Ritratto di Sandro Boscaini

Sandro Boscaini: «L’Amarone è un simbolo da proteggere»

Dialogo con il presidente e ad di Masi Agricola, recentemente insignito del Lifetime Achievement Award of the Year di "Wine Enthusiast". Tra innovazioni passate e visioni future, "Mister Amarone" rivela tutta la modernità del suo percorso e del vino che ha reso iconico.

Una vita che si lega a più mandate al vino, quella di Sandro Boscaini, presidente e amministratore delegato di Masi Agricola, ma anche ex presidente di Federvini e tra gli ideatori di Vinitaly, solo per citare i suoi titoli più significativi. Un uomo che non solo ha accompagnato l’espansione internazionale della storica azienda di famiglia (252 vendemmie in Valpolicella), ma ha trainato con essa l’intero areale fino a impreziosire il Veneto enologico tutto. Non stupisce, quindi, che quest’anno il patron di Masi sia stato insignito del prestigioso riconoscimento Lifetime Achievement Award of the Year 2024, rilasciato dalla rivista americana di riferimento nel mondo del vino Wine Enthusiast. Un premio “alla carriera” che celebra gli imprenditori della vite e del vino che hanno raggiunto risultati eccezionali nel corso del proprio percorso professionale e che, dal 2002, è stato assegnato a figure di spicco come la baronessa Philippine de Rothschild, all’enologo Miguel A. Torres, al regista e sceneggiatore Francis Ford Coppola, Piero Antinori e Angelo Gaja. Dopo Brunello di Montalcino e Barolo, per l’Italia è, quindi, la volta dell’Amarone che, con il suo massimo rappresentante – “Mister Amarone”, come Sandro Boscaini è stato appellato nel libro edito da Mondadori e firmato dalla giornalista inglese Kate Singleton – va finalmente a collocarsi nel novero dei grandi dell’enologia internazionale. «È un bel riconoscimento – afferma Boscaini – perché se guardo a chi mi ha preceduto vedo un lignaggio di tutto riguardo. In Italia, vengo affiancato a due produttori di cui sono amico e con i quali rappresentiamo i tre vini bandiera dell’Italia: Barolo, Brunello e Amarone».

Il simbolo della Valpolicella

Premiare Sandro Boscaini significa mettere finalmente sotto i riflettori anche un vino, l’Amarone, che, come sostiene il patron di Masi, non sempre è stato valorizzato – in primis “in patria” – dai riconoscimenti dovuti. «A differenza degli altri vini che si sono visti riconoscere una certa esclusività, l’Amarone finora è sempre rimasto un passo indietro, sebbene sia un vino ancora più esclusivo e oggettivamente più difficile da produrre. Non dipende solo da un territorio, ma richiede anche un metodo di produzione particolare, quello dell’appassimento delle uve, che lo rende unico e complesso». Oggi, nonostante sia il simbolo e il volano di un territorio al quale ha portato tanto benessere, non gode della protezione che si confà ai grandi vini, complice un disciplinare che, all’epoca, non si impegnò a delimitarne gli storici confini produttivi. «La Valpolicella Classica, con la creazione del disciplinare di produzione nel 1968, ha visto triplicare l’area di produzione – racconta Boscaini. – In quegli anni, poiché la produzione di Amarone era ancora molto rara e in mano a pochi produttori, non si pensò a una distinzione tra le zone dove storicamente vocate, quelle di collina e alta collina, fu invece inclusa genericamente nel disciplinare del Valpolicella. Quando, in seguito, l’Amarone conobbe una crescente popolarità, nessuno intervenne più, né per poterlo fare né per volerlo fare. Così è rimasta una indifferenziazione di territori per un vino che, al contrario, dovrebbe essere circostanziato e delimitato nella sua vocazionalità». 

Nonostante le difficoltà insite nel fermare una macchina ormai avviata, il patron di Masi non perde la speranza che in futuro possa essere recuperata questa distinzione territoriale, specie in un momento storico in cui tante denominazioni stanno ridisegnando i propri confini con zonazioni sempre più dettagliate. Ma, soprattutto, non smette di credere nelle potenzialità di questo grande vino. «Noi abbiamo sempre prodotto Amarone e siamo stati tra i primi a capirne l’importanza. Devo dire che sono stato il primo a portarlo veramente nel mondo in maniera convinta e con argomentazioni sia tecniche che culturali di livello, guadagnandomi anche per questo il titolo di Mister Amarone». A partire dagli anni 80, Boscaini ne ha reinventato, infatti, il metodo di produzione, ponendo l’accento su aspetti tecnici fondamentali, come le operazioni in vigna, l’appassimento su graticci di materiale organico (ancora oggi in azienda non vengono utilizzate cassette in plastica), la fermentazione con lieviti selezionati: tutte conoscenze messe a punto dagli studi dal gruppo tecnico interno a Masi e messe poi a disposizione dei produttori della Valpolicella.

