La Saletta

La Saletta ad Alghero: la forza del trio

Con Gian Luca Chessa, Adriano Zucca e Christian Krawczyk in cucina, il locale completa la sua evoluzione da trattoria a fine dining puntando su una rilettura avanguardistica del territorio sardo.

Un nuovo menu, anzi tre; e un nuovo logo che ne racchiude le tre anime e gli ampi orizzonti, con l’escheriano triangolo di Penrose (detto anche triangolo impossibile, basato su prospettive irreali) a rappresentarne la predisposizione all’evoluzione. È il “nuovo corso” de La Saletta, indirizzo algherese che nei 15 anni di esistenza ha saputo cambiare spesso pelle senza mai perdere del tutto la sua identità, coincidente con quella della famiglia Chessa e del territorio che abbraccia questa città unica dove Sardegna e Catalogna s’incrociano da secoli.

Impossibile, dunque, sedersi ai tavoli delle tre sale piene di spirito sardo che oggi compongono il ristorante appena fuori dal centro storico, senza ripercorrerne brevemente la metamorfosi: nasce nel 2009 come friggitoria, dalla volontà di Gian Luca Chessa di tenere ben salde le radici nella sua città natale mentre è impegnato a costruire il suo percorso professionale “sul continente” e all’estero. A gestirla, la sorella Romina: sono i figli di Tore Chessa, chef sardo che ha lavorato a lungo nei ristoranti di hotel e resort dell’isola, formando generazioni di giovani chef. È lui, nel 2015, a mettersi in cucina quando decidono di trasformare il locale in trattoria, diventando un apprezzatissimo punto di riferimento in zona per una cucina di terra ricca di sapori e di autenticità.

Poi Gian Luca, tornato ad Alghero e stimolato anche dal padre – da cui ha ereditato «l’ossessione di migliorarsi e fare qualcosa di valido, che sorprendesse e non annoiasse me stesso per primo», racconta – inizia a pensare a una proposta più in sintonia con il suo percorso. Per farlo, sempre confrontandosi con Tore, chiama Adriano Zucca: classe 1969, originario del Sarcidano, con Gian Luca ha già incrociato i mestoli in diverse cucine tra cui quelle del S’Apposentu con Roberto Petza a Siddi, ed è pronto a fargli da spalla in questa avventura ambiziosa. Così, sulla tradizione più pura e sui prodotti spesso coltivati da sé nell’orto o in arrivo da artigiani e produttori locali, iniziano a innestarsi lattofermentazioni, esperimenti con il koji, cotture moderne che alzano l’asticella senza stravolgerne l’essenza. Fino a quando nel 2023 una svolta più decisa porta “l’evoluzione in trattoria”, con un menu che punta in maniera felice sull’innovazione senza tradire le radici.

La scomparsa improvvisa di Tore Chessa nel febbraio 2024 è un ulteriore stimolo a fare meglio per onorarne la memoria. E quando Gian Luca e Adriano cercano una strada nuova per esprimere il proprio rispetto per il patrimonio gastronomico dell’isola, individuano la persona giusta in Christian Krawczyk: cagliaritano classe 84, ex calciatore, pittore (sono suoi i quadri tra il realismo e metafisica esposti nella prima sala), con origini polacche e sarde – la mamma, di Oliena, gli ha trasmesso passione e conoscenza per la tradizione sarda –, dopo gli inizi in Sardegna ha lavorato in importanti cucine, inclusa quella del Disfrutar di Barcellona. «Abbiamo pensato a qualcuno che fosse più giovane, e che potesse aggiungere un carico da cento al progetto. Christian era il nostro uomo: è più folle di noi» raccontano Chessa e Zucca. «Ci stuzzicavamo reciprocamente da qualche anno, lui non era mai stato ad Alghero e non aveva intenzione di tornare in Sardegna». Eppure, ha finalmente preso sul serio la proposta dei due e ora eccolo in Alguer.

Così Krawczyk è diventato il “terzo lato” del triangolo, accostando la sua indole «creativa, tecnica e avanguardista» a quella «genuina, tradizionale e gastronomicamente onesta» di Zucca – che si occupa anche dei rapporti con i fornitori – e a quella «contemporanea, istintiva e moderna» di Chessa, a suo agio tanto nell’orto quanto in cucina. E in effetti già vedere al lavoro tre personalità così distinte, senza legami di sangue, dal percorso diverso ma con in comune visione e obiettivi, non è così frequente e richiama alla mente proprio l’esempio illustre dei catalani Oriol Castro, Eduardo Xatruch e Mateu Casañas.

