Torino ha fama di “città laboratorio”, espressione che si presta a letture antitetiche. Per i bendisposti, significa che è un habitat adatto all’innovazione; per gli scettici vuol dire che il capoluogo piemontese è la cavia per esperimenti che vanno poi a far fortuna altrove. Quel che è certo è che quella della Mole è una piazza in cui si elabora. E nei 74 giorni di ristoranti chiusi, i locali hanno provato a battere nuove strade. Anche quelle del delivery: le consegne oggi in Italia valgono quasi un miliardo, la ristorazione 86 (fonte FIPE 2019). C’è certamente spazio di crescita.
Il contesto
Per capire le consegne a Torino bisogna, almeno un poco, capire Torino. Primo tema: a differenza di Roma e Milano, nei ristoranti di Torino vanno soprattutto gli autoctoni. Secondo: a parte i paperoni con le ville in collina, i torinesi guadagnano poco: nel 2019 il PIL medio pro capite è stato di 27mila euro, contro i 49mila di Milano (dati Eurostat). Questo plasma l’offerta: pochi ristoranti fine dining (quando c’era l’Avvocato sì che c’erano i bistellati! Un nome su tutti: La Vecchia Lanterna di Armando Zanetti), leadership nella fascia bistronomie (ora però insidiata da Roma e Milano), qualità diffusa anche nelle piole (le trattorie tipiche). Sul fronte della domanda la clientela è affezionata, parsimoniosa ma esigente. Inquadrato il contesto, vediamo cosa s’è inventata a proposito di delivery la “città laboratorio.”
Il delivery di quartiere
Nei giorni duri del lockdown hanno consegnato anche i big – a partire da Del Cambio e Casa Vicina – ma il fenomeno più interessante è stata la trattoria di quartiere che ha preso a portare i piatti caldi direttamente a casa: li consegna il titolare, a piedi, solo nel raggio di poche decine di metri. Niente rider, niente intermediari. Chiamiamolo delivery di prossimità. I bar l’hanno sempre fatto, il Covid ha convinto anche le osterie. Un esempio? Trattoria Bar Coco’s, quartiere San Salvario, affacciata sul mercato di Piazza Madama Cristina, gestita da quattro fratelli. Qui non c’è bisogno di modelli di business sofisticati: le “milanesi” le consegnano direttamente i proprietari. Funziona. È una delle manifestazioni della cosiddetta “città policentrica”, in cui la vita non è fondata sulla pulsazione periferia-centro, ma su quartieri in buona parte autosufficienti: scuola, negozi, servizi, aree verdi. E trattorie. Dopo decenni di riflessioni sul policentrismo, l’era post Covid ci spingerà davvero ad agire più localmente?
Il network dei ristoranti
Un altro esperimento interessante è quello avviato dall’agenzia To Be, una società che produce eventi e che da anni propone appuntamenti gourmet. Il loro format di maggior successo si chiama Degustando e prevede che una decina di cuochi preparino i propri finger in uno spazio “di pregio” (esempio: il Teatro Regio): grandi nomi, grandi volumi, piccoli prezzi. Ora tutto questo è in discussione. Così hanno varato Degustando at Home che è una formula originale: permette di comporre il menù con i piatti di diversi locali. Chi scrive, ad esempio, ha ordinato un unico box contenente piatti di Casa Vicina, Razzo, Garamond, Giudice, Clapsy. L’esperienza è interessante per più motivi. Primo: mette a sistema i ristoranti cittadini. Secondo: il modello di business prevede, sì, un accordo con il ristorante piuttosto standard (25% di fee), ma l’utilizzo come corrieri dei dipendenti stessi dell’agenzia, che integrano i viaggi con il resto del lavoro. Terzo: produce una riflessione. «Stiamo ragionando con i vari locali – racconta Edoardo Gatti, uno dei tre soci fondatori – per convincerli a varare una sezione gastronomia: in questi tempi, io credo che se un ristorante ha una linea per fare gli agnolotti, ha senso che ne produca di più per dedicarne una quota alla vendita a domicilio».