«Da quarant’anni rendiamo pubblici i nostri studi e organizziamo seminari aperti a tutti. Ci fa piacere far conoscere il contributo del nostro gruppo tecnico Masi, perché crediamo che, se l’Amarone è fatto bene in generale, è l’immagine stessa della denominazione a risplendere nel mondo». Una visione estremamente moderna e affatto sdoganata in tempi in cui era minore l’attitudine alla condivisione. «Penso che uno dei motivi per cui mi è stato assegnato il premio Lifetime sia anche in relazione a questo aspetto, perché è con il successo del nostro Amarone Masi che è arrivato poi anche il successo di tutta l’area della Valpolicella, ma più in generale anche di Verona e Delle Venezie. Oggi, assieme a Pinot grigio e Prosecco, l’Amarone segna la triade dei vini veneti più conosciuti al mondo e di gran lunga più esportati».

La crisi dei rossi e la modernità dell’Amarone

Parlare di Amarone, oggi, significa anche affrontare la crisi dei consumi che sta investendo, in particolar modo, i vini rossi importanti e di lungo affinamento. Una sfida che “il re” della Valpolicella affronta con una aggravante in più: l’elevato grado alcolico. Quale può essere allora la modernità che un tale prodotto può mettere in campo per rispondere a questo disamoramento da parte del pubblico verso la complessità del vino in senso lato? «Io non credo che l’Amarone debba cambiare i propri connotati – afferma Boscaini –. Quello che l’Amarone doveva fare, ovvero modernizzarsi un po’ e diventare più approcciabile e più godibile, lo ha già fatto. Oggi resta senza dubbio un vino grosso, importante, ma questo fa parte del suo Dna e non può essere snaturato. Certo, bisogna cercare di contenere il grado alcolico, ma è difficile ottenere un Amarone sotto i 15 gradi. Di un vino così se ne vorrà bere solo un bicchiere, magari una volta alla settimana o addirittura una volta al mese, ma è proprio questo il punto: deve rimanere un vino raro e un esempio di una enologia, se vogliamo, antica. Anche se oggi è un vino estremamente alla moda, si tratta pur sempre di un grande classico. Volendo fare un esempio automobilistico, sarebbe come confondere un’utilitaria con una macchina di grande cilindrata: sono due cose diverse che servono a scopi diversi». Nessuna paura, quindi, verso le moderne attitudini di consumo, forti anche del fatto che l’areale della Valpolicella possiede una organizzazione piramidale intrinseca alla produzione di vini. «Nessun genio del marketing avrebbe potuto idearla così bene, ma a noi l’ha data la natura: dal vino Valpolicella da tutti i giorni, al più ricercato Superiore, che ha una vita fino a 4-5 anni, fino al Ripasso, arrivando al vertice con il grande Amarone e al dolce Recioto. Nessun produttore è costretto a fare per forza Amarone, come nessun consumatore orientato sulla Valpolicella debba per forza berlo».

La direzione impressa da Sandro Boscaini è chiara: accogliere le sfide dei tempi che cambiano, ma senza snaturare i grandi classici. «Se ci pensiamo è un po’ quello che sta accadendo anche nel mondo della moda: oggi l’informalità è sdoganata, nel vestire, come nel bere. Questo non vuol dire che si debba smettere di produrre capi classici o grandi vini: piuttosto bisogna integrare prodotti più informali di buona qualità nel proprio marchio. Ecco, vorrei veramente che il premio, con cui Wine Enthusiast mi ha onorato, servisse a veicolare questo messaggio in un momento storico non facile, e oso pensare che mi sia stato dato proprio in difesa dell’Amarone che appunto rappresento: l’Amarone è un simbolo da proteggere. Abbiamo creato questo mito che ha una storia antica e lo abbiamo reso, in tempi moderni, una perla dell’enologia. Ma non è un vino commodity, da bere tutti i giorni: è uno sfizio, un lusso da concedersi una tantum ed è giusto che abbia un costo più alto, al pari di altri vini del mondo. L’Amarone è un vino raro e caro, perché produrlo bene richiede un investimento significativo e non se ne può fare in grande quantità. Se manteniamo questo focus, credo che l’Amarone non soffrirà più di tanto, perché ci sarà sempre chi vorrà quella bottiglia pregiata in virtù di una scelta ragionata e, possiamo dire, culturale».

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