Tra la laurea in enologia, conseguita nel 2011, e la passione per la cucina, quest’ultima ha preso il sopravvento per Caterina Ceraudo. Così lei – che già si occupava della carta dei vini del ristorante di famiglia Dattilo, all’interno di un piccolo borgo rurale della Calabria trasformato in struttura di ospitalità dallo charme autentico – è tornata a studiare, questa volta all’Accademia Niko Romito, e ha intrapreso il percorso da chef che l’ha portata a ottenere la stella Michelin nel 2017. Per Caterina, come per tutta la famiglia, quello con la vigna è un rapporto intimo, e la sua sensibilità di cuoca – unita alle competenze enologiche – la porta non solo a immaginare i migliori abbinamenti con i vini Ceraudo ma anche a trasferirne alcuni elementi nella cucina fatta di sapori nitidi e rispetto per gli ingredienti, spesso basata su olio e ortaggi dell’azienda creata dal padre Roberto. Così nasce ad esempio Tra i vigneti, in cui utilizza i sarmenti, ovvero i tralci della vite frutto delle potature invernali. «La vigna in quel momento è secca e tutto intorno è umido, è un periodo in cui quasi nessuno la guarda. Eppure offre uno scenario altrettanto affascinante, con colori bellissimi e profumi intensi», racconta la chef.
Diverso il rapporto tra vino e cucina alla Fattoria Sardi, creata negli anni 20 sulle Colline Lucchesi dalla famiglia Sardi Giustiniani e guidata dal 2010 da Matteo e Mina Giustiniani, che si sono conosciuti studiando enologia a Bordeaux e hanno deciso di dare all’azienda una svolta verso l’agricoltura biologica e biodinamica (si producono anche olio, miele e succo di mela) e i vini rosati. Dal 2020 collabora con loro Damiano Donati, cuoco lucchese dall’approccio attento al vegetale, agli sprechi e al rapporto diretto con i fornitori. Al Ristoro della Fattoria – ristorante agricolo incentrato sui prodotti toscani, in gran parte della rete LuccaBioDinamica – propone una cucina “materica”, schietta ma non banale, con cui cerca di stimolare gli ospiti come nei Ravioli alla zucca con polvere di cipolla e liquirizia. «Mi piace lavorare in un ambiente verde e pulito, con una bella energia e con ritmi più rilassati rispetto alla città anche perché siamo aperti dal giovedì al pranzo della domenica. La mia cucina non è strettamente legata al vino, anzi spesso è Matteo che si diverte a creare delle microvinificazioni studiate per la proposta del ristorante, come il bianco in anfora». Oltre al menu da cinque portate qui si viene anche per l’aperitivo, che può trasformarsi in cena scegliendo più proposte dalle “piccole pietanze”, come la Focaccia all’uva con caprino e spezie o le Polpette fritte di riso con zucca e ragù.
È stata proprio la vigna a convincere Marco Massaia – cuoco torinese laureato in legge – a tornare in Piemonte dopo le esperienze a Milano e Shanghai, e prima ancora in Australia, al ristorante Racine in una cantina a ridosso delle Blue Mountains: «Eravamo immersi nella natura, circondati da un vigneto: lì sono entrato in confidenza con i processi di produzione del vino e mi sono appassionato». Così, da qualche anno è chef (e socio) di Radici, “ristorante in vigna” di Mura Mura, cantina di Montegrosso d’Asti ristrutturata con piglio moderno da Guido Martinetti e Federico Grom per ospitare anche il Relais Le Marne. «Dopo le grandi città avevo voglia di tornare a sentirmi parte di un piccolo universo dominato dalla natura. Non a caso, il nome del ristorante rimanda all’esperienza australiana», spiega Massaia. Il rapporto sinergico con la cantina, ma soprattutto con la terra, è evidente nella sua cucina, che accetta la sfida di rendere elegante e contemporanea la tradizione rustica di queste zone, come nei suoi Plin d’asino. «Sono anche appassionato di raccolta e uso diversi elementi connessi alla vigna. Per esempio la senape selvatica, tra le erbe per il sovescio, è diventata ripieno per i tortelli mentre le foglie di vite hanno sostituito quelle di verza per il capunet di benvenuto. E, in periodo di vendemmia, le vinacce arricchiscono le farine di profumi e colori, aggiungendo complessità e acidità al pane».
