raccoglie dal padre l’eredità non facile di lavorare queste piante antiche a Calasetta, nel Sud Sardegna. «Sono vigneti centenari a piede franco – spiegano i Verona – e non facciamo mai le propaggini piantando i tralci, bensì a partire dalla pianta madre. Il vino nasce comunque da viti che hanno lo stesso impianto genetico». Raije è l’unica etichetta della cantina sarda e porta in dote la profondità dell’anima di un territorio e delle vigne antiche. Complesso e nitido, gioca di eleganza restituendo al Carignano una bevibilità senza eccessi di concentrazione, ma anzi giocata sul frutto vivo e stratificato.

Radovic – Carso, Friuli Venezia Giulia

Siamo sul Carso triestino. Con un ettaro e mezzo di vigna, la famiglia Radovic produce 5mila bottiglie solo sa varietà autoctone: malvasia istriana, vitoska e terrano. «In vigna cerchiamo di intervenire il meno possibile», spiega il giovane Peter Radovic. «Il mio bisnonno già faceva un po’ di vino per uso proprio – racconta il giovane vignaiolo – e poi mio padre ha iniziato più seriamente, ma comunque destinandolo al nostro ristorante. Nel 2018 ho iniziato io a imbottigliarlo, oltre a cominciare il lavoro in cantina con i tini in pietra locale (calcare di Monrupino e poi marmo di Aurisina) che ci consentono di affinare in maniera naturale avvicinandoci allo stile antico di lavorazione». La malvasia istriana viene da una vigna di quasi cinquant’anni, fa fermentazione spontanea e poi due settimane di macerazione sulle bucce in tini di pietra, dove affina per un anno. Elegante e stratificata, ha la complessità di un vitigno che vive di roccia e vento.

La Follonica – San Paolo di Jesi, Marche

Lorenzo e Leonardo sono due amici marchigiani. Dopo una importante esperienza di lavoro nella storica cooperativa Moncaro, i due giovani decidono di acquisire un vigneto nell’areale dei Castelli di Jesi. «La nostra azienda nasce nel 2021 – raccontano – ma i vigneti sono di oltre cinquant’anni e, come sempre succede nella nostra zona, in impianti così vecchi c’è una pluralità di vitigni. Partendo da questa abbiamo definito i nostri vini». Il Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico Superiore è frutto di una vinificazione in acciaio con successivo affinamento in cemento per otto mesi. Teso e dotato di una splendida nitidezza di frutto, ha il corpo flessuoso e l’acidità complessa che il cemento sa regalare.

Steiger Kalena – Casacalenda, Molise

Il nome (curioso) dell’azienda è una sintesi del cognome di famiglia e del toponimo dell’area vitata. Nel 2014 Giulio Steiger e sua moglie Margarita decidono di trasferirsi da Parigi in Molise, dove Giulio è nato, per creare una nuova famiglia e lavorare a stretto contatto con la natura. Per impiantare un nuovo vigneto, la scelta ricade sull’agro di Casacalenda. «Le analisi hanno rivelato che il nostro territorio è molto simile a quello di Serralunga d’Alba in Piemonte», raccontano. E in effetti nel calice si trova un’eleganza che merita grande attenzione. La scelta in vigneto è stata di impiantare tintilia, Montepulciano e aglianico, che «in Molise funzionano molto bene in blend», spiega Giulio, mentre in cantina il vero protagonista è il cemento. Passatella rosato è il primo vino ad uscire dell’annata, in versione rosso e rosato, e prende il nome dall’antico gioco di carte che ancora vive nei bar di Casacalenda. Ottenuto da uve Montepulciano e tintilia e in minor parte aglianico, ha un passo elegante e un sorso tonico che invita alla beva. Elegante e posato, porta nel calice un Molise che sorprende.

Cantina Pirata – Sannio, Campania

Filippo Mancini fonda ufficialmente la cantina Pirata il 22.02.2022 (data palindroma), abbandonando la progettazione europea per riprendere in mano il piccolo vigneto di un ettaro ereditato dalla famiglia. «Ho iniziato con fiano, falanghina e coda di volpe e successivamente sono passato anche ad aglianico, barbera/camaiola e sangiovese – spiega – e concettualmente cantina Pirata è una realtà che sperimenta con micro-vinificazioni in modo molto artigianale». La coda di volpe è un vitigno autoctono campano un po’ abbandonato in passato, ma oggi molto interessante perché molto resistente alle malattie, oltre ad esser tardivo e molto produttivo. Apre a molte opzioni e in Pirata scelgono di lasciare briglia sciolta alla personalità dell’uva, con il vino Indio Coda di Volpe che rivela un sorso intrigante e sapido, un sostrato roccioso e un bel frutto che non straborda. Da segnalare anche il bel lavoro che fanno con la camaiola (un tempo conosciuta come Barbera del Sannio).

Il Campino di Lamole – Chianti, Toscana

L’azienda nasce nel 2016 quando Mattia Coccia decide di rilevare un piccolo appezzamento con vigne tra i sessanta e i settant’anni. Poco più di un ettaro di sangiovese da cui nasce un Chianti Classico che vuole esser espressione del territorio. «Sono partito da zero con solo un ettaro e negli anni sono arrivata ad averne tre su quattro appezzamenti – spiega Mattia – quindi variano le altitudini e i suoli». Testardo Chianti Classico 2020 è allo stesso tempo fine e corposo, riporta al frutto senza esagerazione. Fino al 2021 in cantina si lavora solo in cemento e il risultato è davvero ottimo, con un Sangiovese dotato di eleganza pregnante; dal 2021 Mattia sceglie di virare su acciaio e barrique, si vedrà l’evoluzione.

Orlando Rocca – Langhe, Piemonte

Nel 2020 scadeva il contratto d’affitto di una vigna di proprietà della famiglia nel cru Bussia a Monforte d’Alba. Orlando Rocca stava studiando enologia e propone al padre di non rinnovare l’affitto. «Ci siamo organizzati e nel 2020 abbiamo fatto il nostro primo vino», racconta la sorella Cecilia che lo affianca per portare i vini sul mercato. Dopo uno stage da Pojer e Sandri, Orlando firma la sua prima etichetta: un Barolo Bussia dall’eleganza complessa. E l’anno dopo entrano in produzione anche un Nebbiolo e una Barbera d’Alba (da un’altra vigna che era prima in affitto), che è poi la prima ad esser uscita sul mercato. Orlando ora ha vent’anni e vanta già qualche annata di un Barolo Sprun che rivela una mano sobria, votata alla linearità di un Nebbiolo non scalpitante né spento, ma capace di rivelare il frutto e l’eleganza dei tannini.

Vintage – Aosta, Valle d’Aosta

Elisabetta Sedda ha iniziato a far vino nel 2016 e la sua azienda si chiama Vintage, perché le lavorazioni sono quelle di una volta: niente chimica in vigneto e in cantina, pigiatura al torchio, niente filtrazione. «Insomma è tutto molto semplice», chiosa Elisabetta, che da sola (finché non è diventata mamma) ha presentato una decina di etichette che coniugano complessità e bevibilità.

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