Vasi preziosi e statue antiche, dipinti su carta di riso, pannelli circolari retroilluminati dal colore cangiante, mise en place accurata e un grazioso dehors riscaldato che ha ridato vita all’incantevole piazzetta dominata dalla facciata settecentesca della chiesa di San Paolo alla Regola. Che Oolong abbia qualcosa di diverso dalla media dei (numerosi) ristoranti cinesi della Capitale lo si percepisce ancor prima di assaggiare i deliziosi piatti del menu, in cui la tradizione della cucina imperiale cinese incontra felici spunti originali. Dietro c’è Yan Jiang, e la sua storia personale si differenzia da quella di molti ristoratori connazionali, in gran parte in arrivo dallo Zhejiang: nata a Shanghai, capitale economica della Cina e affascinante punto d’incontro tra Occidente e Oriente, viene da un’antica famiglia che vanta retaggi imperiali e ha ricevuto un’educazione raffinata e intrisa di cultura cinese, dalla calligrafia alla musica tradizionale, dalla pittura all’arte del tè.
A questo ha aggiunto due lauree e uno spirito indomito e curioso che l’ha portata in Italia, lavorando come giornalista. Fino a quando il desiderio di far conoscere al nostro Paese, e alla capitale di quello che fu l’Impero occidentale, una parte non sempre nota della sua cultura attraverso il cibo, l’ha portata nella ristorazione. Dapprima con Green T., il primo ristorante di “alta cucina cinese” della città aperto nel 2005 (ancora in attività); e poi, dal 2021, con il suo Oolong che traccia nel nome scelto – il pregiato ed elegante tè cinese semi-ossidato, ideale per accompagnare il pasto – una continuità con il lavoro già fatto, compiendo tuttavia un ulteriore step. «Vent’anni fa a Roma mancavano proposte che portassero non solo la cucina cinese di livello, ma anche una parte importante della nostra cultura: consapevole del mio bagaglio culturale, che riguarda anche la gastronomia e l’abbinare cibo e salute secondo l’antica medicina cinese, ho voluto condividerlo. Ma in questi venti anni la cucina cinese si è evoluta, così come la scena locale. Ora c’è più curiosità e Roma è pronta per proposte diverse, oltre alla grande diffusione di street food cinese. E io cercavo un luogo adatto, a cominciare dall’esterno che mi ricorda il giardino di casa, affacciato su una delle pochissime chiese della zona coloniale di Shanghai. La cucina cinese è gioia, bellezza, respiro, e l’incontro tra cielo e terra ricollega i cinque sensi».
Così, trovato il locale nel periodo del Covid, ne ha fatto la sua nuova casa che apre (anche attraverso interessanti corsi immersivi dedicati a specialità come noodles o dumpling) a chi sia interessato a scoprire qualcosa di più sulla cucina e la cultura cinese. Affiancata da Yin Cong, suo cuoco storico, Yan propone un menu incentrato sulle ricette di famiglia – a cominciare dalla tisana degli otto tesori che le preparavano le tate, a base di spezie ed erbe di cui sa replicare il dosaggio in un infuso salutare e delizioso che serve a fine cena o durante il pasto –, ma senza preclusioni verso l’innovazione. E in cui, dichiara lei orgogliosamente, è totalmente bandito l’uso di glutammato. Tra i piatti ci sono tanti tipi di dumpling, la medusa con funghi d’oro e l’uovo centenario (quello vero, con l’uovo d’anatra tenuto in fermentazione), l’anatra laccata servita come da tradizione imperiale in tre portate, il maialino Hongshao, cotto a lungo nella pentola di coccio con le spezie, e la Fenice nel nido croccante (ricetta). Ma pure creazioni originali come il Tramonto di Shanghai, ricetta ideata da Yan che vede riso Jasmin al curry e riso nero con calamari e Xiami. Tra nostalgia di casa e desiderio di farne conoscere colori, profumi e sapori.