Con l’arrivo di Krawczyk, di aria catalana alla Saletta se ne respira sempre di più, incrociando il lavoro di ricerca e reinterpretazione delle usanze culinarie algheresi e sarde a un certo gusto tra il ludico e il provocatorio che rimanda alle tavole iberiche, cercando però di innestarlo in maniera originale sull’identità sarda. Va detto che alcune proposte dei tre menu degustazioneRadici, dedicato al mondo vegetale; Memoria, che perlustra la tradizione sarda seguendo un percorso aggiornato; e il più ambizioso e impegnativo Riviera, immersione nel mare sardo visto con sguardo contemporaneo, rispettivamente a 75, 85 e 120 euro – rischiano di sembrare, per lo meno a chi sia abituato a frequentare tavole creative, più degli esercizi di stile o dei tentativi di stupire ancora da affinare: vedi l’eccellente extravergine algherese di Accademia Olearia trasformato in versione solida, o il kvas – bevanda fermentata della tradizione est europea – di pane carasau, servito in uno dei bicchierini che accompagnano diverse portate del menu. Ma la maggior parte delle proposte riesce nell’intento di unire il buono e il sorprendente.

Così è, ad esempio, per il “marshmallow” spalmabile di coratella secondo ricetta di Oliena e per le gustose cozze con guscio edibile, tra gli amuse bouche. Deliziosa L’Ostrica in tempura, servita su una dadolata di ostrica cruda avvolta da foglie di scarola saltata – abbinamento, questo sì, sorprendente! – e ben accompagnata da un calice di kombucha di karkadé e tè verde, seguita dal divertente assaggio di una “perla” da trangugiare direttamente dal guscio. E lo stesso vale per altri assaggi dal menu Riviera: da Il Gambero Rosso (servito crudo con la sua rouille su un “tonno” di anguria, con accanto il carapace in tempura, tracciando una traiettoria dalla Provenza al Giappone) a Lo Gnocco ripieno di coppazza (tradizionale zuppa di pesce algherese) immerso in una soffice spuma di patate e zuppa con shiso viola.

Interessante – e indubbiamente d’effetto nella presentazione iper-realista ma pure nel sapore – Il Pomodoro del percorso Radici, che estrae tutti gli aromi vegetali di ogni parte dei pomodori colti da Gian Luca con la gelatina di acqua di pomodoro che riveste il cuore di ricotta mustia, i pomodorini disidratati e la granita di semi di pomodoro e mirin; mentre stavolta nel bicchierino c’è un intenso anche se quasi trasparente succo di pomodoro frutto di crioconcentrazione (qui l’ispirazione viene da Yannik Alléno). Il menu Memoria prende invece l’avvio con La Pecora, che giocando con stereotipi gastronomici e culturali disegna nel piatto una sagoma ovina un po’ bambinesca con la gustosa tartare accompagnata da yogurt di pecora, cetrioli marinati e una goccia di “garum” di pesce; a parte, una provetta contiene un intenso fondo che richiama il sangue dell’animale e che si può usare a piacere per insaporire la carne, o da bere a mo’ di rito arcaico.

Comune a tutti i menu il predessert che cattura le essenze più identitarie della macchia mediterranea sarda – mirto ed elicriso – in forma di granita. Mentre fa parte del percorso Riviera la rilettura della Crema Catalana che diventa un insieme di “sfere” di sapore e consistenza diversi, riproponendo i classici aromi del dolce al cucchiaio con l’aggiunta inedita del fingerlime. E la crosticina croccante data dallo zucchero bruciato? Arriva a parte, in un sottilissimo “vetro” di caramello.

Se per caso qualcosa vi dà un senso di déjà-vu, non è del tutto casuale. L’obiettivo comune e dichiarato, infatti, è quello di portare la Sardegna nel circuito della gastronomia internazionale, uscendo dall’ambito della proposta territoriale (senza però tradire del tutto le origini e facendo rete con alcune realtà che hanno a cuore lo sviluppo dell’Algherese: dai fratelli Fois di Accademia Olearia a Podere Guardia Grande, la nuova cantina della famiglia Veronesi votata all’enoturismo), e dimostrando le potenzialità di una “nuova cucina sarda” in grado di dialogare alla pari con altre “scuole” e altri interpreti.

Non che nessuno ci abbia mai provato, e continui a farlo: se ancora in molti sentono la mancanza di Petza, e se la chiusura di Somu di Salvatore Camedda a Baja Sardinia e la partenza di Claudio Melis dal Pasigà di Porto Rotondo hanno lasciato un vuoto importante, nelle cucine di tutta l’isola si avverte un bel fermento. I tre della Saletta – che per la bella stagione hanno anche l’impegno di Fermento, ristorante e cocktail bar ospitato negli scenografici giardini di Villa Mosca, dimora d’inizio Novecento trasformata in hotel di charme dove assaggiare crudi di mare e fregula con ragù di scorfano, gel al basilico e limone sorseggiando vini, bollicine o ottimi drink – hanno scelto di farlo a modo loro. Triplice, e unico.

Maggiori informazioni

La Saletta
via Fratelli Kennedy, 27/A
Alghero (SS)
lasalettaalghero.com

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