C’è un vino italiano che ha invaso il mondo con le sue bolle spigliate e di approccio agile. No, non parliamo del Prosecco, salito alla ribalta internazionale nell’ultimo quarto di secolo, giocandosela (anche sul prezzo) con altre bolle dal pedigree consolidato, ma di un vino dal piglio pop e gaudente che risponde al nome di Lambrusco.
Eppure proprio quella enorme popolarità è stata un’arma a doppio taglio per il rosso charmat dell’Emilia, perché quando distribuisci milioni di bottiglie è difficile far passare il concetto di qualità e quel vino finisce per esser quasi equiparato alla Coca-Cola. Un paradosso? Non troppo, se si considera la diffusione mondiale dei Lambrusco dolcini e a bassissima gradazione che ne ha fatto quasi un soft drink, low alcohol ante litteram.
Un mondo in evoluzione oltre i preconcetti
È partendo da questo stato di cose che i lambruschisti hanno iniziato da tempo una lenta risalita nella percezione del consumatore consapevole e oggi questo vino ritrova brio e fascino, grazie alla spinta di giovani produttori concentrati sul Lambrusco secco (pur senza abbandonare del tutto la tradizione della versione amabile). E contestualmente va riconosciuto al mondo del Lambrusco Doc di mettere in sinergia grandi e piccoli produttori: confrontandosi con grandi gruppi come Cantine Riunite o Gualtieri si scopre che prestano attenzione al lavoro dei vignaioli artigiani, al valore che portano alla denominazione e in qualche modo ne seguono le tracce magari per i loro brand di nicchia, ma parlando con i piccoli produttori emerge per contraltare un apprezzamento per l’impegno importante dei gruppi che (con grandi numeri) hanno portato il Lambrusco a esser presente in mezzo mondo.
Sembra dunque esserci una coesione tra i 1.700 soci del Consorzio, non perché facciano tutti lo stesso prodotto con il medesimo approccio, anzi, ma piuttosto perché ciascuno fa il proprio percorso e tutti spingono nella stessa direzione ovvero la crescita del Lambrusco. Lo dimostra l’avvento del World Lambrusco Day, un’idea che il consorzio ha maturato durante i lockdown per Covid. «Durante il periodo della pandemia abbiamo lanciato l’idea di un brindisi con la comunità italiana in Argentina – riferisce il direttore Giacomo Savorini – e ci siamo trovati con 500 famiglie collegate da oltreoceano con un bicchiere di Lambrusco. Allora abbiamo capito che dovevamo trovare un giorno per celebrare il nostro vino, perché ci siamo resi conto di come all’estero Lambrusco significhi Italia». Ecco che ogni anno si celebra un L-Day il 21 giugno e il Consorzio si dedica a creare momenti di ambasciata fuori regione: nel 2023 il debutto a Parigi, sulla Tour Eiffel assieme allo Champagne, e quest’anno a Matera tra i sassi con i vini del Vulture. Nel 2026 poi il Lambrusco sbarcherà a New York.
Lambrusco, la “nuova onda”
«Il nome Lambrusco a volte dà, a volte toglie». Le parole di Carlo Cavicchioli, generazione entrante delle Cantine Umberto Cavicchioli & figli, sintetizzano lo stato dell’arte del mondo Lambrusco. O forse sarebbe più accurato dire i Lambrusco, perché sempre più diventa un’espressione corale e multiforme di approcci anche molto differenti. «Ci sono gli esercizi di stile, le improvvisazioni e anche le provocazioni, sono il primo a giocarci – aggiunge – sono prodotti più liberi che aprono nuovi mercati. E se talvolta la parola stessa Lambrusco potrebbe allontanare, quando i consumatori si fanno sorprendere da nuovi progetti di nuove o vecchie cantine, allora si possono anche innamorare».
«È sempre stato un vino povero da contadini che puntava sulla quantità– osserva Alessio Altariva, nuovo volto di Fattoria Moretto – ma negli ultimi anni sia il mondo cooperativo che le cantine piccole hanno puntato tutto su un lavoro di qualità. C’è molta più ricerca in vigna e di conseguenza si ottiene in cantina un prodotto che si posiziona più in alto». A una nuova generazione di produttori corrisponde una nuova generazione di bevitori, «magari che non parte dal pregiudizio sul Lambrusco – conclude il giovane produttore – perché ha il vantaggio di non conoscerne la storia. Anche se vorrei che fossimo più ambiziosi: io punto a sorprendere anche le generazioni legate ai vecchi pregiudizi».
La produzione di Lambrusco dolce old style è ancora importante, ma è la fascia di consumatori fra i 35 e i 45 anni quella investita dai nuovi stili, coinvolti da una curiosità crescente. «I mercati stanno cambiando – afferma la vignaiola Silvia Zucchi – perché piccole e grandi cantine hanno un approccio che porta avanti l’eleganza. Credo sia importante non fermarsi ai pregiudizi, ma provare più cose».
Un vino “contemporaneo”
Mentre l’evoluzione del Lambrusco sta coinvolgendo anche il mondo delle grandi cooperative, c’è una consapevolezza radicata nei giovani produttori e nelle giovani produttrici: il Lambrusco è sempre più un vino “contemporaneo”. Cosa significa? «Le nuove generazioni, da Los Angeles a Tokyo, cercano vini meno alcolici con più acidità e più gastronomici – rimarca Alessandro Medici della storica cantina Medici Ermete – ma quello che ho appena descritto è il Lambrusco. E questo è il modo giusto per comunicarlo. Poi dovremmo riuscire a trasmetterne la complessità: tanti, troppi pensano che sia un vino semplice, ma pur essendo facile da bere è estremamente complesso e intrigante nella varietà delle tipologie, dei cloni, dei sottosuoli, ma anche dei metodi produttivi e colori. Tutte sfumature che rendono la descrizione del Lambrusco più affascinante».