Fino a quando Mitjia Sirk non ha deciso di far vino da alcuni vigneti storici nei dintorni di Cormons, la famiglia Sirk – che accoglie gli ospiti nell’incanto bucolico de La Subida, affiancando alle sistemazioni nel bosco le proposte gastronomiche dello chef Alessandro Gavagna al ristorante stellato Trattoria al Cacciatore e all’Osteria La Preda – coltivava le uve di ribolla gialla solo per l’eccellente produzione di aceto. Josko Sirk è infatti uno degli “Amici Acidi” impegnati nella valorizzazione di questo prodotto, cui ha dedicato l’acetaia in legno ben inserita nell’ambiente circostante. L’aceto rientra anche in alcuni piatti di Gavagna: dal Sorbetto e l’Aceto di Casa Sirk che intervalla il menu degustazione della Trattoria al Cacciatore, al Salame fresco saltato in burro e aceto dell’Osteria. Ma qui, oltre alle belle etichette selezionate da Mitja spaziando tra Collio Goriziano e resto del mondo, la vigna e la terra sono elementi ispiratori a tutto tondo. E se tra le portate d’autunno del Cacciatore c’è la Dadolata di cervo con l’uva fragola e il fegato grasso d’oca, nel menu de La Preda – dove ad accogliere gli ospiti è Thomas Peres, sommelier e cantiniere – nel corso delle stagioni si avvicendano piatti come i Tortelli di carrube con mele secche, faraona e noci o Il petto d’oca, la mela e il kren.
Quella del 2023 è stata la prima vendemmia per Arieddas, il ristorante nella cantina sarda Su’Entu a Sanluri, in Marmilla, con un’identità propria tanto negli spazi quanto nella proposta. Ma è indubbio che le vigne che rivestono la collina sferzata dai venti qui giochino un ruolo importante. È stato proprio il fascino del risveglio tra i filari a convincere Pier Giorgio Parini ad accettare la proposta della famiglia Pilloni, costruendo – con una presenza piuttosto assidua e un confronto costante – la linea di cucina con Francesco Vitale, cuoco e panificatore pugliese da anni in terra sarda. Insieme, ad esempio, hanno lavorato sulle sfumature aromatiche della sapa, sciroppo concentrato a base del mosto fiore delle diverse uve lavorate in cantina, sempre presente in una delle ciotoline che accompagnano lo strepitoso gelato di latte di pecora. E se uva e mosto cotto completano la Cheesecake di ricotta di pecora , dai grappoli alle estremità dei filari scampati alla vendemmia hanno ricavato l’uva passa. Ma il lavoro è appena iniziato: «Anche le vinacce sono un tema molto importante», spiega Vitale. «Abbiamo fatto qualche prova con gli aceti, preparando una madre con mosto e vinacce. Ma voglio sperimentare anche nella panificazione, come ho già fatto in passato con le trebbie della birra».
Grazioso borgo arroccato nei pressi degli Altipiani di Arcinazzo, in provincia di Frosinone, il nome di Piglio è legato a stretto giro con quello del Cesanese, intenso rosso laziale. Nell’area di Colle Pompeiano si trova Pileum, cantina fondata da alcuni amici con la collaborazione dell’agronomo ed enologo Domenico Tagliente. Il Casale Pileum, immerso tra le viti, ospita lo spaccio dove è possibile fare degustazioni, mentre alla guida del ristorante che si affaccia sulle vigne c’è il campano Davide Mazza, cuoco e docente dell’Accademia Niko Romito che qui ha formulato una proposta personale che unisce tecnica e territorio: «La nostra idea è di proporre una cucina genuina, apparentemente semplice pur se con dietro un grande lavoro e un approccio contemporaneo, che non è né trattoria né fine dining», racconta. Così ha fatto rete con i produttori locali: alla base del menu ci sono le verdure dell’orto, carni e salumi di Sebastiani, i formaggi di San Maurizio, la cicerchia locale e la mozzarella di bufala del frusinate. Aperto nei weekend, il ristorante propone l’aperitivo con taglieri o piccoli assaggi alla carta (come la rosetta con la porchetta fatta in casa), un menu stagionale e un percorso di degustazione in abbinamento ai vini dell’azienda. Ma le etichette Pileum entrano in maniera diretta in alcune proposte: dai cocktail in cui Valerio Saccucci reinterpreta grandi classici, come lo Spritz con la Passerina del Frusinate Valle Bianca, alla deliziosa Pera al Cesanese.