Non c’è regione italiana che non abbia una tradizione secolare legata al torrone, ma ce n’è una che del più candido dei dolci ha fatto una religione: il Piemonte. Da secoli tra Langhe, Roero e Monferrato quell’impasto di albume, zucchero, miele e nocciole è il cibo di Natale, il grande blocco bianco che le famiglie portavano in tavola accanto al moscato quando tra queste colline il panettone nemmeno si sapeva cosa fosse. Il fatto è piuttosto naturale, se si considera che la ricetta piemontese prevede il 50% di nocciole proprio perché qui, ai piedi dei sorj dove nascono i grandi vini rossi, ci sono noccioleti a perdita d’occhio. La Nocciola Piemonte, la Tonda Gentile delle Langhe, è l’oro di questa terra: l’ha resa ricca transitando dalla crema gianduia più famosa del globo, la Nutella; è la protagonista di tutte le feste in forma, appunto, di torrone. Eppure. Eppure in passato nessuno si era mai interrogato a fondo su come rendere straordinario un prodotto buono. Solo in tempi relativa- mente recenti alcuni produttori si sono chiesti: come fare il torrone migliore del mondo? Tra questi la famiglia Ceretto di Alba, che ha uguale dimestichezza tanto con i vertici del sapore quanto con i prodotti popolari: produttori di vino, possiedono alcuni dei cru di Barolo più preziosi e l’Arneis più diffuso, il Blangé, oltre al ristorante tre stelle Michelin Piazza Duomo e La Piola di Alba, che riesce a offre qualità con tanti coperti.
È iniziato tutto per caso: «Nel ’93 assieme ad alcuni vigneti abbiamo acquistato dieci ettari di noccioleti ad Albaretto della Torre – racconta Roberta Ceretto – e visto che nessuno era particolarmente interessato a comprare le nostre nocciole, mio padre Bruno, che è sempre stato il visionario della famiglia, ha detto: “E se facessimo il torrone?”». Così nel 1994 nasce la ditta Relanghe (dal nome di una collina), avviata assieme alla famiglia Vezza – produttori di olio poi usciti dalla società – che nel 2010 si insedia nello stabilimento di Castellinaldo (CN), là dove veniva vinificato il Blangé, proprio in mezzo alle vigne di Arneis. Relanghe oggi occupa dieci persone, ha un catalogo articolato – dai dragées ai panettoni, dalla torta di nocciole progettata maniacalmente da Enrico Crippa fino ai prodotti in via di sviluppo con il cioccolatiere Gabriele Maiolani – ma il torrone è l’indiscusso protagonista. «Abbiamo preso i valori e i processi che usiamo in vigna – racconta ancora Ceretto – e li abbiamo applicati alle nocciole». Infatti tutte le nocciole IGP arrivano dagli ottanta ettari di proprietà della famiglia e da altri due conferitori tra Langhe e Roero: tutte cresciute in Piemonte, tutte Tonda Gentile, tutte bio. Ogni anno, appena raccolte, tra i 1.300 e i 1.500 quintali di merce vengono portati in azienda ed entrano in una grande stanza interamente occupata da uno sgusciatore: questo macchinario complesso divide le nocciole in calibri da 14 a 20 millimetri, ne spacca i gusci, ne estrae i frutti che devono pesare il 46/48% del lordo e mentre i gusci si trasformano in carburante per il riscaldamento, i frutti passano alla fase più delicata: la tostatura.
Come spiega il responsabile della produzione Pio De Lucia, che interpreta con passione l’antico mestiere del torronaio, «ci sono tre tipi di tostatura: media, forte ed extra. La temperatura è sempre 140 gradi, ma il tempo aumenta da 40 a 50 fino a 60 minuti». La tostatura determina la gran parte del gusto del torrone, il cui nome forse viene proprio da “torreo”, che in latino significa, appunto, tostare. Lo strumento più prezioso di De Lucia è un vecchio tostino da caffè a fuoco vivo. Pronte le nocciole, ecco che in grandi caldaie a vapore si versano esclusivamente miele, glucosio e albume – nella proporzione di 30, 15 e 5% del totale – che cuociono sei ore se si desidera fare il torrone friabile, tre ore se si vuole quello morbido. Il miscelatore va prima veloce e poi, quando la massa prende la densità desiderata, cambia marcia: «È il momento cruciale: se non si rallenta al momento esatto, il torrone è rovinato». Le nocciole – il restante 50% del peso totale – vengono aggiunte solo cinque minuti prima che la massa venga estratta e velocemente messa in forma, prima che si indurisca per poi essere tagliata a blocchi dagli operai. «La lavorazione a mano restituisce una consistenza inimitabile, dovuta all’aria che viene incorporata», continua De Lucia. L’albume proviene dalle uova di galline allevate a terra, il miele è un mix di millefiori e acacia, il glucosio non è semplicemente di qualità. Ma tutta la differenza la fa lei, la nocciola piemontese, nata, cresciuta e raccolta a un passo da qui.
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