Così tanto milanese da essere diventato un cliché, il risotto si assaggia caldo e fumante tanto nelle antiche osterie di quartiere quanto nei ristoranti più eleganti, dove la tradizione lascia spazio a interpretazioni d’autore. Quello giallo è certo il piatto-bandiera della città, anche se di milanese sembrerebbe non avere nulla. Basti pensare agli ingredienti della ricetta base, caratteristici della cucina siculo-araba: lo zafferano è una spezia esotica di origine mediorientale; il burro per mantecare rimanda invece alla cultura maghrebina e allo smen (un prodotto caseario fermentato e salato). Non è un caso, infatti, se la prima versione italiana del risotto (l’arancino) nacque in Sicilia dove, nel IX secolo, si insediarono gli arabi. Gli stessi, intorno all’anno Mille, introdussero nel Regno di Napoli anche le prime risaie. Fu poi Gian Galeazzo Sforza a intuire il potenziale delle zone paludose della Lomellina e a far estendere le coltivazioni di riso in pianura Padana: quindi, si potrebbe ricondurre al duca di Milano l’identità meneghina del piatto.
Più di quattrocento anni dopo, la produzione lombarda ha contribuito alla diffusione del risotto su scala europea, con chef del calibro di Gualtiero Marchesi – famoso in tutto il mondo il suo Risotto allo zafferano con foglia di oro –, capaci di valorizzare il potenziale di un ingrediente generoso come il riso: un cereale che proprio per i tanti utilizzi in cucina e la sua versatilità continua a stimolare l’inventiva dei cuochi. Ne sono un esempio queste 9 (+1) interpretazioni gastronomiche, diverse per personalità, preparazione e sapori.
Il classico con l’ossobuco
“Questo è un piatto che bisogna lasciarlo fare ai milanesi”, scrisse Pellegrino Artusi nell’opera La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene riferendosi alla preparazione dell’òs büs: un taglio tenerissimo (il geretto posteriore) della carne di vitello, spesso 4 centimetri e scrigno del midollo osseo, “l’oro bianco” della cucina lombarda. Nel corso dell’Ottocento l’abbinamento risotto e ossobuco divenne inscindibile, e nel 2007 arrivò la Denominazione Comunale come piatto simbolo del territorio. In città bisogna assaggiarlo da Trattoria Masuelli dove, da cent’anni, la stessa famiglia propone un menu di sostanza fondato sul tramandarsi del sapere popolare.
Quello “alla vecchia Milano”
«Se Milano fosse una pietanza avrebbe all’interno del riso di tutti i colori», dichiara Cesare Battisti, autore del risotto allo zafferano che, sin dall’apertura del suo Ratanà, ha conquistato critici e buongustai. Si chiama Alla vecchia Milano ma è emblematico di una lettura critica della tradizione orientata al nuovo: viene mantecato all’onda con burro di malga e servito insieme a midollo, sugo d’arrosto, gremolata (tipico condimento meneghino a base di prezzemolo, aglio e limone) e un pizzico d’acciuga come una volta.
Il milanese acquisito
È nato prima il risotto giallo (che in origine era bianco) o la Cattedrale di Milano? È bene sapere che risalgono entrambi all’anno 1574. Durante i lavori della Fabbrica del Duomo, l’artigiano Valerio delle Fiandre, addetto ai gialli e agli arancioni delle vetrate, creava effetti cromatici utilizzando lo zafferano: data la sua notorietà, quello che per lui era un colorante evocativo per i milanesi divenne un simbolo, anche e soprattutto in cucina. Un omaggio alla città che fu sempre più oggetto di esplorazioni gastronomiche e commistioni culturali: come nel caso del Risotto Milano Napoli del ristorante Sine. Qui il cuoco Roberto di Pinto aggiunge anche i sapori e i profumi del mare con ingredienti come calamari, polpo scottato e gamberi rossi.
