shaker

Shake, Shake, Shake

Una guida professionale agli shaker da cocktail.

Lo shaker è la forza vitale di un bar. Crea l’azione, il rumore, il movimento e l’energia alla base di ciò che gli avventori hanno il piacere di bere. L’approccio moderno allo shaking è stato sviluppato nel XIX secolo in America, quando ci si rese conto che, se due contenitori avevano aperture di diverse misure, quello con il bordo più piccolo poteva entrare in quello più grande incastrandosi fino a creare una chiusura a sigillo, e una bibita poteva quindi essere mescolata con molto più vigore per creare nuove consistenze e nuovi aspetti nel bicchiere. Il primo brevetto per uno shaker da cocktail (un modello dell’inventore William Harnett) fu approvato nel 1872, dando inizio ufficialmente alla storia di questo iconico e affascinante oggetto del mondo dei bar.

Come shakerare

Lo scopo dello shakerare un cocktail è quadruplo: rinfrescare, diluire, mescolare e aerare i contenuti. Ecco tre tecniche da conoscere.

Tin on tin

Per questa tecnica serve uno shaker stile Boston, ed è ideale quando si mescolano quantità maggiori di liquidi e per le situazioni complicate: grandi quantità di drink con albume, come il Gin Fizz, cocktail con frutta fresca o qualsiasi cosa preveda menta o cetriolo, che altrimenti otturerebbero uno shaker tradizionale. Versate gli ingredienti nella parte più grande dello shaker, che serve da base, e riempitela di ghiaccio. Ponete la parte superiore all’interno della base. Assicuratevi la chiusura del Boston avvitando leggermente le due parti; avvicinatele poi al corpo, dando con il fondo della mano un paio di colpi leggeri per chiudere ermeticamente. Questa tecnica prevede un movimento verticale al di sopra della spalla. Cominciate tenendo la parte più piccola del contenitore nel palmo della mano dominante, mentre con l’altra tenete la parte inferiore dello shaker. Avvicinatelo alla spalla, e poi con forza spingetelo verso l’addome. Ripetete questo movimento fino a che il contenuto non sia ben freddo.

Short Shake

“Breve” si riferisce al movimento che copre lo shaker, non alla durata della shakerata. Anche qui si usa un modello Boston ed è utilizzata in genere per shakerare a secco – senza ghiaccio, per aerare il bianco d’uovo, come nel Whisky Sour – o per drink che richiedono ghiaccio tritato, come le varianti shakerate di julep o sling, poiché comporta meno diluizione. Aggiungete gli ingredienti nel contenitore più grande, chiudetelo congiungendolo con la parte più piccola, e poi prendete lo shaker con una sola mano. Mettete il dito indice sulla parte superiore e ancorate la base della mano contro la giuntura tra le due parti. Il movimento è laterale e avviene giusto sopra il girovita, con un’oscillazione veloce avanti e indietro che utilizza la forza del polso per generare velocità.

Hard Shake

Questa tecnica usa uno shaker stile cobbler (comunemente chiamato “tre pezzi”) per fare cocktail che possono essere serviti “up” (senza ghiaccio), come Daiquiri o Gimlet. Aggiungete i liquidi allo shaker, poi ghiaccio giusto fino al bordo. Avvitate la parte superiore e chiudete con il tappo (metterlo alla fine assicura che la pressione sia compensata all’interno dello shaker). Afferrate il coperchio con la vostra mano dominante e la parte di sotto con l’altra, e tirate la prima indietro fino alla spalla, come se steste per fare un lancio del peso. Poi, spingetelo lontano da voi con un movimento veloce, guidati dalla mano non dominante e usando la spinta delle spalle. Quando si arriva quasi alla piena estensione del braccio, fate uno scatto con il polso e ritirate lo shaker verso la spalla. Continuate per 15 secondi.

Il parere dell’esperto

La verità è che al di là della tipologia e del modello utilizzato, la shakerata sta diventando sempre più una questione di stile. Proprio perché la miscelazione contemporanea prevede sempre meno fresco e privilegia il pre assemblaggio degli ingredienti (pre-batch), shakerare è oggi forma mentis, approccio, punto di vista (imprescindibile) dell’universo bartender e firma indelebile di ogni professionista dietro un bancone. Se è vero che ogni bartender perfeziona un proprio stile – e c’è chi impiega tutta la sua carriera per identificarne uno – a seconda della tipologia di cocktail, della grandezza del ghiaccio, della quantità di zucchero, della tipologia di ingredienti, ogni shakerata è diversa dall’altra. Più o meno energica, lunga e costante oppure breve e concitata, con un movimento rotondo, sexy e roteante del ghiaccio o più rigida e definita. Una shakerata bella da vedere può non essere sempre efficace ma quella scarsa di braccia non porterà mai a nulla di buono. Il banco di prova finale? Impugnando un Cobbler (il cosiddetto “tre pezzi” tra gli addetti ai lavori). Se non si notano distinzioni tra braccia e shaker, tra movimento di gambe e inclinazione del busto, allora il suono sarà quasi melodico e il movimento sarà un hard shake ricco di stile ed eleganza. – Chiara Buzzi, bar owner, Rita Cocktails e Rita’s Tiki Room, Milano.

Maggiori informazioni

Foto di Greg Dupree

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