L’evoluzione delle dark kitchen
Carlo Alberto Danna è un innovatore nel mondo del delivery. Nel 2015 con altri soci avviò Fanceat, una start-up che portava a casa le cene gourmet dei grandi ristoranti stellati. L’azienda era così promettente che JustEat entrò nel capitale e li portò a Londra, per “accelerarli”. Tuttavia, dopo due anni di attività, chiusero. Il motivo? Clienti soddisfatti, ma pochi. Allora Danna ha pensato: le consegne funzionano, ma in un altro segmento. Due anni fa ha varato Morsy che porta i pasti ai dipendenti di tante aziende torinesi durante la pausa pranzo, comprese Basic Net, Deltatre e Generali. Fanceat consegnava 60 pasti al mese, Morsy 6mila. Quest’ultima startup va oltre la dark kitchen, gestisce tutto il processo: cucinano, fanno gli accordi commerciali, consegnano. Perché funziona? Perché per le aziende il costo del pasto è interamente deducibile, perché recapitano il freddo – che viene poi rigenerato nei microonde – quindi possono fare il giro senza che il vettore vada avanti e indietro. Con il Covid hanno fatto di necessità virtù: si sono accordati con alcune aziende per servire anche ai lavoratori in smart working, hanno affiancato ai pasti pronti la distribuzione di prodotti, così da sommare al servizio “cucina” quello “spesa”.
Permettetemi un’intrusione finale in prima persona. In tempi di pandemia ho provato 37 consegne a Torino, da quelle “stellate” al kebab. La prima cosa che voglio fare, è dire ciò che non ho amato: quelli magari buonissimi ma troppo complessi da preparare. Siamo chiari: nessuno ha voglia di lavorare né sporcare quando chiama un delivery, altrimenti cucinerebbe da sé o andrebbe fuori a cena (ora che si può). La seconda, e più importante, è citare quelle che ho più amato: la “merenda sinoira” (antica consuetudine piemontese: una sorta di ricco aperitivo che diventa cena) de Le Antiche Sere; i piatti coloratissimi e divertenti di Ded Gaci, che aveva varato il suo nuovo locale Insieme immediatamente prima del lockdown; i plin della famiglia Alciati; Madama Piola; Mare Nostrum; Nuovo Crocetta. Da questi nomi, si evince la formula che secondo me è la più efficace: i piatti da gastronomia, quelli che arrivano a casa prêt à manger. Ma perché usare il delivery per i piatti da gastronomia quando possiamo andare in gastronomia? La risposta deve essere: perché sono i migliori. La panna cotta de Le Antiche Sere è la migliore di Torino. Gli agnolotti di Lidia Alciati i migliori del Piemonte (e dunque del mondo). Ecco: il delivery di qualità funzionerà se potrà portarci a casa prodotti che è difficile trovare sul mercato.
Infine, l’ultima considerazione, è che per avere un futuro il delivery di qualità deve potersi affrancare dalle piattaforme globali. Lo so che è una battaglia contro i mulini a vento, come dire che l’editoria deve poter fare a meno di Amazon, ma il cibo è diverso dai libri. In questa città ci sono esempi virtuosi: ad esempio la mini catena Japs!, che da anni porta sushi di buon livello a casa usando vettori propri. Ecco: se finalmente una riforma del lavoro consentirà di tutelare i fattorini come si deve, le consegne di alto profilo avranno un futuro. Altrimenti continueranno a essere recapitati solo cibi da poche lire, prodotti con poca cura, da gente pagata poco e consegnati da rider pagati ancora meno.
CONTATTI
Del Cambio
delcambio.it
Casa Vicina
casavicina.com
Trattoria Bar Coco’s
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Degustando At home
degustandohome.it
Insieme
ristoranteinsieme.it
Morsy
morsy.it
Osteria Le Antiche Sere
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Madama Piola
madamapiolatorino.it
Mare Nostrum
ristorantemarenostrum.it
Nuovo Crocetta
tel. 011597789
Japs!
japs.it
foto di Luca Iaccarino
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