L’anticonvenzionale
Riso allo zafferano, guancia brasata, Parmigiano Reggiano, midollo al limone e prezzemolo: da una rivisitazione del risotto alla milanese nasce Milano ti bacia sulla guancia, un piatto di Daniele Lodigiani, cuoco del ristorante Gesto, che sfida le consuetudini. Il manzo e il suo fondo sostituiscono l’ossobuco, mentre la fonduta di formaggio conferisce ulteriore umami e sapidità all’assaggio. La salsa al limone e l’olio al prezzemolo, infine, richiamano la gremolata.
L’iconico, esperienziale
È comune, anche se non obbligatorio, utilizzare il vino per sfumare il riso: rimane il dubbio intorno a quale preferire, se bianco o rosso. Per cinque porzioni, Artusi consigliava “due terzi di bicchiere di vino bianco buono”. Della sua stessa scuola è Antonio Guida che per il Risotto con lampone e crema di erbe, sempre in carta al Seta, opta per il bianco, proseguendo la cottura nel brodo di pollo e ultimandola con burro acido, Castelmagno e salsa di soia. A caratterizzare il piatto sono le tinte e le consistenze a contrasto: una crema di spinaci e biete, morbida e verdissima, avvolge i chicchi croccanti del Carnaroli, colorati di un lampone rosa acceso.
Il risotto che voleva essere una pizza
Un’idea firmata Andrea Berton, cuoco dell’omonimo ristorante, che nasce con l’intento di replicare il sapore della pizza nel risotto: questo viene cotto con l’acqua della mozzarella e servito con pomodoro, origano, capperi disidratati e freschi; il tutto su un letto di crema di olive, riproposte anche sotto forma di dischi di gelatina come guarniture. Completano il piatto la crema di mozzarella e una polvere di porro, a sottolineare il legame con la specialità nazionale per antonomasia in un equilibrio di sapori e forme.
L’esagerato
Da Manna si assaggia un risotto d’autore spogliato di formalismi e rigidità, definito dal cuoco Matteo Fronduti come un piatto «scanzonato, spiritoso e dinamico» oltre che, aggiungiamo noi, davvero goloso. Il Riso con mortadella di milza arrostita, Marsala, caciocavallo e pane tostato è un classico della cucina anticonformista del ristorante: si mangia a ritmo di cucchiaiate, affrontando le convenzioni del galateo milanese secondo cui il risotto andrebbe consumato “solo con la forchetta”.
Quello naturale, senza burro
“Risotto” deriva dalla contrazione dell’esclamazione risus optimus! pronunciata da un gruppo di festaioli umanisti dopo l’assaggio di un piatto di riso nel XVI secolo. Ottimo come quello dei fratelli Antonio e Vincenzo Lebano, che al ristorante dell’Excelsior Hotel Gallia propongono da sei anni un risotto genuino e a basso contenuto di lattosio, cucinato in un brodo di limone e mantecato alle cipolle di Giarratana affumicate. Viene servito con gamberi rossi crudi, alghe croccanti e limoni canditi e bruciati.
Il “Ri-sotto Marino”
Non un errore di battitura ma un gioco di parole che introduce la natura di un piatto-icona del ristorante Andrea Aprea. L’obiettivo era quello di portare in città una reinterpretazione del risotto alla pescatora, dove il mare è protagonista: come una sedimentazione geologica di sapori marini da scoprire affondando fino al fondo il cucchiaio, esplorando i vari strati, che culminano in tre diverse alghe in contrapposizione cromatica.
Il risotto che non è un risotto
Sembra riso, ma è una tartare di pesce: i calamari nostrani vengono mantecati con una crema di Carnaroli, brodo asiatico e latte di cocco fresco, poi serviti con pepe bianco, olio e due tipologie di caviale a conferire sapidità. All’assaggio si scoprono la salsa verde messicana e il pesto di lime: una stratificazione di gusti esotici da sondare con la forchetta. Lo chef Enrico Croatti racconta che è un piatto apparentemente semplice ma tecnicamente molto complesso: è un suo cavallo di battaglia dal 2013 ed è in carta da Moebius Sperimentale sin dall’apertura del ristorante.