Passeggiando per il centro di Firenze, si possono vedere ancora oggi, agli angoli di alcune strade i trippai che vendono il panino con il lampredotto. Un dettaglio che testimonia come questa specialità sia ancora radicata nella storia gastronomica della città. Sembra una sorta di resistenza alimentare all’omologazione del gusto che, purtroppo, sta diventando una costante nell’offerta di cibo di tutti i Paesi.
Street food fiorentino ante-litteram
La storia della trippa a Firenze è profondamente legata alla tradizione popolare e all’uso del quinto quarto, ovvero le frattaglie e le parti meno nobili degli animali. Questo tipo di cucina nasce dalla necessità di non sprecare nulla e si è trasformata nel tempo in una vera e propria eccellenza culinaria. L’uso della trippa nel capoluogo toscano risale al Medioevo, quando le carni pregiate erano privilegio dell’aristocrazia e delle classi più abbienti. I lavoratori delle macellerie e i ceti popolari avevano accesso solo agli scarti della macellazione, comprese le interiora, che venivano cucinate in modi saporiti per renderle gustose e nutrienti.
Le prime testimonianze scritte sulla trippa a Firenze si trovano già in documenti del XIV e XV secolo. Si trattava di un alimento molto comune nei mercati cittadini, consumato sia in casa che per strada. Durante il Rinascimento, Firenze era una delle città più ricche d’Europa, ma la trippa continuava a essere il cibo delle classi popolari. I trippai iniziarono a stabilirsi in mercati e piazze, vendendo trippa già cotta e pronta da mangiare. Questo segnò la nascita della cultura dello street food fiorentino, che ancora oggi è del tutto attuale. Interessante è notare come, solo nella Città del Giglio, la trippa viene venduta suddivisa nei vari stomaci presenti nel bovino e quindi sarà normale che al momento dell’acquisto sarà richiesto se si preferisce la cuffia, la croce o il centopelle, che sono i primi tre stomaci mentre il quarto, ovvero l’abomaso, prende il nome di lampredotto, ed è diventato il più popolare poiché viene venduto nel panino. Il nome sembra derivi dalla lampreda, un pesce di acqua dolce che una volta si trovava facilmente in Arno, ed è ancora oggi diffuso in altre zone d’Europa come a Bordeaux; le carni erano pregiate e dal sapore delicato, il costo era notevole e così il popolino decise di dare all’abomaso questo nome, vista la somiglianza, illudendosi così di poter sedersi, almeno idealmente, alla tavola dei ricchi.
Come si prepara il lampredotto
Il lampredotto si presenta di colore grigio violaceo, avendo già subito una cottura prima di essere messo in commercio ed è suddiviso in due parti chiamate gala e spannocchia. La prima è quella che ha la forma di piccole creste mentre la seconda è di colore chiaro ed ha una maggior quantità di grasso. Se si ascoltano i dialoghi dei consumatori con il trippaio, si potrebbe non comprendere la richiesta di volere il lampredotto sbucciato: in questo caso il cliente vuole solo la parte della gala, ma dai puristi del gusto tale pratica non viene accettata volentieri. Per avere sapore il lampredotto deve bollire in acqua con i cosiddetti odori, ovvero cipolle, carote, sedano e pomodoro: il brodo che si ottiene veniva tradizionalmente venduto in fiaschi ed è particolarmente adatto per la preparazione di zuppe e minestre.
Il pane che si utilizza è particolare per la Toscana: non si usa infatti il classico pane senza sale ma i panini chiamati semel, ai quali viene tolta una parte della mollica per aumentare la farcitura. Il condimento classico sarebbe costituito solamente da sale e pepe, ma oramai da tempo è d’uso proporre anche l’aggiunta di salsa verde o salsa piccante, a base di peperoncini tritati. Insieme al panino vengono spesso proposte altre specialità, come la trippa alla fiorentina, cucinata con il pomodoro o l’inzimino, dove la trippa o il lampredotto vengono cotti in umido insieme a verdure come spinaci, bietole o rape. In estate si può trovare anche l’insalata di trippa o i crostini con la poppa, che viene bollita, tagliata a fette sottili e messa su delle fette di pane con la maionese.
Cosa si beve con il panino? Un bicchiere di vino rosso, una birra o semplice acqua, bandite le bibite dolci gasate. Questo alimento ha connotato molto la vita quotidiana di Firenze: basta leggere uno scrittore come Vasco Pratolini, che descrisse il lavoro dei trippai in alcuni suoi racconti. E come non ricordare la scena nel film Amici Miei Atto II, quando Paolo Stoppa discute con l’allora trippaio di piazza dei Ciompi sul peso della trippa. Il lampredotto è stato anche protagonista della canzone del rapper fiorentino Millelemmi.
Dove mangiare il miglior lampredotto a Firenze
Dei trippai se ne trovano ancora diversi, ma in pochi si limitano a servire solo frattaglie: molti aumentano l’offerta con porchetta o con hamburger. Una vera istituzione è Pierpaolo Pollini, che ha il suo banco all’angolo tra via de’ Macci e piazza Sant’Ambrogio, vicino all’omonimo mercato, dove lo aveva aperto suo padre Sergio.
La trippaia per antonomasia è Beatrice Trambusti, conosciuta con il nome di Lupin Margo: il suo banco si trova fuori dal mercato di San Lorenzo, all’angolo con via Sant’Antonino.
Dentro al mercato, invece, l’insegna Nerbone è oramai considerata storica, considerando che opera dal 1872. Recentemente è scomparso il suo titolare Alessandro Stagi, conosciutissimo in città anche per la sua grande passione per la Fiorentina.
Spostandosi dal centro storico, occorre citare Leonardo Torrini, responsabile dei cuochi dell’Alleanza di Slow Food per la Toscana, che ha il suo chiosco, gestito con la moglie, nella zona sud della città.
Un’altra storia di padre e figlio è quella che vede Marco e Lapo Bolognesi protagonisti; il primo ha un chiosco in via Gioberti quasi all’angolo con piazza Beccaria mentre il figlio ha il suo negozio, dove si può mangiare seduti nel dehors all’aperto in via Ugo Foscolo, vicino a Porta Romana.