Raccontiamo oggi una storia di successo nata dall’intuizione di una famiglia che ha saputo, nel tempo, interpretare le nuove frontiere del lusso, anche in fatto di gastronomia. Una proposta ristorativa di grande maturità e risolutezza che trae forza dalla semplicità senza tuttavia scadere nell’ordinario.
Siamo nel Nord della Sicilia, su alture ricoperte di vegetazione costiera e delimitate da calette rocciose. Da qui il nome della struttura: Le Calette. Si tratta di un albergo cinque stelle a custodia della bellezza del luogo, risultato di una volontà imprenditoriale che accosta progettualità ed ecologia. L’indirizzo si presenta, infatti, come un complesso architettonico perfettamente integrato nel contesto naturale che lo ospita. E lo stesso vale per la cucina: ben delineata, essenziale, di stagione e rappresentativa del territorio.
L’offerta genuina di entrambi i ristoranti – Calette Reef, all-day-dining situato accanto al beach club e coordinato dal cuoco Giovanni Coglitore, e Cala Luna, il fine dining orchestrato da Dario Pandolfo – cresce e si sviluppa in dialogo con i produttori locali, custodi del paesaggio e di tradizioni secolari. «Vogliamo essere un tutt’uno con la Sicilia, trasmetterne cultura e storia» dichiara Pandolfo, originario della vicina Milazzo. «Selezionando la materia prima attraverso una filiera di contadini, allevatori, pescatori e artigiani che lavorano in maniera corretta e sostenibile possiamo servire del cibo non solo buono ma anche pulito e giusto – continua lui, sottolineando la prossimità con l’etica del cibo promossa da Slow Food dal 2005 – seguendo i ritmi stagionali e senza scardinare gli equilibri di Madre Natura».
Ospitato da una terrazza affacciata sulle onde del mare e a pochi passi dal cuore dell’hotel, Cala Luna è un ristorante su misura: il minimalismo degli arredi non disturba l’armonia della veduta, i toni chiari della mise en place riflettono i colori del giorno, dall’alba all’ultimo bagliore di luce fioca; le divise quasi zaffiro del personale si amalgamano alla notte di luna. Una volta a tavola un susseguirsi di coloratissimi amuse-bouche sconvolge l’equilibrio tono su tono dell’ambiente. Emblematiche e buonissime le sfere rosse di insalata eoliana, da mangiare in un sol boccone.
La cena prosegue tra conferme e scoperte. Si assaporano pomodori strepitosi (li abbiamo assaggiati nel sugo dei Paccheri alla trapanese e in purezza con gli scampi), pesci davvero saporiti (ricordiamo bene la ricciola con prezzemolo e patate) e non mancano portate vegetariane dai tratti peculiari: è il caso della Carota a rondelle servita con aceto di mele, panna acida e finocchietto selvatico, dalle note acetiche e balsamiche, dolci e grasse. «Solo quattro ingredienti, non ne uso di più – dichiara lo chef – ma è complicato anche essere semplici: dietro ci sono spesso lavorazioni più articolate e complesse. Usare pochi elementi, a volte, comporta un maggior lavoro a parità di risultato». Un piatto solo apparentemente elementare è, ad esempio, lo Spaghetto ai gamberi e ricci di mare, dove bisognava trovare il giusto equilibrio tra l’acidità del pomodoro e la dolcezza degli elementi marini.
Oltre alla corretta interpretazione dei nuovi mantra del lusso a tavola (identità, territorio, naturalità e così via) è interessante – e sicuramente d’impatto nell’esito positivo del progetto imprenditoriale de Le Calette – la stabilità del personale nel tempo, nei punti di ristoro così come in tutti gli altri ambienti. «Facciamo parte di una grande famiglia, la squadra è quasi identica a quando ho iniziato a lavorare qui e questo è motivo di grande orgoglio» ci racconta Gaia Miccichè, entrata da qualche anno nella gestione dell’azienda familiare. «L’obiettivo è ridurre le distanze – commenta Dario Pandolfo – tra noi dello staff e la clientela. Diversi piatti vengono completati in sala per avvicinare cameriere e ospite, e ci impegniamo a lavorare con serietà ma in un clima disteso».